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Caravaggio e il maestro di Hartford
Il nuovo appuntamento espositivo ha l’obiettivo di indagare le origini della natura morta italiana nel contesto romano della fine del XVI secolo, analizzando gli sviluppi successivi nell’ambito della pittura caravaggesca dei primi decenni del ‘600
Comunicato stampa
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La Galleria Borghese di Roma prosegue nell’opera di studio e valorizzazione del proprio patrimonio artistico proponendo, dal 16 Novembre 2016 p.v. e in programmazione fino al 19 Febbraio 29017, un nuovo appuntamento espositivo dall’alto contenuto scientifico e culturale, che ha l’obiettivo di indagare le origini della natura morta italiana nel contesto romano della fine del XVI secolo, analizzando gli sviluppi successivi nell’ambito della pittura caravaggesca dei primi decenni del ‘600.
Fautore della rivoluzione iconografica e concettuale fu Caravaggio che, intorno al 1597-1598, dipinse a Roma la celeberrima Canestra della Pinacoteca Ambrosiana di Milano che sarà presente in mostra. L’opera sancisce di fatto la nascita del nuovo genere della still life, inteso quale rappresentazione fedele e oggettiva di un brano di natura completamente svincolato dalla figura umana.
Per la prima volta le umili “cose di natura” assurgono al ruolo di protagoniste della rappresentazione pittorica: per il Merisi, infatti, non esisteva la distinzione tra “pittura alta” di historia e “inferior pittura”, come testimonia la frase riportata dal Marchese Vincenzo Giustiniani secondo il quale egli disse che “tanta manifattura [occorre] a fare un quadro buono di fiori, come figure”.
Se Caravaggio licenziò l’archetipo della natura morta italiana, il Maestro di Hartford – pittore attivo nella cerchia del Cavalier d’Arpino, che sicuramente vide e si ispirò alle opere del genio lombardo – si guadagnò un ruolo di fondamentale importanza per la diffusione della nuova iconografia, essendo il più antico e importante specialista di still life attivo a Roma tra XVI e XVII secolo. Oltre ai due capolavori della Galleria Borghese, alla tela eponima del Wadsworth Atheneum Museum of Art di Hartford e all’Allegoria della Primavera ultimata da Carlo Saraceni, saranno esposti altri quattro dipinti del misterioso pittore, alcuni dei quali mai presentati al pubblico.
La mostra documenta come nel secondo decennio del ‘600 le nature morte fossero sempre più ricercate dal collezionismo privato, tanto che si venne a creare un vero e proprio mercato sostenuto da specialisti di primissimo ordine – spesso coadiuvati da botteghe – che aderirono alla poetica del naturalismo caravaggesco declinandolo secondo interpretazioni luministiche e compositive differenti.
Protagonisti di questa fase furono artisti, di cui spesso ignoriamo l’identità a causa del silenzio delle fonti documentarie, che da un lato seguirono la lezione del Maestro di Hartford – come il “Maestro del vasetto” e il “Maestro delle mele rosa” -, dall’altro frequentarono l’Accademia di pittura dal vero che il marchese Giovanni Battista Crescenzi istituì nel suo palazzo nei pressi del Pantheon; tra questi Pietro Paolo Bonzi e il “Maestro della natura morta Acquavella”.
Nell’ultima sezione saranno esposti dipinti di stretta cultura caravaggesca figli dello straordinario estro creativo di personalità artistiche tutt’oggi avvolte nell’anonimato, tra cui “Pensionante del Saraceni” e il “Maestro della fiasca di Forlì”, di cui verrà presentata in anteprima la seconda versione della Fiasca fiorita conservata presso la Pinacoteca Civica della città romagnola.
Per attestare come la lezione del Maestro di Hartford fu raccolta da una serie di naturamortisti, nella seconda sezione della mostra campeggeranno alcune rare tele, databili tra primo e secondo decennio del ‘600, del “Maestro del vasetto” e del “Maestro delle mele rosa dei Monti Sibillini”.
