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Giuseppe Ponzio – Aldilà, Qui
Dopo aver esplorato il vuoto che artigianalmente crea nelle sue opere tridimensionali come formalmente un architetto crea i propri ambienti, Ponzio ne percepisce lo spazio da esso creato, e ne rivela con appositi specchietti, lacerazioni, buchi o sporgenze la parte nascosta allo sguardo.
Comunicato stampa
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Rispecchiamento.
L’opera di Giuseppe Ponzio, soprattutto negli ultimi anni, si incentra su un dualismo formale che rivela e concilia i due principali ambiti della propria ricerca artistica, l’architettura e la pittura. Ma non solo.
Dopo aver esplorato il vuoto che artigianalmente crea nelle sue opere tridimensionali - come formalmente un architetto crea i propri ambienti - Ponzio ne percepisce lo spazio da esso individuato e ne rivela la parte nascosta allo sguardo con appositi specchietti, lacerazioni, buchi o sporgenze. Viceversa, capta l’immagine riflessa dell’osservatore tramite una piccola area specchiante, sporgente in superficie, in modo tale che questi, senza accorgersene, venga dolcemente compreso in un giro percettivo e mentale sia dell’opera sia di se stesso.
Laddove c’è o si crea un vuoto, infatti, Ponzio lo esplora, percependolo nella sua ‘inesistente’ tridimensionalità e rappresentandolo in forma automatica tramite un indistinto e non ancora codificato linguaggio segnico, nero sul fondo bianco, che ne individua - al contrario e al contempo - il ‘pieno’ corrispondente: il vuoto rende possibile il pieno.
Pieno segnico come anche, sinesteticamente, ‘sonoro’: in tal senso, la modalità calligrafica giapponese (Shodō), che arriva al segno dopo una particolare pratica di meditazione, e che consente intimamente di apprendere ed ‘essere’ l’oggetto percepito e infine di tracciarlo con inchiostro e pennello, ha aiutato l’autore ad esprimere l’indicibile.
Il linguaggio artistico di Ponzio segue il vuoto nel quale si appoggia e gira, coinvolgendo nel proprio flusso lo spettatore e portandolo in un percorso trascendentale, forse anche mistico, contenente insieme, armonicamente, realtà e spirito, mondo sensibile e mondo interiore: il tutto e il niente, come cantato nell’orientale “Sutra del Cuore”, cui Ponzio si ispira.
In questo senso si può interpretare la direzione circolare delle sue opere, in quanto ripetizione e rotazione. Il giro individua il vuoto e il vuoto fatto dentro di sé si riempie del respiro del mondo.
In ogni caso, non è facile comprendere (anche in senso di circoscrivere) il lavoro di Ponzio, poiché in realtà è un lavoro ‘aperto’, come l’esperienza della vita. È una scoperta continua e sempre nuove, transitorie coordinate spaziali vengono dall’artista individuate e realizzate in modo interattivo con il ‘messaggio’ via via disvelato. È un’indagine in punta di piedi la sua, non apodittica, bensì propositiva e perfettibile. Se ne avverte la caratteristica perfino nel linguaggio critico che dovrebbe definirla: si tende a proporre, tra virgolette, termini e qualificazioni che si intuiscono provvisori e non sostituibili da ulteriori termini, poiché non ancora coniati in italiano.
Anche quando i pochi, distillati riferimenti alla natura, nelle opere meno recenti, cedono il passo ad una più nitida forma compositiva, apparentemente frutto di un’estrema e convinta concettualizzazione, ad un’analisi più approfondita si scopre il palpitare imperfetto della sensibilità e dell’umiltà di questo artista nei confronti del proprio lavoro, affrontato appunto come strumento di conoscenza, scoperta, comunicazione e condivisione.
Nell’economia del proprio lavoro, si individuano due modalità espressive: la tridimensionalità dei piani, che sovrappone superfici segniche o bianche le quali, a loro volta, si aprono via via fendendosi, spostandosi o ruotando su ideali perni, e penetrando all’interno nella scoperta di sempre nuove realtà. In alternanza, spazialità concave strutturano altre opere, nelle quali visivamente si può entrare, uscire e rientrare, in un moto circolare continuo che, come dicevamo, comprende l’osservatore nell’opera e ne partecipa il messaggio rinvenuto.
