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Giuseppe Biasio – Opere 1973-20..
Biasio non è il pittore che puoi chiudere in un genere: resta saldamente fuori dalla dicotomia astratto/figurativo
Comunicato stampa
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GIUSEPPE BIASIO (Padova, 1928) racconta una bella vicenda italiana dai risvolti ammirevoli. E’
la storia di un uomo che fin da giovane ha frequentato l’umanità internazionale dell’arte
contemporanea, maestri come Robert Rauschenberg o Antoni Tàpies, molte Biennali veneziane
in presa diretta, altri giganti come Julian Schnabel, Mario Schifano, Emilio Vedova… tutto ciò,
inutile dirlo, ha poi trovato una forma propria, non limitando l’effetto al presenzialismo ma
agendo sulle cause, sulle motivazioni, sull’ispirazione, nonché sui materiali e temi che ogni
quadro affrontava e ancora affronta. Quella di Biasio è una battaglia feroce nel mare benevolo di
una laguna addomesticata, un ingaggio nel pragmatismo del fuoco d’ispirazione, senza
disperdersi nel salto sregolato, semmai avendo disciplina iconografica e ordine mentale, restando
in equilibrio tra vita e arte, esperienza e riflessione, dentro e fuori, citazione e autonomia.
Luciano Caprile: A Giuseppe Biasio è successo e sta ancora accadendo questo miracolo che
gli permette di estrarre da sé e di offrirci, con ricorrente impegno maieutico, ciò che la sua
sensibilità ha raccolto in tanti anni di frequentazione del mondo dell’arte ad alti livelli. La sua non
è soltanto un’esibizione di esperienze, il suo non è un compito trasferito in bella calligrafia ma è il
frutto evidente di quella qualità, concettuale ed esecutiva, che lo colloca nel solco dei maestri che
egli ha conosciuto di persona o che ha ammirato attraverso la partecipata contemplazione delle
loro opere.
Una cosa salta subito in evidenza: Biasio non è il pittore che puoi chiudere in un genere. Resta
saldamente fuori dalla dicotomia astratto/figurativo, anche perché fin dal 1973 sembrò trovare in
Rauschenberg un nume tutelare, da carpire e metabolizzare in chiave propria. Tanti hanno
provato a ispirarsi all’americano, va detto, ma pochi hanno identificato una cifra grammaticale
che si definisca autografa. Perché lo snodo, oggi come ieri, non è tanto la citazione quanto la
rigenerazione, che è cosa ben diversa dal copiare o ispirarsi passivamente. Biasio, capendo il
meccanismo “digestivo” di Ruaschenberg, ne ha ricalcato gli strumenti relazionali, l’approccio
davanti allo scarto sociale, davanti ai frammenti del consumo, davanti al dramma come diapason
dell’umanità. Da qui ha fatto proprio il meccanismo d’ingaggio, definendo una coscienza
figurativa, riconoscibile a occhio nudo, omogenea nel suo impianto compositivo. A quel punto,
intrapreso il limbo che unisce astrazione apparente e figurazione dichiarata, il gioco era fatto. O
meglio, il carico informativo iniziava a codificarsi, supportando così l’impianto espressivo, da
riempire con i frammenti che via via scovava, selezionava e inglobava nel quadro.
Virginia Baradel: Ogni opera è un progetto di base spaziale, un quadro di attrazione per le
infinite meteore viaggianti. La combinazione prevede una base di tela grossa, a vista, cucita e
strappata, solida ed eloquente, che garantisca la permanenza dopo l'atterraggio, una base
resistente all'urto, e poi segni di due nature un tempo distinte: l'una energetica, gestuale,
missilistica con i corollari spaziali di nebulose e costellazioni di scie, gocciole, sgorbi e tracciati di
perdite; l'altra impressiva di lettere, numeri, parole in forma di pittura, immagini che scardinano la
petulanza metropolitana per diventare reperti dell'epistolario solitario dell'artista. [...] La pittura
come una zattera vagante nello spazio, forte di tela, cucita e ricucita, su cui saltano i segni,
gocce e cifre si mettono in salvo, parole e vapori, buchi neri e timbri doganali e poi un corso
periglioso, nella tempesta, tra il vento e i flutti scomposti. Ogni opera è, alla fine, una zattera
dopo la tempesta, a mare aperto e piatto: la luce chiara dell'aurora rivela ogni cosa, tutti i segni
imbarcati in una deriva che si trasforma in pittura.
