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Andrea Gualandri – Colpevole e innocente
È una pittura-macchina del tempo, fatta di copie, omaggi e repliche, tutte però così smaccatamente inautentiche (vuoi per gli elementi verbali e sintattici, vuoi per le forzature iconografiche) da sgombrare subito il campo da ogni velleità falsificatoria.
Comunicato stampa
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Colpevole e innocente
di Enrico Maria Davoli
Negli ultimi decenni, il rapporto vero-falso nelle arti figurative ha riscosso una crescente attenzione critica. Il valore patrimoniale immenso di molti capolavori antichi e moderni; gli studi sempre più analitici sui materiali e le tecniche artistiche; l'industria delle grandi mostre itineranti nel mondo; l'idolatria del pubblico e dei media per un ristretto novero di grandi nomi: questi ed altri fattori hanno fatto sì che fenomeni come la falsificazione, l'attribuzione e la disattribuzione di dipinti e sculture abbiano guadagnato il centro della scena, spesso ben al di là del loro effettivo rilievo culturale. Ma uno sguardo più approfondito ci dice che, per fortuna, il rapporto tra vero e falso in arte è stato, è e continuerà ad essere questione di ben altro spessore. Una questione, cioè, non limitata a fatti esterni, strumentali, come quelli cui si è appena accennato, ma inerente la natura e le motivazioni profonde del fare arte in quanto sfida all'intelligenza, al senso critico, alle verità ricevute, alla nostra stessa qualità di “testimoni oculari”, carichi di memoria e di ricordi, più che di semplici “spettatori”.
La pittura di Andrea Gualandri investe appunto questa sfera di problemi. È una pittura-macchina del tempo, fatta di copie, omaggi e repliche, tutte però così smaccatamente inautentiche (vuoi per gli elementi verbali e sintattici, vuoi per le forzature iconografiche) da sgombrare subito il campo da ogni velleità falsificatoria. Anche quella, sublimata e proprio per questo ancora più subdola, che si lega al rimpianto per il passato. Davanti alle figurine e ai manifesti cinematografici di Gualandri, infatti, anche la pur legittima nostalgia per qualche angolo semidimenticato dell'infanzia e dell'adolescenza viene subito frustrata. A farla naufragare ci pensano i nomi inconcepibili di quegli attori ed attrici, di quei registi e sceneggiatori, di quei calciatori, squadre e sponsor. Ci pensano quelle facce già viste, non di rado addirittura celebri, messe però a recitare una parte che non è la loro. A meno che non si voglia approdare alla conclusione, insieme ironica e tragica, che tutta quell'infanzia, tutta quell'adolescenza non siano state in realtà che un'unica grande bugia, bugia a cui oggi non possiamo più credere, come accade coi sogni fatti di prima mattina, quando il risveglio è già nell'aria.
C'è anche da rimarcare che, nei suoi rifacimenti e ripescaggi, Gualandri si tiene lontano da qualunque fonte artisticamente qualificata, preziosa. I manifesti e le figurine che lo ispirano hanno infatti un valore venale molto limitato, normalmente poche decine di euro per i patiti di quel tipo di collezionismo: un'inezia a fronte dei prezzi che caratterizzano le grandi aste di arte ed antiquariato. Insomma, il divario anche economico con l'arte “alta” è tale da rendere l'imitazione, in ogni caso, più dispendiosa e sofisticata dell'originale. E qui si innesta la motivazione più profonda della ricerca di Gualandri: la consapevolezza, già formulata mezzo secolo fa da Marshall McLuhan, che ogniqualvolta un medium comunicativo diventa obsoleto e scompare, per essere rimpiazzato da un altro più al passo coi tempi, inevitabilmente si inizia a percepirne i pregi artistici, quegli stessi che prima, nel marasma della comunicazione a tutto campo, passavano inosservati. Insomma, tutto ciò che arriva ad invecchiare può ambire a diventare, in un modo o nell'altro, “roba da museo”, reperto da analizzare e sezionare per scoprirne le qualità nascoste.