Scritture su fogli e oggetti curvilinei, fogli piegati e trattenuti dal bagno di gesso, intervalli ritmici incisi bianco su bianco, quasi come in un moderno cuneiforme, o segni dipinti su barrette cilindriche di legno, appuntite come stiletti, che cadenzano la composizione e declinano l’alternanza di pieni e vuoti e di vicino e lontano, articolano la durata e la velocità della lettura di ogni opera. Uno spazio aperto e un tempo ‘corrente’, che determinano la transitorietà e la trasformazione del pieno in vuoto e viceversa, nonché la necessità della compresenza dell’uno nell’altro, come nello Ying e nello Yang.
Talvolta si prova una costante sensazione di impotenza nel non poter afferrare visivamente i segni che si intravedono sotto uno strato traslucido di policarbonato, come in Radura, 2011, proprio perché evidenziati da una cornice dipinta con ideogrammi nitidi e ‘leggibili’. A complicare la lettura, il riquadro bianco opaco al centro a destra, su cui si impiantano chiodi dai diversi e destabilizzanti orientamenti: tipologie segniche diverse, altri ritmi, altri significati; forse anche un possibile canale di comunicazione con il fondo, o un tentativo di interpretazione dei segni sottostanti?
Infine, il pieno che si espande di segni, nella piccola Stele del 2014, scritta su tutti i lati, suscita, al contrario, la vertigine concava provata nei grattacieli contemporanei, laddove piani, pareti e ascensori di vetro trasparente spalancano spazi ignorati e desuete percezioni, rivelandoci altre dimensioni del mondo che ci circonda. Il conseguente ‘spaesamento’, cioè la sensazione di trovarci in un altro ‘paese’, in un altro mondo, pur restando nello stesso luogo, ci consente, attraverso la conoscenza, l’apertura infinita dello spirito.
I quadri e le sculture di Ponzio ci permettono di provare tante e tali sensazioni, se si ha la pazienza di accostarsi con il silenzio dello spirito e della mente e di sentire, appunto, con il cuore.
L’opera di Giuseppe Ponzio, soprattutto negli ultimi anni, si incentra su un dualismo formale che rivela e concilia i due principali ambiti della propria ricerca artistica, l’architettura e la pittura. Ma non solo.
Dopo aver esplorato il vuoto che artigianalmente crea nelle sue opere tridimensionali - come formalmente un architetto crea i propri ambienti - Ponzio ne percepisce lo spazio da esso individuato e ne rivela la parte nascosta allo sguardo con appositi specchietti, lacerazioni, buchi o sporgenze. Viceversa, capta l’immagine riflessa dell’osservatore tramite una piccola area specchiante, sporgente in superficie, in modo tale che questi, senza accorgersene, venga dolcemente compreso in un giro percettivo e mentale sia dell’opera sia di se stesso.
Laddove c’è o si crea un vuoto, infatti, Ponzio lo esplora, percependolo nella sua ‘inesistente’ tridimensionalità e rappresentandolo in forma automatica tramite un indistinto e non ancora codificato linguaggio segnico, nero sul fondo bianco, che ne individua - al contrario e al contempo - il ‘pieno’ corrispondente: il vuoto rende possibile il pieno.
Pieno segnico come anche, sinesteticamente, ‘sonoro’: in tal senso, la modalità calligrafica giapponese (Shodō), che arriva al segno dopo una particolare pratica di meditazione, e che consente intimamente di apprendere ed ‘essere’ l’oggetto percepito e infine di tracciarlo con inchiostro e pennello, ha aiutato l’autore ad esprimere l’indicibile.
Il linguaggio artistico di Ponzio segue il vuoto nel quale si appoggia e gira, coinvolgendo nel proprio flusso lo spettatore e portandolo in un percorso trascendentale, forse anche mistico, contenente insieme, armonicamente, realtà e spirito, mondo sensibile e mondo interiore: il tutto e il niente, come cantato nell’orientale “Sutra del Cuore”, cui Ponzio si ispira.
In questo senso si può interpretare la direzione circolare delle sue opere, in quanto ripetizione e rotazione. Il giro individua il vuoto e il vuoto fatto dentro di sé si riempie del respiro del mondo.
