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Maurizio Osti – Ritmi di una cosmogonia individuale
Chiave della poetica di Osti è infatti la Tetraktys pitagorica, modello teorico e conoscitivo antichissimo, che oltre a stabilire i codici concettuali e matematici per la conoscenza della realtà fisica era guida della vita divina celeste e umana[…]
Comunicato stampa
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RITMI DI UNA COSMOGONIA INDIVIDUALE
di Pasquale Fameli
Uno sguardo retrospettivo sulla ricerca di Maurizio Osti ci permette di annoverarlo tra quegli autori che, nei primissimi anni Settanta, hanno contribuito a riscattare la ricerca concettuale dalla sterilità dell’analisi e della tautologia. L’atteggiamento “chiuso”, orientato soltanto a verifiche e rimandi interni, che ha caratterizzato tanta dell’Arte Concettuale alla sua nascita, seppure storicamente necessario, era fin troppo limitato nelle possibilità di eventuali sviluppi futuri; è, del resto, nella natura stessa della tautologia il rifiuto alla produzione di significato e all’apertura di senso. Per queste ragioni, autori come Osti hanno reintrodotto le fertili aperture del simbolico, con rimandi alchemici, esoterici o mitici a seconda dei casi. In relazione a questa nuova attitudine, Harald Szeemann ha coniato, già nel 1972, la suggestiva definizione di mitologie individuali”, che ben si addice al nostro autore, immerso in una cosmogonia personale nutrita di conoscenze antichissime. Una ricerca che, partendo dall’inevitabilità di una relazione con il mondo, va ben oltre quella morsa dialettica che Francesco Arcangeli aveva colto nell’Informale e che chiamava il “senso del due”, arrivando a imperniarsi piuttosto su un possibile “senso del dieci”. Chiave della poetica di Osti è infatti la Tetraktys pitagorica, modello teorico e conoscitivo antichissimo, che oltre a stabilire i codici concettuali e matematici per la conoscenza della realtà fisica era guida della vita divina celeste e umana, come ci riferisce Filolao; infatti, i pitagorici concepivano i numeri come essenze primarie dell’universo fisico, di cui il “10” ne rappresenta la sintesi sapienziale globale. Da qui Osti ricava un vero e proprio schema di comportamento estetico che lo porta a indagare polarità concettuali e fisiche, ora affidandole ad antinomiche visioni ora condensandole, come nelle recenti Miniature, in più diretti conflitti semici: lo spazio di un’immagine “trovata” tra i prodotti della comunicazione di massa viene infatti a costituire l’arena di una triplice lotta tra indice, icona e simbolo, dove la brutalità della materia informe, concepita qui in funzione disegnativa, ottunde e corrode le istanze di omologati codici linguistici e visivi. Una medesima logica si può attribuire ai Lybris, totem realizzati destrutturando libri, fumetti o riviste di vario genere, anche erotiche, arrotolandone le pagine strappate per disporle poi in ordinati ritmi minimali, come cantillazioni “intonate” visivamente con l’obiettivo di demistificare ogni stereotipia comunicativa. Il processo di realizzazione dell’opera vede la ripetizione di un gesto semplice farsi rituale di conversione del prosaico nel magico e del multiplo nell’unico. La relazione che viene a stabilirsi tra il piano orizzontale, su cui si dispone il residuo del fascicolo utilizzato, e quello verticale, su cui si erge la leggerissima “scultura”, fa leva su una diarchia simbolica, su un’incidenza degli opposti che conferisce alle dimensioni dello spazio inedite valenze metaforiche di elevazione e caduta, di distacco e attrazione. La relazione con l’ambiente non si limita infatti a un mero dialogo con le proprietà strutturali dello spazio espositivo, ma punta a stabilire più sottili e impalpabili rapporti, concettuali e formali: è ciò che notiamo nella Costellazione miniature, dove la disposizione degli elementi viene ripensata, per ogni occasione espositiva, in base allo schema di raggruppamento della costellazione del mese corrispondente alla data di inaugurazione della mostra stessa, come a tracciare una suggestiva proiezione omotetica intrisa di valenze mistiche.
