Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
Marco Iannaccone – Concerto essenziale di terra e di cielo
Kromìa presenta “Concerto essenziale di terra e di cielo”, personale napoletana dell’artista e fotografo Marco Iannaccone/Scarlet Lovejoy.
In mostra, cinque opere fotografiche scattate nella valle dell’Engadina in cui visse e creò, a fine Ottocento, il pittore divisionista Giovanni Segantini.
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Kromìa presenta “Concerto essenziale di terra e di cielo”, personale napoletana dell’artista e fotografo Marco Iannaccone/Scarlet Lovejoy.
In mostra, cinque opere fotografiche di medio formato dalla serie “Concerto essenziale di terra e di cielo”, scattate nella valle dell’Engadina in cui visse e creò, a fine Ottocento, il pittore divisionista Giovanni Segantini.
Distanti dall’essere mera fotografia di paesaggio, le visioni di Marco Iannaccone/Scarlet Lovejoy sono icastizzazione di un luogo e modalità dell’anima di riallineamento energetico, e al tempo stesso viaggio reale e metaforico alle fonti della creatività e del linguaggio non solo di Segantini ma dell’arte tutta, indagati attraverso un modulo formale ripetuto che da cornice si fa codice segnico, e contemporaneamente abbraccio emotivo.
(scorrere per testo critico di Diana Gianquitto, curatrice della mostra con la direzione artistica di Donatella Saccani)
Testo critico
Luci dei miei occhi
di Diana Gianquitto
Il culto della luce. Orchestrato nel tempio di una natura rigeneratrice. Attraverso la grammatica, oggi talora scandalosa, del bello e del sublime. Ma attraverso la ricostruzione, in senso letterale, di uno sguardo, che si fa interno ed esterno contemporaneamente.
La genesi degli scatti paesistici di Marco Iannaccone/Scarlet Lovejoy è indissolubilmente legata, in senso non aneddotico ma profondamente spirituale, all’intima dinamica estetica che li muove. L’esigenza, improvvisamente percepita nella sua potenza in un momento di vissuto particolarmente intenso dell’artista, di un attimo di raccoglimento, di riallineamento energetico nel quale ritrovare identità e struttura delle proprie forze, viene risvegliata e al tempo stesso confortata dal contatto, durante un viaggio, con l’ammaliante natura rigeneratrice dell’Engadina, che già ospitò e nutrì la vicenda artistica di Giovanni Segantini. Dimensione panica che però, nel caso di Iannaccone, viene assimilata attraverso un filtro intimamente percettivo, una camera oscura di silenzio, contemplazione, ascolto e riordinamento, che da mood atmosferico e creativo si fa vero e proprio modulo formale, fortemente caratterizzante l’intera serie, nell’ovale nero che incornicia le vedute.
Così, in un viaggio reale e - in continuo slittamento di livelli - metaforico, la ricerca delle fonti e dei luoghi della creatività del grande pittore divisionista diviene più intimamente accostamento alla sua forte energia e presenza spirituale, al suo timbro sacrale, al suo panteismo, necessari al momento biografico particolarmente incisivo dell’autore, ma in senso più allargato anche viatico di riflessione sul motore stesso di ogni fare ed essere arte.
Ed ecco dunque che i filamenti di luce aurea, i colori puri, cangianti, iridescenti, e le misteriose atmosfere luministiche della ricerca divisionista di Segantini - a loro volta modo per staccarsi dalla pedissequa rappresentazione di una natura di cui si vuole invece mostrare la profondità come allegoria e simbolo di vita, nascita, trasformazione e morte - divengono in Iannaccone riflessi dorati e contrasti mozzafiato di chiarore e oscurità, modulanti in un Concerto essenziale di terra e di cielo* ora la maestosità di un infinito più vicino al sublime romantico, ora scorci di familiarità agreste più prossima. Su tutto, l’aleggiare rassicurante e materno, pur nelle sue declinazioni più grandiose, dell’Alma Mater Natura, del legame profondo dell’uomo con essa, forza primigenia particolarmente amata e avvertita dall’artista, ancor più dopo gli esiziali avvenimenti dell’ultima e dolente attualità dell’area vesuviana. Ciò che abbiamo, e ciò che potremmo perdere.