La terza sezione sarà dedicata, invece, ai quei pittori che frequentarono l’Accademia istituita dal marchese Giovanni Battista Crescenzi nel suo Palazzo alla Rotonda adiacente al Pantheon, di cui il Baglione, nelle Vite edite nel 1642, ci ricorda che “talvolta havea gusto di far ritrarre dal naturale, & andava a prender qualche cosa di bello, e di curioso, che per Roma ritrovavasi di frutti, d’animali, e d’altre bizzarrie, e consegnatala a quei giovani, che la disegnassero, solo perché divenisser valenti, e buoni Maestri, si come veramente adivenne”. Sulla scorta delle testimonianze delle fonti antiche, saranno quindi esposte tele di Pietro Paolo Bonzi detto Gobbo dei Carracci, del Maestro della natura morta Acquavella – che la critica è propensa ad identificare con Bartolomeo Cavarozzi – e dello stesso Crescenzi a cui gli specialisti attribuiscono alcune still life tra cui la Composizione di frutta e verdura su vari ripiani della Galleria Estense di Modena.
A chiudere la mostra saranno alcune splendide tele di stretta cultura caravaggesca che non appartengono nè al filone pittorico inaugurato dal Maestro di Hartford nè a quello promosso dal marchese Crescenzi, ma sono il frutto dell’estro creativo di straordianarie personalità artistiche tutt’oggi avvolte nell’anonimato quali quelle del Pensionante del Saraceni e del Maestro della fiasca di Forlì.
Uno dei capitoli più affascinanti della storia dell’arte italiana riguarda proprio la nascita del soggetto della natura morta che avvenne nel frizzante clima culturale romano dell’ultimo decennio del ‘500, crogiolo di artisti sia italiani che stranieri che giunsero nell’Urbe da mezza Europa in cerca di nuove committenze favorite dai preparativi per il grande Giubileo del 1600.
Fra di essi vi era anche il poco più che ventenne Caravaggio che fin dalle prime opere eseguite dopo il suo arrivo a Roma – si pensi, ad esempio, al Bacchino malato e al Ragazzo con cesta di frutta della Galleria Borghese – aveva manifestato una particolare predilezione per l’inserimento, accanto alle mezze figure di languidi giovinetti, di brani di natura morta indagati con straordinario naturalismo ed evidenza ottica, segno di un’inclinazione coltivata fin dalla formazione avvenuta in terra lombarda. Il Bellori ci ricorda, invero, che “[Caravaggio] dalla necessità costretto andò a servire il Cavaliere Giuseppe d’Arpino, da cui fu applicato a dipingere fiori, e frutti si bene contraffatti, che da lui vennero à frequentarsi à quella maggior vaghezza, che hoggi tanto diletta”. Sulla scorta di questa preziosa testimonianza Federico Zeri, in un noto articolo pubblicato nel 1976 in Diari di lavoro 2, assegnò un ristretto gruppo di tele da lui riunito – che faceva capo alla composizione con Vasi di fiori e frutta su tavolo coperto da tovaglia bianca del Wadsworth Atheneum Museum of Art di Hartford e alla coppia di dipinti con Vaso con fiori, frutta e verdura su ripiano e Cacciagione di piuma e civetta conservate nella Galleria Borghese di Roma, di cui lo studioso aveva provato su base documentaria la provenienza dal sequestro fiscale operato ai danni del Cavalier d’Arpino ordinato da Papa Paolo V Borghese nel 1607 – alla prima attività del Merisi al tempo del suo passaggio nella bottega del Cavalier d’Arpino. Una tesi, quella formulata da Zeri, tanto affascinante quanto rivoluzionaria che divise la critica specialistica di allora e che oggi, dopo i grandi passi in avanti compiuti dagli studi sulla natura morta italiana negli ultimi decenni, gli storici dell’arte sono inclini a non sposare. Per tale motivo è stata creata la nuova personalità del “Maestro di Hartford”, distinta da quella del Caravaggio, sebbene sia probabile che questo misterioso artista abbia operato a fianco del giovane Merisi proprio nell’atelier del d’Arpino, sviluppando poi negli anni a seguire la sua specializzazione nel campo della still life in maniera autonoma.
