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Omaggio a Dino Guerrini
Mostra retrospettiva di un artista del territorio toscano che dalla figurazione morandiana e casoratiana si è orientato verso il concretismo e il poverismo negli anni settanta.
Comunicato stampa
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Artista purtroppo non molto riconosciuto nel territorio toscano nonostante il suo lungo itinerario creativo in cui ha spaziato dalla figurazione al concretismo, Dino Guerrini (Empoli 1928 - 2012) è stato uno sperimentatore che, al di là della pittura, del tradizionale colore acrilico, e del disegno, utilizzando la grafite o la china, ha manifestato una intensa passione nella ricerca dei materiali focalizzando la sua attenzione sulle esperienze d’avanguardia, oltre il contesto locale. Infatti se i suoi inizi sono caratterizzati da una tessitura cromatica prossima all’ à plat tipico dei simbolisti e degli espressionisti e da una composizione strutturale che ricorda la ‘patina’ morandiana, come scrive Giorgio Cortenova sottolineando la sua coerenza interna e la sua complessità in un articolo pubblicato nel dicembre 1974 su Il Giornale d’Italia in occasione della sua prima personale bolognese presentata dalla critica, attualmente novantenne, Lara Vinca Masini, nel corso degli anni prende le distanze dalla figurazione, pur senza mai abbandonarla e si orienta verso il concretismo, mantenendo fino alla scomparsa un’alternanza tra i due versanti. Osservando i suoi dipinti figurativi è possibile cogliere le suggestioni della elaborazione pittorica morandiana, della costruzione dell’imposto spaziale a posteriori rispetto agli oggetti che dialogano attraverso lo studio minuto dei rapporti tonali che comportano il delinearsi di forme cezanniane e ripercorrere con lo sguardo i presupposti della metafisica casoratiana, se consideriamo i tavoli e le nature morte con le uova, attraversando gli spazi desolati dell’assenza e dell’immobilità dechirichiana condensati in una pittura pacata e meditativa.
“Dopo un primo periodo di una figurazione semplificata, dal colore scandito, in bilico tra il naïf e certo primitivismo lievemente allusivo dei risultati della Scuola di Pont Aven – ben sottolinea Lara Vinca Masini – è passato ad una meditazione assorta sulla scansione nitida delle forme e dei volumi e sui valori tonali, che ritrovava Cézanne attraverso la metafisica casoratiana e approdava alla scoperta della luce incantata di Morandi”.
Le tonalità delle terre sono infatti capaci di calibrare le forme degli oggetti così come nei paesaggi comportano l’alternarsi dei piani che evita ogni schema o scatola prospettica a priori per studiare invece le relazioni tra le cose nello spazio empirico, come portato di una conoscenza diretta e non solo come applicazione di una teoria.
La luce intrinseca della composizione e non esterna, come se provenisse dalle cose stesse, originandosi da dentro, è una caratteristica che Guerrini mantiene anche nel percorso intrapreso sulla via dell’astrazione concreta nel corso degli anni Settanta, operando per riduzione ed utilizzando carte bianche e cartoni neutri pieghettati come materiali trovati e ritagliati per comporre forme geometriche in combinazione su un supporto di dimensioni diverse, o reti metalliche applicate su una superficie dipinta o scandita in riquadri di matrice costruttiva per sperimentare il gioco visivo delle trame, attribuendo valore ad ogni elemento ‘spaziale’ votato o finalizzato a rendere l’effetto di ombra - luce, pieno - vuoto, secondo una ricerca che sfiora il versante dell’arte optical basata sulla percezione cognitiva.
“Già operoso intorno al ’50 – scrive Elda Fezzi in occasione di una seconda personale nel gennaio 1978 sempre a Bologna, nel medesimo spazio, “Il Cortile”, che lo ha promosso - Dino Guerrini pubblica [...] solo da qualche anno i risultati del suo lavoro, presentando particolarmente quei tratti che contraddistinguono la sua ricerca dal momento della sua conversione, non avventata, ma perseguita con sempre maggior chiarezza di intenti, ad un principio metodologico, ad una organizzazione selettiva e riduttiva dell’immagine – oggetto. - E conferma che – in coincidenza con quella fase di semplificazione dei dati iconici, a metà degli anni sessanta, è valsa a Guerrini la scoperta, o meglio, la decifrazione, di certe indicazioni sulla ‘verità della luce’, già cercate in parte nelle sue esperienze precedenti, ma sviluppate poi su una rilettura delle equivalenze plastiche rese essenziali attraverso unità strutturali di colore – luce, quali si erano manifestate nella pittura ‘metafisica’ e peculiarmente negli esempi morandiani”. Prosegue indicando che “nei dipinti degli anni sessanta, nella disposizione singolare del segno-immagine degli oggetti – erano allora ‘nature morte’ talora composte di ‘tele’, ‘telai’, immagini proprie dell’ambiente del pittore [...] quegli oggetti erano dipinti in un singolare trompe-l’oeil, a effetto mimetico, come fossero specchiati, ma a rovescio. Le ‘cose ordinarie’, gli oggetti del quotidiano apparivano elusi nella loro denotazione usuale, convenzionale”, per giungere gradualmente alla “smaterializzazione dell’oggetto”, alla “trasposizione nei valori di incognite energie di spazio, luce, ritmo, tensione, proprio nelle caratteristiche di materiali ‘poveri’, o dei segni dell’habitat”, adoperando le corde, le reti per ritrovare in esse una significanza, non espressamente o strettamente simbolica, ma un valore costruttivo e percettivo, in sé e per sé, per creare textures e non solo per sintetizzare il reale ma per offrire un contributo - opera come creazione del reale, come nuova realtà.