Ecco, le qualità. Nei manifesti cinematografici, che un tempo venivano dipinti da validissimi professionisti dell'illustrazione, queste qualità sono evidenti, e vanno dalle impaginazioni ardite ai lettering spregiudicati alle cromie potenti e sinistre, tanto più che il genere thriller prediletto da Gualandri sembra fatto apposta per esasperare i contrasti, cavalcando al tempo stesso la violenza e la sensualità, il superomismo e la parodia. Tutto il contrario, invece, con le figurine: il calciatore campeggia solitario e frontale, proprio come le annunciatrici e i giornalisti della TV di allora, esteticamente povera quanto il cinema era ricco; alle sue spalle vi sono sfondi talvolta reali talaltra appiccicati, ma sempre lontani, impoveriti da una tecnica di stampa che non fa sconti; tutto intorno a lui, la gabbia delle didascalie, delle cornici, dei dati statistici: un'impaginazione ed un formato fissi, immutabili. Insomma, il pittore che si esalta virtuosisticamente a contatto coi noir di serie B è lo stesso che, un attimo dopo, deve reprimersi e contenersi davanti agli idoli calcistici di qualunque serie dalla A in giù, concentrandosi spasmodicamente sulle loro fisionomie da foto-tessera, che ci fissano senza dire niente, come si trattasse di detenuti in attesa di giudizio.
Gli pseudofilm di Gualandri mitizzano, alla maniera tipica degli anni Settanta del secolo scorso, l'universo delle pulsioni devianti e antisociali vietate ai minori di 14 o 18 anni; per converso le sue pseudofigurine mitizzano, traendoli dal mondo infantile di chi la maggiore età non l'ha ancora raggiunta, gli strumenti di classificazione e schedatura che la civiltà dei media ha perfezionato per far fronte a queste stesse pulsioni. Tra criminali, divi, assi sportivi, beniamini delle folle, vi è stata e continua ad esservi una contiguità, un'occupazione di spazi ignota alle età precedenti. Gualandri è un cantore appassionato di questa saga moderna, fatta di innocenti scambiati per colpevoli e di colpevoli che si proclamano innocenti.
di Enrico Maria Davoli
Negli ultimi decenni, il rapporto vero-falso nelle arti figurative ha riscosso una crescente attenzione critica. Il valore patrimoniale immenso di molti capolavori antichi e moderni; gli studi sempre più analitici sui materiali e le tecniche artistiche; l'industria delle grandi mostre itineranti nel mondo; l'idolatria del pubblico e dei media per un ristretto novero di grandi nomi: questi ed altri fattori hanno fatto sì che fenomeni come la falsificazione, l'attribuzione e la disattribuzione di dipinti e sculture abbiano guadagnato il centro della scena, spesso ben al di là del loro effettivo rilievo culturale. Ma uno sguardo più approfondito ci dice che, per fortuna, il rapporto tra vero e falso in arte è stato, è e continuerà ad essere questione di ben altro spessore. Una questione, cioè, non limitata a fatti esterni, strumentali, come quelli cui si è appena accennato, ma inerente la natura e le motivazioni profonde del fare arte in quanto sfida all'intelligenza, al senso critico, alle verità ricevute, alla nostra stessa qualità di “testimoni oculari”, carichi di memoria e di ricordi, più che di semplici “spettatori”.
La pittura di Andrea Gualandri investe appunto questa sfera di problemi. È una pittura-macchina del tempo, fatta di copie, omaggi e repliche, tutte però così smaccatamente inautentiche (vuoi per gli elementi verbali e sintattici, vuoi per le forzature iconografiche) da sgombrare subito il campo da ogni velleità falsificatoria. Anche quella, sublimata e proprio per questo ancora più subdola, che si lega al rimpianto per il passato. Davanti alle figurine e ai manifesti cinematografici di Gualandri, infatti, anche la pur legittima nostalgia per qualche angolo semidimenticato dell'infanzia e dell'adolescenza viene subito frustrata. A farla naufragare ci pensano i nomi inconcepibili di quegli attori ed attrici, di quei registi e sceneggiatori, di quei calciatori, squadre e sponsor. Ci pensano quelle facce già viste, non di rado addirittura celebri, messe però a recitare una parte che non è la loro. A meno che non si voglia approdare alla conclusione, insieme ironica e tragica, che tutta quell'infanzia, tutta quell'adolescenza non siano state in realtà che un'unica grande bugia, bugia a cui oggi non possiamo più credere, come accade coi sogni fatti di prima mattina, quando il risveglio è già nell'aria.