Fautore della rivoluzione iconografica e concettuale fu Caravaggio che, intorno al 1597-1598, dipinse a Roma la celeberrima Canestra della Pinacoteca Ambrosiana di Milano che sarà presente in mostra. L’opera sancisce di fatto la nascita del nuovo genere della still life, inteso quale rappresentazione fedele e oggettiva di un brano di natura completamente svincolato dalla figura umana.
Per la prima volta le umili “cose di natura” assurgono al ruolo di protagoniste della rappresentazione pittorica: per il Merisi, infatti, non esisteva la distinzione tra “pittura alta” di historia e “inferior pittura”, come testimonia la frase riportata dal Marchese Vincenzo Giustiniani secondo il quale egli disse che “tanta manifattura [occorre] a fare un quadro buono di fiori, come figure”.
Se Caravaggio licenziò l’archetipo della natura morta italiana, il Maestro di Hartford – pittore attivo nella cerchia del Cavalier d’Arpino, che sicuramente vide e si ispirò alle opere del genio lombardo – si guadagnò un ruolo di fondamentale importanza per la diffusione della nuova iconografia, essendo il più antico e importante specialista di still life attivo a Roma tra XVI e XVII secolo. Oltre ai due capolavori della Galleria Borghese, alla tela eponima del Wadsworth Atheneum Museum of Art di Hartford e all’Allegoria della Primavera ultimata da Carlo Saraceni, saranno esposti altri quattro dipinti del misterioso pittore, alcuni dei quali mai presentati al pubblico.
La mostra documenta come nel secondo decennio del ‘600 le nature morte fossero sempre più ricercate dal collezionismo privato, tanto che si venne a creare un vero e proprio mercato sostenuto da specialisti di primissimo ordine – spesso coadiuvati da botteghe – che aderirono alla poetica del naturalismo caravaggesco declinandolo secondo interpretazioni luministiche e compositive differenti.
Protagonisti di questa fase furono artisti, di cui spesso ignoriamo l’identità a causa del silenzio delle fonti documentarie, che da un lato seguirono la lezione del Maestro di Hartford – come il “Maestro del vasetto” e il “Maestro delle mele rosa” -, dall’altro frequentarono l’Accademia di pittura dal vero che il marchese Giovanni Battista Crescenzi istituì nel suo palazzo nei pressi del Pantheon; tra questi Pietro Paolo Bonzi e il “Maestro della natura morta Acquavella”.
Nell’ultima sezione saranno esposti dipinti di stretta cultura caravaggesca figli dello straordinario estro creativo di personalità artistiche tutt’oggi avvolte nell’anonimato, tra cui “Pensionante del Saraceni” e il “Maestro della fiasca di Forlì”, di cui verrà presentata in anteprima la seconda versione della Fiasca fiorita conservata presso la Pinacoteca Civica della città romagnola.
Per attestare come la lezione del Maestro di Hartford fu raccolta da una serie di naturamortisti, nella seconda sezione della mostra campeggeranno alcune rare tele, databili tra primo e secondo decennio del ‘600, del “Maestro del vasetto” e del “Maestro delle mele rosa dei Monti Sibillini”.
La terza sezione sarà dedicata, invece, ai quei pittori che frequentarono l’Accademia istituita dal marchese Giovanni Battista Crescenzi nel suo Palazzo alla Rotonda adiacente al Pantheon, di cui il Baglione, nelle Vite edite nel 1642, ci ricorda che “talvolta havea gusto di far ritrarre dal naturale, & andava a prender qualche cosa di bello, e di curioso, che per Roma ritrovavasi di frutti, d’animali, e d’altre bizzarrie, e consegnatala a quei giovani, che la disegnassero, solo perché divenisser valenti, e buoni Maestri, si come veramente adivenne”. Sulla scorta delle testimonianze delle fonti antiche, saranno quindi esposte tele di Pietro Paolo Bonzi detto Gobbo dei Carracci, del Maestro della natura morta Acquavella – che la critica è propensa ad identificare con Bartolomeo Cavarozzi – e dello stesso Crescenzi a cui gli specialisti attribuiscono alcune still life tra cui la Composizione di frutta e verdura su vari ripiani della Galleria Estense di Modena.
