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Maria Cristina Ballestracci / Anna Matteucci – Tra i cancelli e il cielo
Il lavoro e la donna tra l’Arte e la Storia: i documenti e il racconto visivo. Ballestracci mette in scena una serie di nidi, metafora d’amore e di accoglienza universale. Lo sguardo raffinato e dolente di Matteucci si adagia su spose, regine, donne e madonne per raccontare il lato oscuro della vita
Comunicato stampa
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Un nuovo evento all’Archivio di Stato di Pesaro - Urbino per affrontare il tema della condizione femminile. Un tema abusato e mai esaurito. “Tra i cancelli e il cielo”, un percorso che racconta il lavoro e la donna tra L’Arte e la Storia. Il titolo, mutuato dai versi di Marisa Rossini, allude a quello stato di sfruttamento e di “prigionia” che ha caratterizzato la storia delle donne e che, con risvolti diversi, prosegue tutt’ora e si esprime, troppo spesso, in una cieca violenza di genere mirata ad annientare fisicamente quello che era stato definito il gentil sesso. Una mostra d’arte e di documenti conservati nell’archivio pesarese che ci riportano indietro nel tempo, e le donne sono lavandaie, domestiche, contadine quando appartengono al ceto più basso. Sono maestre o levatrici quando è più alto il ceto sociale, l’eccezione è quella di una donna medico che si laurea nel 1873 ed esercita la professione in provincia di Pesaro. Libri, documenti, editti in un percorso che restituisce anche aspetti “curiosi” come il testo del decreto, emanato dal legato pontificio Cardinal Delci nel 1659, sopra quelli che baciano o tentano di baciare violentemente donne honeste. Un viaggio documentario a ritroso per raccontare un passato che ha partorito il presente, un dialogo fra storia e racconto visivo con la doppia personale di due artiste del contemporaneo, Maria Cristina Ballestracci e Anna Matteucci. Il loro sguardo come espressione del fare delle donne, di un’arte al femminile che ci coinvolge anche se, come afferma una grande artista, Maria Dompè, l’arte non ha sesso, siamo noi ad indossare vestiti diversi…eppure, nell’arte la sensibilità femminile può essere un valore aggiunto. E l’arte può divenire il tramite del desiderio di totalità, di verità e di speranza. La penetrante poetica originaria di Maria Cristina Ballestracci si fonda sul linguaggio muto delle cose, sulla loro capacità di evocare una storia, di essere memoria per tessere un racconto che diviene testimonianza ed interpretazione anche di un presente. Oggetti di scarto consumati dal tempo, tutto per lei comunica qualcosa, diviene contenitore di storie: relitti, brandelli di legno restituiti dal mare, una foglia secca, un sasso e una pietra diviene reliquia. Il suo intento è quello di dare loro una seconda vita, una nuova identità . “Ricerco la bellezza delle cose imperfette, temporanee ed incompiute”, e Maria Cristina raccoglie, cataloga, ricompone foglie, schegge di legno per una inaspettata assonanza che si nutre di leggerezza e si arricchisce della parola in un ragionato contesto visivo. Verranno poi le scarpe restituite sempre dal mare, scarpe come contenitori di storie che saranno il tema di Oltrepassi 201, un progetto inedito che vedrà la luce a Matera nel 2019. Quello dell’universo femminile, della storia delle donne e del loro lavoro è oggetto di grande interesse per una come Maria Cristina che, di recente, ha acceso i riflettori su gesti antichi del quotidiano e “In nome del pane” è stato un viaggio che l’artista ha fatto ad Aliano (provincia di Matera) nell’ambito del Festival della paesologia. Con l’opera i NIDI, una installazione site specific che l’artista mette in scena dialogando con lo spazio, ci troviamo di fronte ad una serie di nidi che l’artista ha intrecciato manualmente con la gestualità della tessitura, dopo aver raccolto paglia, rami e fili d’erba essiccati e i nidi diventano culla fisica, metafora d’amore e di protezione materna, accoglienza universale. A terra un letto di foglie secche allude al legame con la Natura Madre e i versi di una poesia, che diventano tutt’uno con l’opera, sussurrano Nidi …fatti di fili, di fango, di niente… di quel loro niente, che è tutto.
