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Alfredo Di Bacco Il Teatro dell’Assurdo
Il corpus di opere in mostra è l’esito meditato della postulazione di un ritorno all’ordine vissuto come nostalgia della perfezione formale, rivalutazione della modalità espressiva antica avente il suo punto di forza nel gusto della narrazione, avvertita come categoria propria della specie, dell’homo faber costruttore di civiltà, affabulatore di sogni, conteur fantasioso prima sulle pareti della caverna, poi con la parola, espressione dell’esclusiva sua facoltà astrattiva
Comunicato stampa
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IL TEATRO DELL’ASSURDO
Giovanni Stella
Eretico ha deciso di essere Alfredo Di Bacco. E per essere eretico ha imboccato la strada
dell’emancipazione dai precetti coercitivi della prevalente estetica contemporanea, dichiarando
apertamente il rifiuto dell’odierno infinito sperimentalismo.
Il corpus di opere in mostra è l’esito meditato della postulazione di un ritorno all’ordine vissuto
come nostalgia della perfezione formale, rivalutazione della modalità espressiva antica avente il
suo punto di forza nel gusto della narrazione, avvertita come categoria propria della specie,
dell’homo faber costruttore di civiltà, affabulatore di sogni, conteur fantasioso prima sulle pareti
della caverna, poi con la parola, espressione dell’esclusiva sua facoltà astrattiva.
Può sembrare una contraddizione in termini che l’artista configuri il suo impulso innovatore ed
eversivo, rispetto al presente, con un richiamo ai grandi della bella maniera che dal ‘500 al
Settecento diedero forma alla loro inquietudine, facendo tesoro del lascito di bellezza ed eleganza a
quel momento raggiunto.
Per Di Bacco è di tutta evidenza che l’eresia nei confronti della linea che cancella il passato non
può che essere la trasgressione della trasgressione e, quindi, il ritorno all’alfabeto, alla grammatica,
alla sintassi della lingua madre che ha le sue regole, all’interno delle quali l’artista può trovare i
suoi margini di libertà espressiva.
Che, poi, il temerario indirizzo estetico sia qualificato dalle pretese avanguardie à la page come
Kitsch è motivo, questo, di preziosa occasione di assunzione di responsabilità, teoretica e morale,
per volgere in positivo l’accusa sprezzante insita nell’attributo.
Illuminante a questo proposito la lucida difesa del Kitsch di Odd Nerdrum, il grande pittore
norvegese, l’eretico per eccellenza, padre riconosciuto di tutti i “passatisti”, che in una famosa
intervista ha voluto rivendicare con orgoglio d’essere un autore kitsch, intendendo con questo
termine identificare l’alta qualità tecnica del lavoro dell’artista, il gusto per l’inconsueto, la
contiguità al virtuosismo concepito come sfida ai neofiti della pretesa avanguardia del nostro
tempo, il rifiuto dell’ironia come passepartout per ogni manufatto privo di perfezione formale, di
abilità manuale e di contenuto. Odd Nerdrum ha vinto la sua sfida. Tutto l’Occidente lo celebra.
In Italia un drappello di artisti, a partire dagli anni ’70 del ‘900, avverte il potenziale distruttivo e
l’impraticabilità della strada senza sbocco dello sperimentalismo portato alle estreme conseguenze
e con il sostegno di illustri critici quali Maurizio Calvesi, Italo Tomassoni, Marisa Volpi, Italo
Mussa ed altri si orienta verso la nuova religione che sa d’antico: il culto della forma, pictura ut
pictura.
Alfredo Di Bacco, affascinato dalla prospettiva della continuità, nel fare arte, tra passato e
presente, si lancia nell’agone della tenzone tra antichi e moderni, partigiano della forma pura,
congeniale alla sua visionarietà di artista solitario.
Da questa ardita presa di posizione prende avvio il suo percorso nel labirinto del sogno, dal quale
non uscirà più, come dimostrano la compattezza e la persistenza della sua visione che ha come
sfondo il paesaggio giorgionesco immerso nelle luci violette di uno struggente tramonto, segnato
dal mistero e dalla incompiutezza della vicenda umana, retaggio, secondo la vulgata ebraico-
cristiana, della prima fatale trasgressione dell’uomo.