A chiudere la mostra saranno alcune splendide tele di stretta cultura caravaggesca che non appartengono nè al filone pittorico inaugurato dal Maestro di Hartford nè a quello promosso dal marchese Crescenzi, ma sono il frutto dell’estro creativo di straordianarie personalità artistiche tutt’oggi avvolte nell’anonimato quali quelle del Pensionante del Saraceni e del Maestro della fiasca di Forlì.
Uno dei capitoli più affascinanti della storia dell’arte italiana riguarda proprio la nascita del soggetto della natura morta che avvenne nel frizzante clima culturale romano dell’ultimo decennio del ‘500, crogiolo di artisti sia italiani che stranieri che giunsero nell’Urbe da mezza Europa in cerca di nuove committenze favorite dai preparativi per il grande Giubileo del 1600.
Fra di essi vi era anche il poco più che ventenne Caravaggio che fin dalle prime opere eseguite dopo il suo arrivo a Roma – si pensi, ad esempio, al Bacchino malato e al Ragazzo con cesta di frutta della Galleria Borghese – aveva manifestato una particolare predilezione per l’inserimento, accanto alle mezze figure di languidi giovinetti, di brani di natura morta indagati con straordinario naturalismo ed evidenza ottica, segno di un’inclinazione coltivata fin dalla formazione avvenuta in terra lombarda. Il Bellori ci ricorda, invero, che “[Caravaggio] dalla necessità costretto andò a servire il Cavaliere Giuseppe d’Arpino, da cui fu applicato a dipingere fiori, e frutti si bene contraffatti, che da lui vennero à frequentarsi à quella maggior vaghezza, che hoggi tanto diletta”. Sulla scorta di questa preziosa testimonianza Federico Zeri, in un noto articolo pubblicato nel 1976 in Diari di lavoro 2, assegnò un ristretto gruppo di tele da lui riunito – che faceva capo alla composizione con Vasi di fiori e frutta su tavolo coperto da tovaglia bianca del Wadsworth Atheneum Museum of Art di Hartford e alla coppia di dipinti con Vaso con fiori, frutta e verdura su ripiano e Cacciagione di piuma e civetta conservate nella Galleria Borghese di Roma, di cui lo studioso aveva provato su base documentaria la provenienza dal sequestro fiscale operato ai danni del Cavalier d’Arpino ordinato da Papa Paolo V Borghese nel 1607 – alla prima attività del Merisi al tempo del suo passaggio nella bottega del Cavalier d’Arpino. Una tesi, quella formulata da Zeri, tanto affascinante quanto rivoluzionaria che divise la critica specialistica di allora e che oggi, dopo i grandi passi in avanti compiuti dagli studi sulla natura morta italiana negli ultimi decenni, gli storici dell’arte sono inclini a non sposare. Per tale motivo è stata creata la nuova personalità del “Maestro di Hartford”, distinta da quella del Caravaggio, sebbene sia probabile che questo misterioso artista abbia operato a fianco del giovane Merisi proprio nell’atelier del d’Arpino, sviluppando poi negli anni a seguire la sua specializzazione nel campo della still life in maniera autonoma.
15
novembre 2016
Caravaggio e il maestro di Hartford
Dal 15 novembre 2016 al 19 febbraio 2017
arte antica
Location
GALLERIA BORGHESE
Roma, Piazzale Scipione Borghese, 5, (Roma)
Roma, Piazzale Scipione Borghese, 5, (Roma)
Vernissage
15 Novembre 2016, su invito
Curatore