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Disio. Nostalgia del futuro
Disio è una mostra transmediale, transgenerazionale e multiculturale organizzata a Caracas negli spazi della Sala TAC (Trasnocho Cultural) e de La Caja (Centro Cultural Chacao).
Comunicato stampa
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La mostra vuole offrire un gemellaggio costruttivo tra due paesi che presentano alcune confluenze visive e alcuni atteggiamenti che saltano il fosso della diversità per dar luogo ad una serie di scambi, di interventi intermittenti che creano vie di fuga, forze plurivoche, corali, polifoniche – la cui polifonia pone le basi di una riflessione sulla fratellanza, sui pensieri ancora pensabili, sui domini della libertà.
Segnata da un rapporto di partecipazione culturale, di contaminazione linguistica, di necessaria coesistenza delle differenze e dalla basilare evocazione di un unterschiedlich (Nietzsche), la mostra vuole riflettere su una serie di fenomeni contemporanei che, nati dall'impeto della mondializzazione, mostrano codici sempre più aperti alla fusione di stili, di espressioni, di formule creative che superano il confine del quotidiano e trasformano l’opera in un dispositivo di ordine riflessivo che invita a vedere da un'altezza nuova il mondo, le cose, gli avvenimenti.
Diviso in tre sezioni – La presenza del futuro, Tornare e Passato prossimo – ognuna delle quali è da intendersi come confluenza delle altre, il progetto Disio, termine preso a prestito da Dante (Purgatorio, VIII, vv. 1-3: «Era già l’ora che volge il disio») per indicare lo sgambetto al tempo della saudade, vuole essere un momento di dibattito sullo stato dell’arte, un luogo che riattiva il giudizio critico e l’intelligenza da un’atmosfera dalla quale sono spesso banditi.
Generata dall’incontro di alcune figure (Armando Reverón, Umberto Boccioni, Marcel Duchamp, Kazimir Malevič) la cui indiscutibile portata estetica scavalca il tempo, lo spazio e ogni genere di territorialità La presenza del futuro (prima sezione organizzata negli spazi della Sala TAC – Trasnocho Cultural, diretta da Félix Suazo), disegna un quadrato – formato dal Teléfono di Reverón, dal Disegno per forme uniche di continuità nello spazio di Boccioni, dal Disegno suprematista di Malevič e dal Nudo in piedo di Duchamp – il cui potere magnetico è visione futura, presenza costante dell’attuale, lettura dell’avvenire. Due nomi di recente generazione (Luis Arroyo e Magdalena Fernandez) entrano in questo anello visivo con un lavoro congiunto, come appendici di una riflessione che si estende al presente e alle presenze d’oggi per evidenziare una crescita dell’arte, del pensiero critico, dell’ideologia celeste che agisce sul futuro in quanto tempo di una coniugazione. Con un’opera significativa, sempre nella stessa area, i cinque artisti italiani e i dieci venezuelani presenti anche nella sezione di mezzo (Tornare), presentano una traccia estetica del loro lavoro, un indizio, una impronta capace di marcare la loro visione del mondo, il loro sguardo a venire.
La sezione dedicata al ritorno (Tornare, organizzata negli spazi de La Caja – Centro Cultural Chacao, diretti da Carolina Balza) è il cuore della mostra, e vuole proporre i lavori site specific nati dal trialogo degli artisti delle cinque generazioni che ricoprono idealmente il secondo Novecento – l’idea è di mettere in conversazione tra loro questi artisti dapprima in maniera epistolare e poi reale, con lo scopo di farli lavorare insieme nel Centro Cultural Chacao, dove si auspica che realizzino opere a sei mani tra gli spazi interni ed esterni, tra l’aperto e il chiuso, tra l’Innen e l’Aussen.
Grazie alla forza creatrice di cinque artisti italiani – Enrico Pulsoni, Giovanni Termini, Eugenio Tibaldi, Domenico Antonio Mancini e Antonio Della Guardia – in dialogo con dieci artisti venezuelani – Jason Galarraga e Adolfo Alayón, Luis Millé e Zeinab Rebeca Bulhossen, Hayfer Brea e Ángela Bonadies, Iván Candeo e Camilo Barboza, Eduardo Vargas Rico e Manuel Eduardo González – la mostra vuole proporre, in un quadro di incerti equilibri economici, politici e sociali, la magia di un risveglio, l’entusiasmo bipolare di riprendere in mano la tradizione (la perennità di valori acquisiti nel passato che si proiettano nel futuro), il desiderio di un impegno comune.
