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Antonio Sorace – Dalla natura la forma
“L’uomo procede sulla freccia del tempo, mutando se stesso e ciò che lo circonda. Ancor più l’artista, immerso nei processi creativi da cui trae energia per vitalizzare le materie.”
Comunicato stampa
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L’uomo procede sulla freccia del tempo, mutando se stesso e ciò che lo circonda. Ancor più l’artista, immerso nei processi creativi da cui trae energia per vitalizzare le materie. Ma è pur sempre la natura il ventre caldo in cui viviamo. Un mistero ed una certezza, una sfida irresistibile, un bisogno segreto.
Questo bisogno, questa ricerca di senso intimo fra sé e la fonte di tutto, è quanto emerge nel lavoro di Antonio Sorace, scultore, promotore artistico e responsabile, oggi, di un luogo d’arte affascinante come la Casa degli Artisti, una residenza per creativi incastonata nella valle del Furlo, nelle Marche Alte. Qui, affiancato da Andreina De Tomassi, ha collocato la propria dimora, in un tempo che dichiara essere un “secondo tempo”, per entrambi, una seconda vita, intrisa d’arte e di condivisione, immersa nel cuore della terra, in quella valle che s’incunea come un sesso femminile nel profondo della natura e da cui in lontananza spiccano le pareti rocciose del Furlo, erte come due gambe spalancate pronte per rivelare il proprio segreto.
Un cuneo in cui scorre il fiume e sul quale si erge la diga, monumento ingegneristico su cui Antonio ha collocato una delle sue sculture più significative, Tuffo, opera simbolica e metafisica, segno di memoria e monito di libertà. Viene in mente Kubin, ed il suo Salto della morte, piccola opera su carta dove un uomo nudo si tuffa in un’immensa vagina, ma qui non c’è l’angoscia oppressiva dell’artista austriaco, il Tuffo di Sorace è una dichiarazione di rinascita, la metafora del suo gettarsi in quell’ambiente che ha vissuto fin da bambino, quando saliva sul Monte Paganuccio. Riemerge la metafora di un uomo che cerca l’abbraccio della Madre, intesa come Terra, ma inevitabilmente riferita anche alla propria, colei che lo mise al mondo e con la quale ha avuto un legame fortissimo.
Omnia mutantur! Lungo la freccia del tempo, tutto muta. Nelle Metamorfosi, attraverso il mito, Ovidio analizza questo strano fenomeno della mutazione, qualcosa che passa a “seconda vita”, rinasce e si trasforma, una costante di natura governata da una legge imprescindibile: l’entropia, un destino che coinvolge l’intero universo, dove tutto è destinato a svanire, subendo continui mutamenti. Ma è ancora nella natura che ciò va ricercato, poiché ad essa ci rivolgiamo e da essa prende vita anche l’arte di Sorace, dal legno e dalla pietra, quella rosa del Furlo, ma anche arenaria, travertino e la pietra bianca delle Cesane, materie a cui l’artista vuol restituire nuova vita, una seconda possibilità, la stessa che ha avuto lui attraverso l’arte.
Nel suo lavoro tutto si riferisce all’uomo, alla sua forma ed al suo essere, i tronchi assumono sembianze umane, di donna principalmente, ancora sottolineando il tributo alla madre, i seni abbondanti, i ventri sporgenti, allusioni al calore dell’abbraccio materno. Oppure figure ieratiche pervase d’ironia, sono donne, madri, casalinghe, a volte, cariatidi dal volto antico che guardano al presente e che con il presente dialogano. Sculture dove emerge la poesia del passato, il rimando alle divinità venerate dai nostri avi, ma in cui è forte il richiamo al momento che stiamo vivendo, la necessità di ribadire le motivazioni di una scelta, quel ritorno alle origini che per lui ha significato l’allontanamento dal fragore metropolitano. E ciò è ben chiaro quando, camminando fra le piante del bosco, sulla strada che costeggia la Casa degli Artisti, ci si imbatte nell’opera Trivellazioni estreme, collocata il 31 ottobre del 2011, in occasione della nascita del settimo miliardesimo abitante della Terra. Sette trivelle, vecchie ed usurate dal lavoro, emergono come picche dalle viscere terrestri; sette urla, una per ogni miliardo di abitanti, la cui eco vuole arrivare lontano, ribadendo, una volta di più, il rischio per gli eccessi del sovrappopolamento e dello sfruttamento delle risorse. Un’opera scultorea che dialoga con i presupposti della Land Art, quella più sincera, ideata da chi non si limita ad interagire con la terra, ma che con essa ha ormai instaurato un legame d’intima complicità.