Lo sguardo raffinato e dolente di Anna Matteucci si adagia su spose, regine, donne, madonne E nascono tuniche, abiti leggeri attraverso l’arte del cucire, il mixaggio di tela, pizzi e perle, “figure” scaturite da velature che si sostituiscono alle velature della pittura tradizionale “ispirate, al fasto delle Madonne della tradizione popolare, agli stendardi da processione, a figure illeggibili su vecchi muri e intonaci incrostati di muffe”. Una ingannevole leggerezza fisica e visiva, perché le regine di Anna non sono quelle di una idilliaca pubblicità o quelle di una romantica visione letteraria, sono il simbolo di una realtà che distrugge i sogni e si misura con la violenza, il dolore, la sopraffazione, lo sfruttamento delle donne. Un abito da sposa ci appare ritagliato da un grande lenzuolo matrimoniale e il vuoto che resta diviene metafora di un vuoto psicologico, della debolezza di una relazione. Il vestito bianco di un neonato è ricoperto di aghi e le gioie della maternità sembrano svanire di fronte ai figli della guerra, dello stupro, della povertà materiale, di quella morale. La tecnica del suo fare arte è quella del cucito, espressione della tradizione femminile, gesto che diviene metafora dell’unire. Cucire equivale a costruire qualcosa gesto dopo gesto nella efficace lentezza del movimento, “Il mio lavoro si è concentrato sul cucire, un linguaggio universale legato alla mia memoria con immagini familiari di mani femminili al lavoro su telai o rammendi, nei pomeriggi dell’infanzia trascorsi nel giardino delle suore con l’obbligo di imparare il ricamo”. Una grande “Mater laboriosa” ha la veste e la corona di una regina che indossa guanti da carpentiere a sottolineare quella operosità senza confini che caratterizza l’impegno, la storia delle donne, delle madri. Le donne di Anna sono anche le vittime innocenti di mafia rappresentate da grandi tuniche di carta, sapientemente realizzate con la tecnica del frottage. Una realtà che Anna, di recente, ha celebrato a Pesaro, nella Chiesa della Maddalena, con una suggestiva installazione di 84 tuniche cucite a mano, stese in terra come nudi sudari. E’ un messaggio forte quello di Anna, una estesa denuncia silenziosa, è il linguaggio di un’arte che racconta il dolore segreto e si ribella alla realtà per combattere e per dire no alla rassegnazione. “Perdonatemi, sorelle, non ho saputo fare altro”, scrive Anna rivolgendosi idealmente alle donne innocenti morte per mano della mafia. “What else?” diciamo noi.
Lo sguardo raffinato e dolente di Anna Matteucci si adagia su spose, regine, donne, madonne E nascono tuniche, abiti leggeri attraverso l’arte del cucire, il mixaggio di tela, pizzi e perle, “figure” scaturite da velature che si sostituiscono alle velature della pittura tradizionale “ispirate, al fasto delle Madonne della tradizione popolare, agli stendardi da processione, a figure illeggibili su vecchi muri e intonaci incrostati di muffe”. Una ingannevole leggerezza fisica e visiva, perché le regine di Anna non sono quelle di una idilliaca pubblicità o quelle di una romantica visione letteraria, sono il simbolo di una realtà che distrugge i sogni e si misura con la violenza, il dolore, la sopraffazione, lo sfruttamento delle donne. Un abito da sposa ci appare ritagliato da un grande lenzuolo matrimoniale e il vuoto che resta diviene metafora di un vuoto psicologico, della debolezza di una relazione. Il vestito bianco di un neonato è ricoperto di aghi e le gioie della maternità sembrano svanire di fronte ai figli della guerra, dello stupro, della povertà materiale, di quella morale. La tecnica del suo fare arte è quella del cucito, espressione della tradizione femminile, gesto che diviene metafora dell’unire. Cucire equivale a costruire qualcosa gesto dopo gesto nella efficace lentezza del movimento, “Il mio lavoro si è concentrato sul cucire, un linguaggio universale legato alla mia memoria con immagini familiari di mani femminili al lavoro su telai o rammendi, nei pomeriggi dell’infanzia trascorsi nel giardino delle suore con l’obbligo di imparare il ricamo”. Una grande “Mater laboriosa” ha la veste e la corona di una regina che indossa guanti da carpentiere a sottolineare quella operosità senza confini che caratterizza l’impegno, la storia delle donne, delle madri. Le donne di Anna sono anche le vittime innocenti di mafia rappresentate da grandi tuniche di carta, sapientemente realizzate con la tecnica del frottage. Una realtà che Anna, di recente, ha celebrato a Pesaro, nella Chiesa della Maddalena, con una suggestiva installazione di 84 tuniche cucite a mano, stese in terra come nudi sudari. E’ un messaggio forte quello di Anna, una estesa denuncia silenziosa, è il linguaggio di un’arte che racconta il dolore segreto e si ribella alla realtà per combattere e per dire no alla rassegnazione. “Perdonatemi, sorelle, non ho saputo fare altro”, scrive Anna rivolgendosi idealmente alle donne innocenti morte per mano della mafia. “What else?” diciamo noi.
09
ottobre 2016
Maria Cristina Ballestracci / Anna Matteucci – Tra i cancelli e il cielo
Dal 09 ottobre al 09 novembre 2016
arte contemporanea
Location
ARCHIVIO DI STATO
Pesaro, Via Della Neviera, 4, (Pesaro E Urbino)
Pesaro, Via Della Neviera, 4, (Pesaro E Urbino)
Orario di apertura
da lunedì a venerdì ore 9,00 - 18,00; sabato ore 9,00 - 13,00
Vernissage
9 Ottobre 2016, ore 17,30
Autore
Curatore