Se la critica negli anni settanta da un lato propone una ‘affinità’ con Lo Savio o Morellet, dall’altro possiamo evidenziare anche un ‘confronto’ con Tano Festa e la scuola di Piazza del Popolo, proprio per la sottile ironia che emerge in alcune sue opere come la sagoma del David di Michelangelo con i cappi al collo, segno di rivisitazione di modelli del passato artistico in chiave neopop, come critica dissacratoria di simboli e miti del mondo consumistico declinati ormai dal ‘santuario’ dell’arte e diffusi come emblemi di un linguaggio popular.
“Il passo dalla ricerca formale alla denuncia sociale, da noveau réalisme, in chiave quasi poverista, è brevissimo e diretto. – scrive ancora Lara Vinca Masini nel 1978 riferendosi ai suoi esiti – [...] Il caso delle ‘imposte’, delle ‘targhe automobilistiche’ macroscopizzate: e, soprattutto, quello di tutta la serie dei ‘cappi’ [...]: dalle sequenze ritmiche, monocrome, che quasi riprendono l’andamento lineare delle reti, fino ai cappi colorati – dove il colore ha un significato chiaramente simbolico e allusivo - ai telai col cappio, fino alle sagome di riferimento ad immagini prese al cappio, come la grande sagoma del David – figura per sé simbolica ed emblematica – impiccato, alla forca, con tre cappi, nei colori allusivi ad un rifiuto diretto nei confronti di ogni ideologia, quando essa si presenti col crisma del potere e rischi di annullare la sua forza rivoluzionaria nel ‘cappio’ della burocrazia” considerando i tempi della contestazione alla fine degli anni sessanta.
Rarefazione formale, materiali poveri, trovati, invenzione di rigore geometrico, sono gli aspetti che permangono dell’itinerario pittorico di Dino Guerrini, indubbiamente vissuto e perseguito con attenzione critica e meditativa fino all’ultimo.
Un ringraziamento alla Banca Cambiano Spa che ha contributo alla realizzazione e al Comune di Empoli per il patrocinio.
“Dopo un primo periodo di una figurazione semplificata, dal colore scandito, in bilico tra il naïf e certo primitivismo lievemente allusivo dei risultati della Scuola di Pont Aven – ben sottolinea Lara Vinca Masini – è passato ad una meditazione assorta sulla scansione nitida delle forme e dei volumi e sui valori tonali, che ritrovava Cézanne attraverso la metafisica casoratiana e approdava alla scoperta della luce incantata di Morandi”.
Le tonalità delle terre sono infatti capaci di calibrare le forme degli oggetti così come nei paesaggi comportano l’alternarsi dei piani che evita ogni schema o scatola prospettica a priori per studiare invece le relazioni tra le cose nello spazio empirico, come portato di una conoscenza diretta e non solo come applicazione di una teoria.
La luce intrinseca della composizione e non esterna, come se provenisse dalle cose stesse, originandosi da dentro, è una caratteristica che Guerrini mantiene anche nel percorso intrapreso sulla via dell’astrazione concreta nel corso degli anni Settanta, operando per riduzione ed utilizzando carte bianche e cartoni neutri pieghettati come materiali trovati e ritagliati per comporre forme geometriche in combinazione su un supporto di dimensioni diverse, o reti metalliche applicate su una superficie dipinta o scandita in riquadri di matrice costruttiva per sperimentare il gioco visivo delle trame, attribuendo valore ad ogni elemento ‘spaziale’ votato o finalizzato a rendere l’effetto di ombra - luce, pieno - vuoto, secondo una ricerca che sfiora il versante dell’arte optical basata sulla percezione cognitiva.