di Pasquale Fameli
Uno sguardo retrospettivo sulla ricerca di Maurizio Osti ci permette di annoverarlo tra quegli autori che, nei primissimi anni Settanta, hanno contribuito a riscattare la ricerca concettuale dalla sterilità dell’analisi e della tautologia. L’atteggiamento “chiuso”, orientato soltanto a verifiche e rimandi interni, che ha caratterizzato tanta dell’Arte Concettuale alla sua nascita, seppure storicamente necessario, era fin troppo limitato nelle possibilità di eventuali sviluppi futuri; è, del resto, nella natura stessa della tautologia il rifiuto alla produzione di significato e all’apertura di senso. Per queste ragioni, autori come Osti hanno reintrodotto le fertili aperture del simbolico, con rimandi alchemici, esoterici o mitici a seconda dei casi. In relazione a questa nuova attitudine, Harald Szeemann ha coniato, già nel 1972, la suggestiva definizione di mitologie individuali”, che ben si addice al nostro autore, immerso in una cosmogonia personale nutrita di conoscenze antichissime. Una ricerca che, partendo dall’inevitabilità di una relazione con il mondo, va ben oltre quella morsa dialettica che Francesco Arcangeli aveva colto nell’Informale e che chiamava il “senso del due”, arrivando a imperniarsi piuttosto su un possibile “senso del dieci”. Chiave della poetica di Osti è infatti la Tetraktys pitagorica, modello teorico e conoscitivo antichissimo, che oltre a stabilire i codici concettuali e matematici per la conoscenza della realtà fisica era guida della vita divina celeste e umana, come ci riferisce Filolao; infatti, i pitagorici concepivano i numeri come essenze primarie dell’universo fisico, di cui il “10” ne rappresenta la sintesi sapienziale globale. Da qui Osti ricava un vero e proprio schema di comportamento estetico che lo porta a indagare polarità concettuali e fisiche, ora affidandole ad antinomiche visioni ora condensandole, come nelle recenti Miniature, in più diretti conflitti semici: lo spazio di un’immagine “trovata” tra i prodotti della comunicazione di massa viene infatti a costituire l’arena di una triplice lotta tra indice, icona e simbolo, dove la brutalità della materia informe, concepita qui in funzione disegnativa, ottunde e corrode le istanze di omologati codici linguistici e visivi. Una medesima logica si può attribuire ai Lybris, totem realizzati destrutturando libri, fumetti o riviste di vario genere, anche erotiche, arrotolandone le pagine strappate per disporle poi in ordinati ritmi minimali, come cantillazioni “intonate” visivamente con l’obiettivo di demistificare ogni stereotipia comunicativa. Il processo di realizzazione dell’opera vede la ripetizione di un gesto semplice farsi rituale di conversione del prosaico nel magico e del multiplo nell’unico. La relazione che viene a stabilirsi tra il piano orizzontale, su cui si dispone il residuo del fascicolo utilizzato, e quello verticale, su cui si erge la leggerissima “scultura”, fa leva su una diarchia simbolica, su un’incidenza degli opposti che conferisce alle dimensioni dello spazio inedite valenze metaforiche di elevazione e caduta, di distacco e attrazione. La relazione con l’ambiente non si limita infatti a un mero dialogo con le proprietà strutturali dello spazio espositivo, ma punta a stabilire più sottili e impalpabili rapporti, concettuali e formali: è ciò che notiamo nella Costellazione miniature, dove la disposizione degli elementi viene ripensata, per ogni occasione espositiva, in base allo schema di raggruppamento della costellazione del mese corrispondente alla data di inaugurazione della mostra stessa, come a tracciare una suggestiva proiezione omotetica intrisa di valenze mistiche.
13
maggio 2017
Maurizio Osti – Ritmi di una cosmogonia individuale
Dal 13 al 28 maggio 2017
arte contemporanea
Location
GALLERIA DEL CARBONE
Ferrara, Via Del Carbone, 18, (Ferrara)
Ferrara, Via Del Carbone, 18, (Ferrara)
Orario di apertura
dal mercoledì al venerdì 17.00-20.00;
sabato e festivi 11.00-12.30 17.00-20.00; lunedì e martedì chiuso
Vernissage
13 Maggio 2017, ore 18.00
Autore
Curatore