Gianluca Marziani: Il quadro di Biasio è un oggetto denso, quasi geologico nella sua
complessità di segni, gesti e materie. Rivela una biologia interna ad alta frequenza mediale, una
specie di scandaglio che preleva scarti dagli strati solidi del pianeta. Le superfici (tavola o tela)
registrano la sintesi del suo comporre i frammenti su un ideale pentagramma figurativo, così da
evocare note metalliche su soffici atmosfere ambientali. Le dominanti in grigio dei fondali sono
l’atmosfera che accoglie e sostiene, potremmo dire le fondamenta che reggono i piani del
palazzo pittorico. Ogni finestra, al confine tra cielo e universo domestico, incarna la ragione del
singolo quadro, la sua lotta tra sedimentazione e assorbimento.
A questo punto, stabilito il valore archetipico del “come” l’artista dipinge, capiamo il “cosa” venga
narrato nei cicli pittorici. E qui scopriamo la qualità morale del nostro, il suo nervo scoperto
davanti alla deriva umanitaria. I frammenti rigenerati reclamano un mondo con minori
diseguaglianze sociali, maggiore ripartizione dei beni, minore spreco di risorse, maggiore
distribuzione energetica. Sono tanti anni, ad esempio, che Biasio ingloba brandelli di origine
cinese, a conferma di un occhio clinico sulla patologia merceologica. Quegli ideogrammi, simili al
peso degli utensili anni Sessanta per Jim Dine, alzano l’allarme sociale per dare spazio a
un’evidenza diffusa. Direi che il tema orientale ossessiona giustamente l’arte di Biasio; così come
la tematica fumante del Medioriente, con la vicenda di Palmira in primis, sta occupando gli esiti
recenti della sua pittura. L’approccio stilistico non cambia tra i cicli, semmai mutano i frammenti
e il loro esito compositivo. Ogni quadro mostra un proprio codice materico, una spinta che
annega i brandelli o li lascia galleggiare, talvolta intravedere, altre volte emergere nella loro
nettezza storica. Quel codice modifica il ritmo del pennello, addensa o ammorbidisce il colore,
abbassa o alza la luminosità endogena, rileva una priorità prospettica. Il colore si prende cura
delle tracce sparse, offre ai frammenti una superficie d’accoglienza, una dimora che li accolga
nella permanenza metafisica del quadro.
la storia di un uomo che fin da giovane ha frequentato l’umanità internazionale dell’arte
contemporanea, maestri come Robert Rauschenberg o Antoni Tàpies, molte Biennali veneziane
in presa diretta, altri giganti come Julian Schnabel, Mario Schifano, Emilio Vedova… tutto ciò,
inutile dirlo, ha poi trovato una forma propria, non limitando l’effetto al presenzialismo ma
agendo sulle cause, sulle motivazioni, sull’ispirazione, nonché sui materiali e temi che ogni
quadro affrontava e ancora affronta. Quella di Biasio è una battaglia feroce nel mare benevolo di
una laguna addomesticata, un ingaggio nel pragmatismo del fuoco d’ispirazione, senza
disperdersi nel salto sregolato, semmai avendo disciplina iconografica e ordine mentale, restando
in equilibrio tra vita e arte, esperienza e riflessione, dentro e fuori, citazione e autonomia.
Luciano Caprile: A Giuseppe Biasio è successo e sta ancora accadendo questo miracolo che
gli permette di estrarre da sé e di offrirci, con ricorrente impegno maieutico, ciò che la sua
sensibilità ha raccolto in tanti anni di frequentazione del mondo dell’arte ad alti livelli. La sua non
è soltanto un’esibizione di esperienze, il suo non è un compito trasferito in bella calligrafia ma è il
frutto evidente di quella qualità, concettuale ed esecutiva, che lo colloca nel solco dei maestri che
egli ha conosciuto di persona o che ha ammirato attraverso la partecipata contemplazione delle
loro opere.
Una cosa salta subito in evidenza: Biasio non è il pittore che puoi chiudere in un genere. Resta
saldamente fuori dalla dicotomia astratto/figurativo, anche perché fin dal 1973 sembrò trovare in
Rauschenberg un nume tutelare, da carpire e metabolizzare in chiave propria. Tanti hanno
provato a ispirarsi all’americano, va detto, ma pochi hanno identificato una cifra grammaticale
che si definisca autografa. Perché lo snodo, oggi come ieri, non è tanto la citazione quanto la
rigenerazione, che è cosa ben diversa dal copiare o ispirarsi passivamente. Biasio, capendo il
meccanismo “digestivo” di Ruaschenberg, ne ha ricalcato gli strumenti relazionali, l’approccio
davanti allo scarto sociale, davanti ai frammenti del consumo, davanti al dramma come diapason
dell’umanità. Da qui ha fatto proprio il meccanismo d’ingaggio, definendo una coscienza
figurativa, riconoscibile a occhio nudo, omogenea nel suo impianto compositivo. A quel punto,
intrapreso il limbo che unisce astrazione apparente e figurazione dichiarata, il gioco era fatto. O
meglio, il carico informativo iniziava a codificarsi, supportando così l’impianto espressivo, da
riempire con i frammenti che via via scovava, selezionava e inglobava nel quadro.