Partendo da un clima socio-antropologico e dall’installazione unica (Las Cestas) di ‘guapas’, ceste circolari di grande ricchezza decorativa che vengono elaborate dagli Yekuana, popolo indigeno del Venezuela, la terza sezione (anche questa organizzata a La Caja) pone al centro dell’attenzione lo spazio perfetto di una geometria che caratterizza non solo molte delle riflessioni artistiche italiane nate in seno ai gruppi dell’Arte Cinetica e Programmata dei primi anni Sessanta del XX secolo che si intersecano con i nomi lucenti di Jesús Soto e Carlos Cruz-Diez, ma anche alcune dinamiche delle culture attuali. Si tratta di un secondo quadrato che, grazie al lavoro di un artista venezuelano (Antonio Paz) e di due artisti italiani (Max Coppeta e Fabrizio Cotognini), costruisce un momento irrinunciabile, una riflessione sullo splendore della geometria, un itinerario sul furor mathematicus attuale.
Nato da un sopralluogo a Caracas, da un confronto con la scena artistica e culturale del territorio, da un riscontro con alcune figure e con alcuni luoghi della città, il progetto vuole creare un momento di dibattito visivo e riflessivo (avvalorato dall'organizzazione di una mattinata di studi) su un futuro che non è più quello di una volta. Se da una parte infatti il futuro non è più quello di una volta, dall’altra la sua presenza nel presente condiziona gli sviluppi estetici con una libertà creativa che smarca l'artista dalla dittatura del singolo linguaggio per orientarlo in uno scenario polivalente, la cui scelta repubblicana pone sullo stesso piano materiali, tecniche, analisi, discipline. L’artista mette nel sacco lo spazio e il tempo per celebrare una nascita gemellare che annienta la territorialità e l’appartenenza stagna al singolo luogo, fino ad assumere un atteggiamento assorbente grazie al quale tiene stretta la propria origine culturale e contemporaneamente si apre all’altro, alla differenza, all’ospitalità.
Segnata da un rapporto di partecipazione culturale, di contaminazione linguistica, di necessaria coesistenza delle differenze e dalla basilare evocazione di un unterschiedlich (Nietzsche), la mostra vuole riflettere su una serie di fenomeni contemporanei che, nati dall'impeto della mondializzazione, mostrano codici sempre più aperti alla fusione di stili, di espressioni, di formule creative che superano il confine del quotidiano e trasformano l’opera in un dispositivo di ordine riflessivo che invita a vedere da un'altezza nuova il mondo, le cose, gli avvenimenti.
Diviso in tre sezioni – La presenza del futuro, Tornare e Passato prossimo – ognuna delle quali è da intendersi come confluenza delle altre, il progetto Disio, termine preso a prestito da Dante (Purgatorio, VIII, vv. 1-3: «Era già l’ora che volge il disio») per indicare lo sgambetto al tempo della saudade, vuole essere un momento di dibattito sullo stato dell’arte, un luogo che riattiva il giudizio critico e l’intelligenza da un’atmosfera dalla quale sono spesso banditi.
Generata dall’incontro di alcune figure (Armando Reverón, Umberto Boccioni, Marcel Duchamp, Kazimir Malevič) la cui indiscutibile portata estetica scavalca il tempo, lo spazio e ogni genere di territorialità La presenza del futuro (prima sezione organizzata negli spazi della Sala TAC – Trasnocho Cultural, diretta da Félix Suazo), disegna un quadrato – formato dal Teléfono di Reverón, dal Disegno per forme uniche di continuità nello spazio di Boccioni, dal Disegno suprematista di Malevič e dal Nudo in piedo di Duchamp – il cui potere magnetico è visione futura, presenza costante dell’attuale, lettura dell’avvenire. Due nomi di recente generazione (Luis Arroyo e Magdalena Fernandez) entrano in questo anello visivo con un lavoro congiunto, come appendici di una riflessione che si estende al presente e alle presenze d’oggi per evidenziare una crescita dell’arte, del pensiero critico, dell’ideologia celeste che agisce sul futuro in quanto tempo di una coniugazione. Con un’opera significativa, sempre nella stessa area, i cinque artisti italiani e i dieci venezuelani presenti anche nella sezione di mezzo (Tornare), presentano una traccia estetica del loro lavoro, un indizio, una impronta capace di marcare la loro visione del mondo, il loro sguardo a venire.