Ed è appunto quasi in abbraccio protettivo di questo esterno - che di noi stessi è anche genitrice e culla - così come, contemporaneamente, di un’intimità necessitante di balsamo, che si curva la cornice attorno ai paesaggi: un nero che non è buio ma ristoro, e focalizzazione, presa di fiato; un ovale che si fa occhio, sguardo interno ed esterno contemporaneamente, bilanciamento di osservazione e premura interne, verso il sé, ed esterne, verso l’altro; un modulo gestaltico e insieme metalinguistico che inquadra l’oggetto d’interesse, esalta e coscientizza le composizioni prospettiche e direttrici lineari e unifica la diversità delle visioni, nel loro ritmo alternato di orizzonti infiniti spezzati da cunei montuosi; un oculo simbolo dell’atto del vedere e della camera fotografica, e al tempo stesso attribuente incredibile pittoricismo alle immagini; e infine, segno forte culturale attraverso la storia dell’arte di tutte le epoche, a partire dai ritratti di cubicula pompeiani inscritti in cerchi e dalle cornici istoriate delle miniature medievali, fino al michelangiolesco Tondo Doni, ai dipinti fiamminghi di Bruegel o Bosch e, più avanti, alle ellissi liberty, all’illustrazione, al rettangolo lobato di Segantini stesso in L’Angelo della Vita o al Luca Maria Patella di Rubedo a Montefolle.
Mille oculi/occhi d’arte per mille immagini di una sola natura; la stessa che nelle visioni di Marco Iannaccone, a umani assenti o solo evocati da panchine e vele timidamente sperdute, o affacciati come novelli viandanti friederichiani su infiniti mari di nebbia, vuol ricordare di ritrovarsi, e non rovinarsi, per i dirupi della propria immensità; la stessa che riluce dagli occhi dell’arte o dell’uomo in ogni sguardo autentico, verso il sé o verso l’altro.
*«Concerto essenziale di terra e di cielo» è felice espressione critica di Nino Barbantini sulla pittura di Segantini nel suo Giovanni Segantini, 1926.
In mostra, cinque opere fotografiche di medio formato dalla serie “Concerto essenziale di terra e di cielo”, scattate nella valle dell’Engadina in cui visse e creò, a fine Ottocento, il pittore divisionista Giovanni Segantini.
Distanti dall’essere mera fotografia di paesaggio, le visioni di Marco Iannaccone/Scarlet Lovejoy sono icastizzazione di un luogo e modalità dell’anima di riallineamento energetico, e al tempo stesso viaggio reale e metaforico alle fonti della creatività e del linguaggio non solo di Segantini ma dell’arte tutta, indagati attraverso un modulo formale ripetuto che da cornice si fa codice segnico, e contemporaneamente abbraccio emotivo.
(scorrere per testo critico di Diana Gianquitto, curatrice della mostra con la direzione artistica di Donatella Saccani)
Testo critico
Luci dei miei occhi
di Diana Gianquitto
Il culto della luce. Orchestrato nel tempio di una natura rigeneratrice. Attraverso la grammatica, oggi talora scandalosa, del bello e del sublime. Ma attraverso la ricostruzione, in senso letterale, di uno sguardo, che si fa interno ed esterno contemporaneamente.
La genesi degli scatti paesistici di Marco Iannaccone/Scarlet Lovejoy è indissolubilmente legata, in senso non aneddotico ma profondamente spirituale, all’intima dinamica estetica che li muove. L’esigenza, improvvisamente percepita nella sua potenza in un momento di vissuto particolarmente intenso dell’artista, di un attimo di raccoglimento, di riallineamento energetico nel quale ritrovare identità e struttura delle proprie forze, viene risvegliata e al tempo stesso confortata dal contatto, durante un viaggio, con l’ammaliante natura rigeneratrice dell’Engadina, che già ospitò e nutrì la vicenda artistica di Giovanni Segantini. Dimensione panica che però, nel caso di Iannaccone, viene assimilata attraverso un filtro intimamente percettivo, una camera oscura di silenzio, contemplazione, ascolto e riordinamento, che da mood atmosferico e creativo si fa vero e proprio modulo formale, fortemente caratterizzante l’intera serie, nell’ovale nero che incornicia le vedute.