Andrea Baffoni
Questo bisogno, questa ricerca di senso intimo fra sé e la fonte di tutto, è quanto emerge nel lavoro di Antonio Sorace, scultore, promotore artistico e responsabile, oggi, di un luogo d’arte affascinante come la Casa degli Artisti, una residenza per creativi incastonata nella valle del Furlo, nelle Marche Alte. Qui, affiancato da Andreina De Tomassi, ha collocato la propria dimora, in un tempo che dichiara essere un “secondo tempo”, per entrambi, una seconda vita, intrisa d’arte e di condivisione, immersa nel cuore della terra, in quella valle che s’incunea come un sesso femminile nel profondo della natura e da cui in lontananza spiccano le pareti rocciose del Furlo, erte come due gambe spalancate pronte per rivelare il proprio segreto.
Un cuneo in cui scorre il fiume e sul quale si erge la diga, monumento ingegneristico su cui Antonio ha collocato una delle sue sculture più significative, Tuffo, opera simbolica e metafisica, segno di memoria e monito di libertà. Viene in mente Kubin, ed il suo Salto della morte, piccola opera su carta dove un uomo nudo si tuffa in un’immensa vagina, ma qui non c’è l’angoscia oppressiva dell’artista austriaco, il Tuffo di Sorace è una dichiarazione di rinascita, la metafora del suo gettarsi in quell’ambiente che ha vissuto fin da bambino, quando saliva sul Monte Paganuccio. Riemerge la metafora di un uomo che cerca l’abbraccio della Madre, intesa come Terra, ma inevitabilmente riferita anche alla propria, colei che lo mise al mondo e con la quale ha avuto un legame fortissimo.
Omnia mutantur! Lungo la freccia del tempo, tutto muta. Nelle Metamorfosi, attraverso il mito, Ovidio analizza questo strano fenomeno della mutazione, qualcosa che passa a “seconda vita”, rinasce e si trasforma, una costante di natura governata da una legge imprescindibile: l’entropia, un destino che coinvolge l’intero universo, dove tutto è destinato a svanire, subendo continui mutamenti. Ma è ancora nella natura che ciò va ricercato, poiché ad essa ci rivolgiamo e da essa prende vita anche l’arte di Sorace, dal legno e dalla pietra, quella rosa del Furlo, ma anche arenaria, travertino e la pietra bianca delle Cesane, materie a cui l’artista vuol restituire nuova vita, una seconda possibilità, la stessa che ha avuto lui attraverso l’arte.
Nel suo lavoro tutto si riferisce all’uomo, alla sua forma ed al suo essere, i tronchi assumono sembianze umane, di donna principalmente, ancora sottolineando il tributo alla madre, i seni abbondanti, i ventri sporgenti, allusioni al calore dell’abbraccio materno. Oppure figure ieratiche pervase d’ironia, sono donne, madri, casalinghe, a volte, cariatidi dal volto antico che guardano al presente e che con il presente dialogano. Sculture dove emerge la poesia del passato, il rimando alle divinità venerate dai nostri avi, ma in cui è forte il richiamo al momento che stiamo vivendo, la necessità di ribadire le motivazioni di una scelta, quel ritorno alle origini che per lui ha significato l’allontanamento dal fragore metropolitano. E ciò è ben chiaro quando, camminando fra le piante del bosco, sulla strada che costeggia la Casa degli Artisti, ci si imbatte nell’opera Trivellazioni estreme, collocata il 31 ottobre del 2011, in occasione della nascita del settimo miliardesimo abitante della Terra. Sette trivelle, vecchie ed usurate dal lavoro, emergono come picche dalle viscere terrestri; sette urla, una per ogni miliardo di abitanti, la cui eco vuole arrivare lontano, ribadendo, una volta di più, il rischio per gli eccessi del sovrappopolamento e dello sfruttamento delle risorse. Un’opera scultorea che dialoga con i presupposti della Land Art, quella più sincera, ideata da chi non si limita ad interagire con la terra, ma che con essa ha ormai instaurato un legame d’intima complicità.
Andrea Baffoni
02
ottobre 2016
Antonio Sorace – Dalla natura la forma
Dal 02 al 13 ottobre 2016
arte contemporanea
Location
SPAZIO 121
Perugia, Via Armando Fedeli, 121, (Perugia)
Perugia, Via Armando Fedeli, 121, (Perugia)
Orario di apertura
da martedia venerdì 15-18 o per aoountamento
Vernissage
2 Ottobre 2016, ore 17,30
Autore
Curatore