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Nicola Maria Martino – Io guardo
«Io guardo» è un atto poetico dove ciò che compare non rappresenta: i volti, gli aeroplani, le barche, le case, le biciclette, le cabine, gli alberi e i fiori, sono puntuazioni di colore.
Comunicato stampa
Segnala l'evento
COMUNICATO STAMPA/INVITO
Inaugurazione Mercoledì 8 Marzo 2017 alle ore 19.00
Bibliothè Contemporary Art
Trentaseiesimo appuntamento della rassegna
Unum
Io guardo
Un'opera unica di Nicola Maria Martino
Testo di Nicolas Martino
“Tutto si conduce ad unità – afferma Gallo Mazzeo - [...] nei modi più imprevisti ed imprevedibili è diventare scoperta di sé, del sé nascosto che in tanto errare e peregrinare non si è mai allontanato da sé stesso, dal proprio sogno, perimetro e area di una grande avventura, in cui ogni nome pronuncia un nome, ogni volto cerca un volto e tutti insieme recitano Unum.”
L’esposizione resterà aperta fino al 28 Marzo 2017.
Orario: dal lunedì al sabato: 11.00/23.00
https://www.facebook.com/events/1850173078604243/
Info: (+39) 06 6781427
Siamo con voi nel colore
Nicolas Martino
«Dove siete quando eravamo mille diecimila centomila non è possibile che fuori non c'è più nessuno non è possibile che non sento più niente che non sento più una voce un rumore un respiro non è possibile che fuori c'è solo un immenso cimitero dove siete mi sentite non sento non vi sento non sento più niente». Così, nelle ultime righe de «Gli invisibili», il protagonista racconta l'epilogo dell'insurrezione gioiosa degli anni Settanta finita in una sconfitta, dietro le sbarre del carcere. Una sconfitta politica ed esistenziale che coincideva anche con una violenta deprivazione sensoriale, una impossibilità di vedere, di sentire, di toccare, di parlare. Eppure, poche righe dopo, la chiusura del romanzo affida a un atto poetico la resistenza alla sconfitta: i prigionieri, tutti insieme, accendono una serie di fiaccole infilate nei buchi delle grate a illuminare il buio della notte, fuochi tremolanti che potevano essere visti solo da lontano e dall'alto, dagli automobilisti lontanissimi sull'autostrada e dagli aeroplani altissimi in cielo. Perché la resistenza e la fuga sono un diritto, ma soprattutto, non bisogna dimenticarlo, sono sempre possibili. E in effetti, a quella scontitta non solo politica ma anche artistica, a quello scacco della modernità e delle sue false promesse, è stato possibile resistere tracciando molteplici linee di fuga creatrici, e tra queste una delle più potenti è senz'altro quella che ha seguito e segue la via del colore e del suo timbro poetico. Una linea che punta tutto sul colore, le sue variazioni e le sue intensità, come significante puro che resiste alla logica della rappresentazione. In questo senso l'opera «Io guardo» è un atto poetico dove ciò che compare non rappresenta: i volti, gli aeroplani, le barche, le case, le biciclette, le cabine, gli alberi e i fiori, sono puntuazioni di colore. Il rosa-albania, l'azzurro-bisanzio, il giallo-daunia, il rosso-levante, anche solo accennati, sono significanti che istituiscono una logica propria al di là di ogni significato, proliferazione di significanti puri come perpetuo indizio di un altrove. Ma quella che si traccia qui è anche una linea «minore» contro tutto ciò che è «maggiore», nel senso che ciò che è stato o sarà, ovvero la storia, è sempre maggiore, ma ciò che diviene, in questo caso il colore, è sempre minore. «Io guardo» è allora, in quanto ripetizione differente, un'opera che sceglie il divenire contro la storia, la differenza e le sue infinite variazioni cromatiche contro la dialettica del potere. Un'opera «straniera», come stranieri sono questi volti, perché mette in moto uno scarto laterale rispetto alla tradizione moderna. Un'opera minore, come già quelle di Osvaldo Licini e Giorgio Morandi, Carmelo Bene e Tommaso Landolfi, perché a ognuno di questi volti non si può chiedere la carta d'identità né tantomeno di rimanere se stessi. Ognuno di quei volti, come i molti invisibili del romanzo, accende fiaccole nella notte, fiaccole di colore che tracciano via di fuga dal carcere dello spettacolo moderno. E noi siamo con loro, sempre altrove, nel colore.
Nicola Maria Martino ha studiato all'Accademia di Belle Arti di Roma dove ha avuto come maestro Sante Monachesi.
La sua partecipazione attiva sulla scena artistica comincia nei primi anni settanta durante i quali realizza interventi e azioni concettuali-comportamentali; a metà decennio abbandona i procedimenti analitici e la smaterializzazione del concettualismo anticipando temi e tecniche del ritorno alla pittura nell'ambito del postmoderno.
Ha esposto in numerose gallerie in Italia e all'estero, ha partecipato alla Biennale di Venezia (1980 - Progetti Speciali, e 2011 - Padiglione Italia per l'Abruzzo alla 54ª Esposizione Internazionale d'Arte di Venezia). Sue opere sono presenti in prestigiose collezioni pubbliche e private e presso la Collezione Farnesina. Vive e lavora fra Roma e l'Abruzzo.