Virginia Baradel: Ogni opera è un progetto di base spaziale, un quadro di attrazione per le
infinite meteore viaggianti. La combinazione prevede una base di tela grossa, a vista, cucita e
strappata, solida ed eloquente, che garantisca la permanenza dopo l'atterraggio, una base
resistente all'urto, e poi segni di due nature un tempo distinte: l'una energetica, gestuale,
missilistica con i corollari spaziali di nebulose e costellazioni di scie, gocciole, sgorbi e tracciati di
perdite; l'altra impressiva di lettere, numeri, parole in forma di pittura, immagini che scardinano la
petulanza metropolitana per diventare reperti dell'epistolario solitario dell'artista. [...] La pittura
come una zattera vagante nello spazio, forte di tela, cucita e ricucita, su cui saltano i segni,
gocce e cifre si mettono in salvo, parole e vapori, buchi neri e timbri doganali e poi un corso
periglioso, nella tempesta, tra il vento e i flutti scomposti. Ogni opera è, alla fine, una zattera
dopo la tempesta, a mare aperto e piatto: la luce chiara dell'aurora rivela ogni cosa, tutti i segni
imbarcati in una deriva che si trasforma in pittura.
Gianluca Marziani: Il quadro di Biasio è un oggetto denso, quasi geologico nella sua
complessità di segni, gesti e materie. Rivela una biologia interna ad alta frequenza mediale, una
specie di scandaglio che preleva scarti dagli strati solidi del pianeta. Le superfici (tavola o tela)
registrano la sintesi del suo comporre i frammenti su un ideale pentagramma figurativo, così da
evocare note metalliche su soffici atmosfere ambientali. Le dominanti in grigio dei fondali sono
l’atmosfera che accoglie e sostiene, potremmo dire le fondamenta che reggono i piani del
palazzo pittorico. Ogni finestra, al confine tra cielo e universo domestico, incarna la ragione del
singolo quadro, la sua lotta tra sedimentazione e assorbimento.
A questo punto, stabilito il valore archetipico del “come” l’artista dipinge, capiamo il “cosa” venga
narrato nei cicli pittorici. E qui scopriamo la qualità morale del nostro, il suo nervo scoperto
davanti alla deriva umanitaria. I frammenti rigenerati reclamano un mondo con minori
diseguaglianze sociali, maggiore ripartizione dei beni, minore spreco di risorse, maggiore
distribuzione energetica. Sono tanti anni, ad esempio, che Biasio ingloba brandelli di origine
cinese, a conferma di un occhio clinico sulla patologia merceologica. Quegli ideogrammi, simili al
peso degli utensili anni Sessanta per Jim Dine, alzano l’allarme sociale per dare spazio a
un’evidenza diffusa. Direi che il tema orientale ossessiona giustamente l’arte di Biasio; così come
la tematica fumante del Medioriente, con la vicenda di Palmira in primis, sta occupando gli esiti
recenti della sua pittura. L’approccio stilistico non cambia tra i cicli, semmai mutano i frammenti
e il loro esito compositivo. Ogni quadro mostra un proprio codice materico, una spinta che
annega i brandelli o li lascia galleggiare, talvolta intravedere, altre volte emergere nella loro
nettezza storica. Quel codice modifica il ritmo del pennello, addensa o ammorbidisce il colore,
abbassa o alza la luminosità endogena, rileva una priorità prospettica. Il colore si prende cura
delle tracce sparse, offre ai frammenti una superficie d’accoglienza, una dimora che li accolga
nella permanenza metafisica del quadro.
24
giugno 2017
Giuseppe Biasio – Opere 1973-20..
Dal 24 giugno al 24 settembre 2017
arte contemporanea
Location
PALAZZO COLLICOLA ARTI VISIVE – MUSEO CARANDENTE
Spoleto, Via Loreto Vittori, 11, (Perugia)
Spoleto, Via Loreto Vittori, 11, (Perugia)
Vernissage
24 Giugno 2017, ore 12
Autore
Curatore