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30
ottobre 2008
fino al 3.XI.2008 Claudio Adami Roma, Pino Casagrande
roma
Un diario fatto di parole illeggibili. Pagine quotidiane cancellate segnano lo scorrere dei giorni e degli anni. Adami presenta su grandi carte bianche la memoria del proprio gesto e del tempo. Per il ritorno allo Studio dopo un triennio...
Claudio Adami (Città di Castello, Perugia, 1951; vive a Roma) torna a esporre allo Studio Casagrande il risultato del suo lavoro, proponendo una selezione di opere recenti, su carta, di grande formato. A un primo sguardo appaiono come composizioni astratte, rigorose e geometriche: i fogli – montati alle pareti in cornici di plexiglas o sciolti o tenuti insieme in forma di libro – presentano un’alternanza di rettangoli neri che, articolandosi sul fondo bianco, determinano un motivo a scacchiera.
Solo avvicinandosi alle superfici di questi lavori si scorge la natura del fare di Adami, pratica giornaliera che l’artista interpreta come “quotidiana redazione artistica del sé” e che consiste in un esercizio grafico su carta: scrivere cancellando, seguendo l’andamento delle righe dei fogli, conservando le pause e gli intervalli. Pagine nere compongono diari silenziosi dove le date, stampate meccanicamente con un datario, sono l’unica traccia visibile dello scorrere dei giorni e scandiscono la quantità di spazio che, in un tempo giornalmente prestabilito, l’artista ha campito con il medesimo gesto. È dunque il gesto, il fare, il fulcro della ricerca dell’artista; un gesto adottato sin dal 1979. Inizialmente Adami trascrive testi di Samuel Beckett; successivamente esegue una scrittura de-significata che, come ricordano gli autori dei testi in catalogo, si avvicina all’attività dei calligrafi orientali, assunta come pratica di meditazione e avvicinamento al trascendente.
L’insieme dei lavori di Adami costituisce un’inesauribile interrogazione sul tempo e sul suo significato; la forma di espressione artistica adottata è coerente e rigorosa, vicina in questo alla ricerca condotta da Roman Opalka e da On Kawara, e si fonda sulla reiterazione di una scrittura svolta e insieme negata, che nel suo farsi determina la durata del tempo.
Le forme che si generano sono “astrazioni controllatissime”, composizioni minimali, singole ma indivisibili: il corpus dei lavori costituisce nel suo insieme un’autobiografia antinarrativa, che si affida all’atto artistico come generatore del tempo e dello spazio dell’arte e della vita. L’opera, in questa modalità, è svincolata da una finalità o da un progetto, ma vive del solo presente e del suo costituirsi come memoria del quotidiano fluire dell’esistenza.
Le righe cancellate, coperte da spesse strisce nere, richiamano alla mente, nella resa formale, le opere di Emilio Isgrò, incentrate però, a differenza di quelle di Adami, sulla decostruzione del testo e dei processi di comunicazione. Del suo lavoro Isgrò ha detto: “Io cancello le parole per custodirle, è un segno di salvezza”. Ma non è forse anche l’opera di Adami un tentativo di salvarsi dalla perdita di senso del tempo?
Solo avvicinandosi alle superfici di questi lavori si scorge la natura del fare di Adami, pratica giornaliera che l’artista interpreta come “quotidiana redazione artistica del sé” e che consiste in un esercizio grafico su carta: scrivere cancellando, seguendo l’andamento delle righe dei fogli, conservando le pause e gli intervalli. Pagine nere compongono diari silenziosi dove le date, stampate meccanicamente con un datario, sono l’unica traccia visibile dello scorrere dei giorni e scandiscono la quantità di spazio che, in un tempo giornalmente prestabilito, l’artista ha campito con il medesimo gesto. È dunque il gesto, il fare, il fulcro della ricerca dell’artista; un gesto adottato sin dal 1979. Inizialmente Adami trascrive testi di Samuel Beckett; successivamente esegue una scrittura de-significata che, come ricordano gli autori dei testi in catalogo, si avvicina all’attività dei calligrafi orientali, assunta come pratica di meditazione e avvicinamento al trascendente.
L’insieme dei lavori di Adami costituisce un’inesauribile interrogazione sul tempo e sul suo significato; la forma di espressione artistica adottata è coerente e rigorosa, vicina in questo alla ricerca condotta da Roman Opalka e da On Kawara, e si fonda sulla reiterazione di una scrittura svolta e insieme negata, che nel suo farsi determina la durata del tempo.
Le forme che si generano sono “astrazioni controllatissime”, composizioni minimali, singole ma indivisibili: il corpus dei lavori costituisce nel suo insieme un’autobiografia antinarrativa, che si affida all’atto artistico come generatore del tempo e dello spazio dell’arte e della vita. L’opera, in questa modalità, è svincolata da una finalità o da un progetto, ma vive del solo presente e del suo costituirsi come memoria del quotidiano fluire dell’esistenza.
Le righe cancellate, coperte da spesse strisce nere, richiamano alla mente, nella resa formale, le opere di Emilio Isgrò, incentrate però, a differenza di quelle di Adami, sulla decostruzione del testo e dei processi di comunicazione. Del suo lavoro Isgrò ha detto: “Io cancello le parole per custodirle, è un segno di salvezza”. Ma non è forse anche l’opera di Adami un tentativo di salvarsi dalla perdita di senso del tempo?
claudia paielli
mostra visitata il 23 settembre 2008
dal 23 settembre al 3 novembre 2008
Claudio Adami – …analytic(al)
Studio d’Arte Contemporanea Pino Casagrande
Via degli Ausoni, 7/a (zona San Lorenzo) – 00185 Roma
Orario: da lunedì a venerdì dalle ore 17-20
Ingresso libero
Catalogo disponibile
Info: tel./fax +39 064463480; gallcasagrande@alice.it
[exibart]