In ogni caso, non è facile comprendere (anche in senso di circoscrivere) il lavoro di Ponzio, poiché in realtà è un lavoro ‘aperto’, come l’esperienza della vita. È una scoperta continua e sempre nuove, transitorie coordinate spaziali vengono dall’artista individuate e realizzate in modo interattivo con il ‘messaggio’ via via disvelato. È un’indagine in punta di piedi la sua, non apodittica, bensì propositiva e perfettibile. Se ne avverte la caratteristica perfino nel linguaggio critico che dovrebbe definirla: si tende a proporre, tra virgolette, termini e qualificazioni che si intuiscono provvisori e non sostituibili da ulteriori termini, poiché non ancora coniati in italiano.
Anche quando i pochi, distillati riferimenti alla natura, nelle opere meno recenti, cedono il passo ad una più nitida forma compositiva, apparentemente frutto di un’estrema e convinta concettualizzazione, ad un’analisi più approfondita si scopre il palpitare imperfetto della sensibilità e dell’umiltà di questo artista nei confronti del proprio lavoro, affrontato appunto come strumento di conoscenza, scoperta, comunicazione e condivisione.
Nell’economia del proprio lavoro, si individuano due modalità espressive: la tridimensionalità dei piani, che sovrappone superfici segniche o bianche le quali, a loro volta, si aprono via via fendendosi, spostandosi o ruotando su ideali perni, e penetrando all’interno nella scoperta di sempre nuove realtà. In alternanza, spazialità concave strutturano altre opere, nelle quali visivamente si può entrare, uscire e rientrare, in un moto circolare continuo che, come dicevamo, comprende l’osservatore nell’opera e ne partecipa il messaggio rinvenuto.
Scritture su fogli e oggetti curvilinei, fogli piegati e trattenuti dal bagno di gesso, intervalli ritmici incisi bianco su bianco, quasi come in un moderno cuneiforme, o segni dipinti su barrette cilindriche di legno, appuntite come stiletti, che cadenzano la composizione e declinano l’alternanza di pieni e vuoti e di vicino e lontano, articolano la durata e la velocità della lettura di ogni opera. Uno spazio aperto e un tempo ‘corrente’, che determinano la transitorietà e la trasformazione del pieno in vuoto e viceversa, nonché la necessità della compresenza dell’uno nell’altro, come nello Ying e nello Yang.
Talvolta si prova una costante sensazione di impotenza nel non poter afferrare visivamente i segni che si intravedono sotto uno strato traslucido di policarbonato, come in Radura, 2011, proprio perché evidenziati da una cornice dipinta con ideogrammi nitidi e ‘leggibili’. A complicare la lettura, il riquadro bianco opaco al centro a destra, su cui si impiantano chiodi dai diversi e destabilizzanti orientamenti: tipologie segniche diverse, altri ritmi, altri significati; forse anche un possibile canale di comunicazione con il fondo, o un tentativo di interpretazione dei segni sottostanti?
Infine, il pieno che si espande di segni, nella piccola Stele del 2014, scritta su tutti i lati, suscita, al contrario, la vertigine concava provata nei grattacieli contemporanei, laddove piani, pareti e ascensori di vetro trasparente spalancano spazi ignorati e desuete percezioni, rivelandoci altre dimensioni del mondo che ci circonda. Il conseguente ‘spaesamento’, cioè la sensazione di trovarci in un altro ‘paese’, in un altro mondo, pur restando nello stesso luogo, ci consente, attraverso la conoscenza, l’apertura infinita dello spirito.
I quadri e le sculture di Ponzio ci permettono di provare tante e tali sensazioni, se si ha la pazienza di accostarsi con il silenzio dello spirito e della mente e di sentire, appunto, con il cuore.
31
gennaio 2017
Giuseppe Ponzio – Aldilà, Qui
Dal 31 gennaio al 17 febbraio 2017
arte contemporanea
Location
STUDIO ARTE FUORI CENTRO
Roma, Via Ercole Bombelli, 22, (Roma)
Roma, Via Ercole Bombelli, 22, (Roma)
Orario di apertura
dal martedì al sabato dalle 17,00 alle 20,00.
Vernissage
31 Gennaio 2017, ore 18,00
Autore
Curatore