C'è anche da rimarcare che, nei suoi rifacimenti e ripescaggi, Gualandri si tiene lontano da qualunque fonte artisticamente qualificata, preziosa. I manifesti e le figurine che lo ispirano hanno infatti un valore venale molto limitato, normalmente poche decine di euro per i patiti di quel tipo di collezionismo: un'inezia a fronte dei prezzi che caratterizzano le grandi aste di arte ed antiquariato. Insomma, il divario anche economico con l'arte “alta” è tale da rendere l'imitazione, in ogni caso, più dispendiosa e sofisticata dell'originale. E qui si innesta la motivazione più profonda della ricerca di Gualandri: la consapevolezza, già formulata mezzo secolo fa da Marshall McLuhan, che ogniqualvolta un medium comunicativo diventa obsoleto e scompare, per essere rimpiazzato da un altro più al passo coi tempi, inevitabilmente si inizia a percepirne i pregi artistici, quegli stessi che prima, nel marasma della comunicazione a tutto campo, passavano inosservati. Insomma, tutto ciò che arriva ad invecchiare può ambire a diventare, in un modo o nell'altro, “roba da museo”, reperto da analizzare e sezionare per scoprirne le qualità nascoste.
Ecco, le qualità. Nei manifesti cinematografici, che un tempo venivano dipinti da validissimi professionisti dell'illustrazione, queste qualità sono evidenti, e vanno dalle impaginazioni ardite ai lettering spregiudicati alle cromie potenti e sinistre, tanto più che il genere thriller prediletto da Gualandri sembra fatto apposta per esasperare i contrasti, cavalcando al tempo stesso la violenza e la sensualità, il superomismo e la parodia. Tutto il contrario, invece, con le figurine: il calciatore campeggia solitario e frontale, proprio come le annunciatrici e i giornalisti della TV di allora, esteticamente povera quanto il cinema era ricco; alle sue spalle vi sono sfondi talvolta reali talaltra appiccicati, ma sempre lontani, impoveriti da una tecnica di stampa che non fa sconti; tutto intorno a lui, la gabbia delle didascalie, delle cornici, dei dati statistici: un'impaginazione ed un formato fissi, immutabili. Insomma, il pittore che si esalta virtuosisticamente a contatto coi noir di serie B è lo stesso che, un attimo dopo, deve reprimersi e contenersi davanti agli idoli calcistici di qualunque serie dalla A in giù, concentrandosi spasmodicamente sulle loro fisionomie da foto-tessera, che ci fissano senza dire niente, come si trattasse di detenuti in attesa di giudizio.
Gli pseudofilm di Gualandri mitizzano, alla maniera tipica degli anni Settanta del secolo scorso, l'universo delle pulsioni devianti e antisociali vietate ai minori di 14 o 18 anni; per converso le sue pseudofigurine mitizzano, traendoli dal mondo infantile di chi la maggiore età non l'ha ancora raggiunta, gli strumenti di classificazione e schedatura che la civiltà dei media ha perfezionato per far fronte a queste stesse pulsioni. Tra criminali, divi, assi sportivi, beniamini delle folle, vi è stata e continua ad esservi una contiguità, un'occupazione di spazi ignota alle età precedenti. Gualandri è un cantore appassionato di questa saga moderna, fatta di innocenti scambiati per colpevoli e di colpevoli che si proclamano innocenti.
20
agosto 2016
Andrea Gualandri – Colpevole e innocente
Dal 20 agosto al 04 settembre 2016
arte contemporanea
Location
GALLERIA DEL CARBONE
Ferrara, Via Del Carbone, 18, (Ferrara)
Ferrara, Via Del Carbone, 18, (Ferrara)
Orario di apertura
dal Mercoledì al venerdì 17.00-20.00; sabato e festivi 11.00-12.30 / 17.00-20.00 chiuso lunedì e martedì.
Vernissage
20 Agosto 2016, ore 18.00
Autore
Curatore