La sezione dedicata al ritorno (Tornare, organizzata negli spazi de La Caja – Centro Cultural Chacao, diretti da Carolina Balza) è il cuore della mostra, e vuole proporre i lavori site specific nati dal trialogo degli artisti delle cinque generazioni che ricoprono idealmente il secondo Novecento – l’idea è di mettere in conversazione tra loro questi artisti dapprima in maniera epistolare e poi reale, con lo scopo di farli lavorare insieme nel Centro Cultural Chacao, dove si auspica che realizzino opere a sei mani tra gli spazi interni ed esterni, tra l’aperto e il chiuso, tra l’Innen e l’Aussen.
Grazie alla forza creatrice di cinque artisti italiani – Enrico Pulsoni, Giovanni Termini, Eugenio Tibaldi, Domenico Antonio Mancini e Antonio Della Guardia – in dialogo con dieci artisti venezuelani – Jason Galarraga e Adolfo Alayón, Luis Millé e Zeinab Rebeca Bulhossen, Hayfer Brea e Ángela Bonadies, Iván Candeo e Camilo Barboza, Eduardo Vargas Rico e Manuel Eduardo González – la mostra vuole proporre, in un quadro di incerti equilibri economici, politici e sociali, la magia di un risveglio, l’entusiasmo bipolare di riprendere in mano la tradizione (la perennità di valori acquisiti nel passato che si proiettano nel futuro), il desiderio di un impegno comune.
Partendo da un clima socio-antropologico e dall’installazione unica (Las Cestas) di ‘guapas’, ceste circolari di grande ricchezza decorativa che vengono elaborate dagli Yekuana, popolo indigeno del Venezuela, la terza sezione (anche questa organizzata a La Caja) pone al centro dell’attenzione lo spazio perfetto di una geometria che caratterizza non solo molte delle riflessioni artistiche italiane nate in seno ai gruppi dell’Arte Cinetica e Programmata dei primi anni Sessanta del XX secolo che si intersecano con i nomi lucenti di Jesús Soto e Carlos Cruz-Diez, ma anche alcune dinamiche delle culture attuali. Si tratta di un secondo quadrato che, grazie al lavoro di un artista venezuelano (Antonio Paz) e di due artisti italiani (Max Coppeta e Fabrizio Cotognini), costruisce un momento irrinunciabile, una riflessione sullo splendore della geometria, un itinerario sul furor mathematicus attuale.
Nato da un sopralluogo a Caracas, da un confronto con la scena artistica e culturale del territorio, da un riscontro con alcune figure e con alcuni luoghi della città, il progetto vuole creare un momento di dibattito visivo e riflessivo (avvalorato dall'organizzazione di una mattinata di studi) su un futuro che non è più quello di una volta. Se da una parte infatti il futuro non è più quello di una volta, dall’altra la sua presenza nel presente condiziona gli sviluppi estetici con una libertà creativa che smarca l'artista dalla dittatura del singolo linguaggio per orientarlo in uno scenario polivalente, la cui scelta repubblicana pone sullo stesso piano materiali, tecniche, analisi, discipline. L’artista mette nel sacco lo spazio e il tempo per celebrare una nascita gemellare che annienta la territorialità e l’appartenenza stagna al singolo luogo, fino ad assumere un atteggiamento assorbente grazie al quale tiene stretta la propria origine culturale e contemporaneamente si apre all’altro, alla differenza, all’ospitalità.
04
giugno 2017
Disio. Nostalgia del futuro
Dal 04 giugno al 09 luglio 2017
arte contemporanea
Location
GABA.MC – GALLERIA DELL’ACCADEMIA DI BELLE ARTI
Macerata, Piazza Vittorio Veneto, 7, (Macerata)
Macerata, Piazza Vittorio Veneto, 7, (Macerata)
Vernissage
4 Giugno 2017, ore 11:00
Autore
Curatore