“Già operoso intorno al ’50 – scrive Elda Fezzi in occasione di una seconda personale nel gennaio 1978 sempre a Bologna, nel medesimo spazio, “Il Cortile”, che lo ha promosso - Dino Guerrini pubblica [...] solo da qualche anno i risultati del suo lavoro, presentando particolarmente quei tratti che contraddistinguono la sua ricerca dal momento della sua conversione, non avventata, ma perseguita con sempre maggior chiarezza di intenti, ad un principio metodologico, ad una organizzazione selettiva e riduttiva dell’immagine – oggetto. - E conferma che – in coincidenza con quella fase di semplificazione dei dati iconici, a metà degli anni sessanta, è valsa a Guerrini la scoperta, o meglio, la decifrazione, di certe indicazioni sulla ‘verità della luce’, già cercate in parte nelle sue esperienze precedenti, ma sviluppate poi su una rilettura delle equivalenze plastiche rese essenziali attraverso unità strutturali di colore – luce, quali si erano manifestate nella pittura ‘metafisica’ e peculiarmente negli esempi morandiani”. Prosegue indicando che “nei dipinti degli anni sessanta, nella disposizione singolare del segno-immagine degli oggetti – erano allora ‘nature morte’ talora composte di ‘tele’, ‘telai’, immagini proprie dell’ambiente del pittore [...] quegli oggetti erano dipinti in un singolare trompe-l’oeil, a effetto mimetico, come fossero specchiati, ma a rovescio. Le ‘cose ordinarie’, gli oggetti del quotidiano apparivano elusi nella loro denotazione usuale, convenzionale”, per giungere gradualmente alla “smaterializzazione dell’oggetto”, alla “trasposizione nei valori di incognite energie di spazio, luce, ritmo, tensione, proprio nelle caratteristiche di materiali ‘poveri’, o dei segni dell’habitat”, adoperando le corde, le reti per ritrovare in esse una significanza, non espressamente o strettamente simbolica, ma un valore costruttivo e percettivo, in sé e per sé, per creare textures e non solo per sintetizzare il reale ma per offrire un contributo - opera come creazione del reale, come nuova realtà.
Se la critica negli anni settanta da un lato propone una ‘affinità’ con Lo Savio o Morellet, dall’altro possiamo evidenziare anche un ‘confronto’ con Tano Festa e la scuola di Piazza del Popolo, proprio per la sottile ironia che emerge in alcune sue opere come la sagoma del David di Michelangelo con i cappi al collo, segno di rivisitazione di modelli del passato artistico in chiave neopop, come critica dissacratoria di simboli e miti del mondo consumistico declinati ormai dal ‘santuario’ dell’arte e diffusi come emblemi di un linguaggio popular.
“Il passo dalla ricerca formale alla denuncia sociale, da noveau réalisme, in chiave quasi poverista, è brevissimo e diretto. – scrive ancora Lara Vinca Masini nel 1978 riferendosi ai suoi esiti – [...] Il caso delle ‘imposte’, delle ‘targhe automobilistiche’ macroscopizzate: e, soprattutto, quello di tutta la serie dei ‘cappi’ [...]: dalle sequenze ritmiche, monocrome, che quasi riprendono l’andamento lineare delle reti, fino ai cappi colorati – dove il colore ha un significato chiaramente simbolico e allusivo - ai telai col cappio, fino alle sagome di riferimento ad immagini prese al cappio, come la grande sagoma del David – figura per sé simbolica ed emblematica – impiccato, alla forca, con tre cappi, nei colori allusivi ad un rifiuto diretto nei confronti di ogni ideologia, quando essa si presenti col crisma del potere e rischi di annullare la sua forza rivoluzionaria nel ‘cappio’ della burocrazia” considerando i tempi della contestazione alla fine degli anni sessanta.
Rarefazione formale, materiali poveri, trovati, invenzione di rigore geometrico, sono gli aspetti che permangono dell’itinerario pittorico di Dino Guerrini, indubbiamente vissuto e perseguito con attenzione critica e meditativa fino all’ultimo.
Un ringraziamento alla Banca Cambiano Spa che ha contributo alla realizzazione e al Comune di Empoli per il patrocinio.
06
maggio 2017
Omaggio a Dino Guerrini
Dal 06 maggio al 13 giugno 2017
arte contemporanea
Location
D’A SPAZIO D’ARTE
Empoli, Via Della Repubblica, 52, (Firenze)
Empoli, Via Della Repubblica, 52, (Firenze)
Orario di apertura
da martedì a sabato ore 17 - 20
Vernissage
6 Maggio 2017, ore 18.00
Autore