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Mario Giacomelli – E la terra veniva come magica
La galleria Studio Guastalla Arte Moderna e Contemporanea e The Lone T art space inaugurano giovedì 13 ottobre ore 18 in contemporanea nei loro spazi di via Senato, 24 due mostre sull’opera di Mario Giacomelli.
Comunicato stampa
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Studio Guastalla Arte Moderna e Contemporanea presenta con questa mostra una ventina di fotografie di Mario Giacomelli che risalgono agli anni cinquanta, sessanta e settanta e appartengono ai suoi cicli più celebri, da Scanno ai Pretini ai Paesaggi.
Le foto di Giacomelli non sono mai resoconti, réportages, testimonianze di avvenimenti.
“La mia è una mediazione tra realtà-fantasia. Immagini volute, create, come pensiero, come segno di un movimento interiore”, scrive Giacomelli negli appunti di lavoro. E’ lui stesso a creare le immagini, a formarle, a provocarle, scatenando una battaglia di palle di neve nel seminario di Senigallia, chiedendo ai contadini, dietro compenso, di arare i campi con i segni precisi che ha in mente (anticipando la Land Art), imponendo alla madre che posa per lui movimenti specifici, mescolando nelle stesse foto soggetti di tempi e luoghi diversi attraverso le sovraimpressioni. “Il contadino quando c’era un albero, con il suo animale avanti che lavorava la terra, faceva un po’ una curva con l’aratro e quindi aggiungeva segni e la terra veniva come magica. E allora ho pensato di avvicinarmi di più alla terra e avvicinandoti scopri qual è la misura giusta per riprendere il paesaggio”. La magia di cui parla è nei segni della terra, nell’aura che circonda il “bambino di Scanno”, nelle geometrie guizzanti degli abiti dei pretini.
Le immagini sono “foreste di segni”, intrecci di significanti che riportano il singolo soggetto all’interno di un tutto indiviso, di un universale, di una serie di interrelazioni che collegano i solchi nella terra alle rughe dei volti alle fenditure dei tronchi. Presenze, simboli dell’umanità, alter ego dell’artista e del suo male di esistere. Un mondo, quello di Giacomelli, in cui le cose non sono classificate, divise,ma appartengono alla stessa realtà, luogo di indistinte connessioni. In questo mondo il fotografo entra con il suo corpo, attraverso l’autoscatto, con l’inclusione della sua ombra. “Non vorrei ripetere le cose visibili, ma renderle visibili, interiorizzate, vorrei poter scivolare sotto la pelle delle cose, poter mostrare l’energia che passa tra l’anima mia e le cose che mi sono attorno”, scrive. E’ un mondo in continuo mutamento, una metamorfosi incessante che Giacomelli segue intervenendo sulla stessa foto in tempi diversi, con mutazioni, riprese, recuperi, ristampe, riattualizzando, dando nuovi significati.
“Le mie immagini portano sempre amore-rispetto verso l’uomo, cioè l’uomo che sognando ha seminato grano o altro. Nella terra c’è il passare delle stagioni e l’uomo man mano che respira…dalle mie foto si deve sentire; ci sono le rughe del suo volto, ma anche i segni della sua mano. In alcuni miei paesaggi ci sono le stesse pieghe che si vedono se uno prende una lente d’ingrandimento e guarda una mano; questo lavoro dell’uomo è come ingrandito con una grande lente nella terra. In queste foto rimane la traccia dell’intervento – nelle poesie e nei racconti come nei paesaggi – che mi porta fuori dal quotidiano, dal contatto traumatico con l’esistenza. Cioè mi servo di qualcosa di reale che però, in un certo senso, è fuori dal quotidiano, perché sono più delle ricerche interiori.”
Le foto di Giacomelli non sono mai resoconti, réportages, testimonianze di avvenimenti.
“La mia è una mediazione tra realtà-fantasia. Immagini volute, create, come pensiero, come segno di un movimento interiore”, scrive Giacomelli negli appunti di lavoro. E’ lui stesso a creare le immagini, a formarle, a provocarle, scatenando una battaglia di palle di neve nel seminario di Senigallia, chiedendo ai contadini, dietro compenso, di arare i campi con i segni precisi che ha in mente (anticipando la Land Art), imponendo alla madre che posa per lui movimenti specifici, mescolando nelle stesse foto soggetti di tempi e luoghi diversi attraverso le sovraimpressioni. “Il contadino quando c’era un albero, con il suo animale avanti che lavorava la terra, faceva un po’ una curva con l’aratro e quindi aggiungeva segni e la terra veniva come magica. E allora ho pensato di avvicinarmi di più alla terra e avvicinandoti scopri qual è la misura giusta per riprendere il paesaggio”. La magia di cui parla è nei segni della terra, nell’aura che circonda il “bambino di Scanno”, nelle geometrie guizzanti degli abiti dei pretini.
Le immagini sono “foreste di segni”, intrecci di significanti che riportano il singolo soggetto all’interno di un tutto indiviso, di un universale, di una serie di interrelazioni che collegano i solchi nella terra alle rughe dei volti alle fenditure dei tronchi. Presenze, simboli dell’umanità, alter ego dell’artista e del suo male di esistere. Un mondo, quello di Giacomelli, in cui le cose non sono classificate, divise,ma appartengono alla stessa realtà, luogo di indistinte connessioni. In questo mondo il fotografo entra con il suo corpo, attraverso l’autoscatto, con l’inclusione della sua ombra. “Non vorrei ripetere le cose visibili, ma renderle visibili, interiorizzate, vorrei poter scivolare sotto la pelle delle cose, poter mostrare l’energia che passa tra l’anima mia e le cose che mi sono attorno”, scrive. E’ un mondo in continuo mutamento, una metamorfosi incessante che Giacomelli segue intervenendo sulla stessa foto in tempi diversi, con mutazioni, riprese, recuperi, ristampe, riattualizzando, dando nuovi significati.
“Le mie immagini portano sempre amore-rispetto verso l’uomo, cioè l’uomo che sognando ha seminato grano o altro. Nella terra c’è il passare delle stagioni e l’uomo man mano che respira…dalle mie foto si deve sentire; ci sono le rughe del suo volto, ma anche i segni della sua mano. In alcuni miei paesaggi ci sono le stesse pieghe che si vedono se uno prende una lente d’ingrandimento e guarda una mano; questo lavoro dell’uomo è come ingrandito con una grande lente nella terra. In queste foto rimane la traccia dell’intervento – nelle poesie e nei racconti come nei paesaggi – che mi porta fuori dal quotidiano, dal contatto traumatico con l’esistenza. Cioè mi servo di qualcosa di reale che però, in un certo senso, è fuori dal quotidiano, perché sono più delle ricerche interiori.”
13
ottobre 2016
Mario Giacomelli – E la terra veniva come magica
Dal 13 ottobre al 28 novembre 2016
fotografia
Location
STUDIO GUASTALLA
Milano, Via Senato, 24, (Milano)
Milano, Via Senato, 24, (Milano)
Orario di apertura
10-13 e 15-19, escluso lunedì e festivi
Vernissage
13 Ottobre 2016, ore 18.00
Autore
Curatore