Così, in un viaggio reale e - in continuo slittamento di livelli - metaforico, la ricerca delle fonti e dei luoghi della creatività del grande pittore divisionista diviene più intimamente accostamento alla sua forte energia e presenza spirituale, al suo timbro sacrale, al suo panteismo, necessari al momento biografico particolarmente incisivo dell’autore, ma in senso più allargato anche viatico di riflessione sul motore stesso di ogni fare ed essere arte.
Ed ecco dunque che i filamenti di luce aurea, i colori puri, cangianti, iridescenti, e le misteriose atmosfere luministiche della ricerca divisionista di Segantini - a loro volta modo per staccarsi dalla pedissequa rappresentazione di una natura di cui si vuole invece mostrare la profondità come allegoria e simbolo di vita, nascita, trasformazione e morte - divengono in Iannaccone riflessi dorati e contrasti mozzafiato di chiarore e oscurità, modulanti in un Concerto essenziale di terra e di cielo* ora la maestosità di un infinito più vicino al sublime romantico, ora scorci di familiarità agreste più prossima. Su tutto, l’aleggiare rassicurante e materno, pur nelle sue declinazioni più grandiose, dell’Alma Mater Natura, del legame profondo dell’uomo con essa, forza primigenia particolarmente amata e avvertita dall’artista, ancor più dopo gli esiziali avvenimenti dell’ultima e dolente attualità dell’area vesuviana. Ciò che abbiamo, e ciò che potremmo perdere.
Ed è appunto quasi in abbraccio protettivo di questo esterno - che di noi stessi è anche genitrice e culla - così come, contemporaneamente, di un’intimità necessitante di balsamo, che si curva la cornice attorno ai paesaggi: un nero che non è buio ma ristoro, e focalizzazione, presa di fiato; un ovale che si fa occhio, sguardo interno ed esterno contemporaneamente, bilanciamento di osservazione e premura interne, verso il sé, ed esterne, verso l’altro; un modulo gestaltico e insieme metalinguistico che inquadra l’oggetto d’interesse, esalta e coscientizza le composizioni prospettiche e direttrici lineari e unifica la diversità delle visioni, nel loro ritmo alternato di orizzonti infiniti spezzati da cunei montuosi; un oculo simbolo dell’atto del vedere e della camera fotografica, e al tempo stesso attribuente incredibile pittoricismo alle immagini; e infine, segno forte culturale attraverso la storia dell’arte di tutte le epoche, a partire dai ritratti di cubicula pompeiani inscritti in cerchi e dalle cornici istoriate delle miniature medievali, fino al michelangiolesco Tondo Doni, ai dipinti fiamminghi di Bruegel o Bosch e, più avanti, alle ellissi liberty, all’illustrazione, al rettangolo lobato di Segantini stesso in L’Angelo della Vita o al Luca Maria Patella di Rubedo a Montefolle.
Mille oculi/occhi d’arte per mille immagini di una sola natura; la stessa che nelle visioni di Marco Iannaccone, a umani assenti o solo evocati da panchine e vele timidamente sperdute, o affacciati come novelli viandanti friederichiani su infiniti mari di nebbia, vuol ricordare di ritrovarsi, e non rovinarsi, per i dirupi della propria immensità; la stessa che riluce dagli occhi dell’arte o dell’uomo in ogni sguardo autentico, verso il sé o verso l’altro.
*«Concerto essenziale di terra e di cielo» è felice espressione critica di Nino Barbantini sulla pittura di Segantini nel suo Giovanni Segantini, 1926.
06
ottobre 2017
Marco Iannaccone – Concerto essenziale di terra e di cielo
Dal 06 ottobre al 24 novembre 2017
fotografia
Location
SPAZIO KROMÌA
Napoli, Via Diodato Lioy, 11, (Napoli)
Napoli, Via Diodato Lioy, 11, (Napoli)
Orario di apertura
lunedì, mercoledì, venerdì: ore 10.30-13.30 e 16.30-19.30; martedì, giovedì, sabato: ore 10.30-13.30
Vernissage
6 Ottobre 2017, ore 19.00
Autore
Curatore