Inaugurazione Mercoledì 8 Marzo 2017 alle ore 19.00
Bibliothè Contemporary Art
Trentaseiesimo appuntamento della rassegna
Unum
Io guardo
Un'opera unica di Nicola Maria Martino
Testo di Nicolas Martino
“Tutto si conduce ad unità – afferma Gallo Mazzeo - [...] nei modi più imprevisti ed imprevedibili è diventare scoperta di sé, del sé nascosto che in tanto errare e peregrinare non si è mai allontanato da sé stesso, dal proprio sogno, perimetro e area di una grande avventura, in cui ogni nome pronuncia un nome, ogni volto cerca un volto e tutti insieme recitano Unum.”
L’esposizione resterà aperta fino al 28 Marzo 2017.
Orario: dal lunedì al sabato: 11.00/23.00
https://www.facebook.com/events/1850173078604243/
Info: (+39) 06 6781427
Siamo con voi nel colore
Nicolas Martino
«Dove siete quando eravamo mille diecimila centomila non è possibile che fuori non c'è più nessuno non è possibile che non sento più niente che non sento più una voce un rumore un respiro non è possibile che fuori c'è solo un immenso cimitero dove siete mi sentite non sento non vi sento non sento più niente». Così, nelle ultime righe de «Gli invisibili», il protagonista racconta l'epilogo dell'insurrezione gioiosa degli anni Settanta finita in una sconfitta, dietro le sbarre del carcere. Una sconfitta politica ed esistenziale che coincideva anche con una violenta deprivazione sensoriale, una impossibilità di vedere, di sentire, di toccare, di parlare. Eppure, poche righe dopo, la chiusura del romanzo affida a un atto poetico la resistenza alla sconfitta: i prigionieri, tutti insieme, accendono una serie di fiaccole infilate nei buchi delle grate a illuminare il buio della notte, fuochi tremolanti che potevano essere visti solo da lontano e dall'alto, dagli automobilisti lontanissimi sull'autostrada e dagli aeroplani altissimi in cielo. Perché la resistenza e la fuga sono un diritto, ma soprattutto, non bisogna dimenticarlo, sono sempre possibili. E in effetti, a quella scontitta non solo politica ma anche artistica, a quello scacco della modernità e delle sue false promesse, è stato possibile resistere tracciando molteplici linee di fuga creatrici, e tra queste una delle più potenti è senz'altro quella che ha seguito e segue la via del colore e del suo timbro poetico. Una linea che punta tutto sul colore, le sue variazioni e le sue intensità, come significante puro che resiste alla logica della rappresentazione. In questo senso l'opera «Io guardo» è un atto poetico dove ciò che compare non rappresenta: i volti, gli aeroplani, le barche, le case, le biciclette, le cabine, gli alberi e i fiori, sono puntuazioni di colore. Il rosa-albania, l'azzurro-bisanzio, il giallo-daunia, il rosso-levante, anche solo accennati, sono significanti che istituiscono una logica propria al di là di ogni significato, proliferazione di significanti puri come perpetuo indizio di un altrove. Ma quella che si traccia qui è anche una linea «minore» contro tutto ciò che è «maggiore», nel senso che ciò che è stato o sarà, ovvero la storia, è sempre maggiore, ma ciò che diviene, in questo caso il colore, è sempre minore. «Io guardo» è allora, in quanto ripetizione differente, un'opera che sceglie il divenire contro la storia, la differenza e le sue infinite variazioni cromatiche contro la dialettica del potere. Un'opera «straniera», come stranieri sono questi volti, perché mette in moto uno scarto laterale rispetto alla tradizione moderna. Un'opera minore, come già quelle di Osvaldo Licini e Giorgio Morandi, Carmelo Bene e Tommaso Landolfi, perché a ognuno di questi volti non si può chiedere la carta d'identità né tantomeno di rimanere se stessi. Ognuno di quei volti, come i molti invisibili del romanzo, accende fiaccole nella notte, fiaccole di colore che tracciano via di fuga dal carcere dello spettacolo moderno. E noi siamo con loro, sempre altrove, nel colore.
Nicola Maria Martino ha studiato all'Accademia di Belle Arti di Roma dove ha avuto come maestro Sante Monachesi.
La sua partecipazione attiva sulla scena artistica comincia nei primi anni settanta durante i quali realizza interventi e azioni concettuali-comportamentali; a metà decennio abbandona i procedimenti analitici e la smaterializzazione del concettualismo anticipando temi e tecniche del ritorno alla pittura nell'ambito del postmoderno.
Ha esposto in numerose gallerie in Italia e all'estero, ha partecipato alla Biennale di Venezia (1980 - Progetti Speciali, e 2011 - Padiglione Italia per l'Abruzzo alla 54ª Esposizione Internazionale d'Arte di Venezia). Sue opere sono presenti in prestigiose collezioni pubbliche e private e presso la Collezione Farnesina. Vive e lavora fra Roma e l'Abruzzo.
08
marzo 2017
Nicola Maria Martino – Io guardo
Dall'otto al 28 marzo 2017
arte contemporanea
Location
BIBLIOTHE’ CONTEMPORARY ART GALLERY
Roma, Via Celsa, 4/5, (ROMA)
Roma, Via Celsa, 4/5, (ROMA)
Orario di apertura
dal lunedì al sabato: 11 alle 23
Vernissage
8 Marzo 2017, ore 19
Autore
Curatore