In questo scenario Alfredo Di Bacco ambienta la sua narrazione che è rappresentazione di enigmi,
allegoria della condizione umana sospesa tra cielo e terra, teatro dell’assurdo, anzi dell’attesa di un
evento metareale che dia senso alla vita che senso non ha nell’istante in cui si svolge.
I suoi personaggi, visti nell’improbabile interazione tra di loro, sono presentati come sagome
mosse da un ironico cattivo demiurgo, direbbe Emile Cioran, un demiurgo che si diverte, ma non
applaude. Il suo teatro di figura ricorda anche la metafisica di Antonio Machado:” Ya nuestra vida
es tiempo, y nuestra sola cuita / son las desesperantes posturas que tomamos / para guardar”.
Il suo racconto pittorico è realistico per il riferimento al mondo fenomenico: paesaggi collinari,
valli, specchi d’acqua, uomini e donne, ma nello stesso tempo è connotato da astrattezza che si
appalesa nell’assenza dei nessi logici usuali e nelle innaturali connessioni proprie della dimensione
onirica.
Un realismo, il suo, magico, irreale e simbolico, intriso di religiosità eretica che attinge alle
sorgenti del sacro e nello stesso tempo azzera la precettistica castrante delle religioni del Libro.
Una narrazione poetica dispiegata sotto i nostri occhi su un immaginario coreografico carro di
Tespi, dove è esaltata la bellezza dei corpi di uomini e donne in posture tese, nella loro immobilità,
a intercettare il mistero della vita, nell’istante stesso in cui il silenzio metafisico avverte che “il
tempo che passa e vola toglie la vita” (Cervantes).
La pittura di Alfredo Di Bacco, sorretta dalla padronanza del disegno, da una colta maestria
compositiva, dalla tensione verso la forma pura si nutre di un sentimento della luce che con toni
malinconici avvolge il creato e le creature, noi spettatori compresi, colti da incantamento.
Giovanni Stella
Eretico ha deciso di essere Alfredo Di Bacco. E per essere eretico ha imboccato la strada
dell’emancipazione dai precetti coercitivi della prevalente estetica contemporanea, dichiarando
apertamente il rifiuto dell’odierno infinito sperimentalismo.
Il corpus di opere in mostra è l’esito meditato della postulazione di un ritorno all’ordine vissuto
come nostalgia della perfezione formale, rivalutazione della modalità espressiva antica avente il
suo punto di forza nel gusto della narrazione, avvertita come categoria propria della specie,
dell’homo faber costruttore di civiltà, affabulatore di sogni, conteur fantasioso prima sulle pareti
della caverna, poi con la parola, espressione dell’esclusiva sua facoltà astrattiva.
Può sembrare una contraddizione in termini che l’artista configuri il suo impulso innovatore ed
eversivo, rispetto al presente, con un richiamo ai grandi della bella maniera che dal ‘500 al
Settecento diedero forma alla loro inquietudine, facendo tesoro del lascito di bellezza ed eleganza a
quel momento raggiunto.
Per Di Bacco è di tutta evidenza che l’eresia nei confronti della linea che cancella il passato non
può che essere la trasgressione della trasgressione e, quindi, il ritorno all’alfabeto, alla grammatica,
alla sintassi della lingua madre che ha le sue regole, all’interno delle quali l’artista può trovare i
suoi margini di libertà espressiva.
Che, poi, il temerario indirizzo estetico sia qualificato dalle pretese avanguardie à la page come
Kitsch è motivo, questo, di preziosa occasione di assunzione di responsabilità, teoretica e morale,
per volgere in positivo l’accusa sprezzante insita nell’attributo.
Illuminante a questo proposito la lucida difesa del Kitsch di Odd Nerdrum, il grande pittore
norvegese, l’eretico per eccellenza, padre riconosciuto di tutti i “passatisti”, che in una famosa
intervista ha voluto rivendicare con orgoglio d’essere un autore kitsch, intendendo con questo
termine identificare l’alta qualità tecnica del lavoro dell’artista, il gusto per l’inconsueto, la
contiguità al virtuosismo concepito come sfida ai neofiti della pretesa avanguardia del nostro
tempo, il rifiuto dell’ironia come passepartout per ogni manufatto privo di perfezione formale, di
abilità manuale e di contenuto. Odd Nerdrum ha vinto la sua sfida. Tutto l’Occidente lo celebra.
In Italia un drappello di artisti, a partire dagli anni ’70 del ‘900, avverte il potenziale distruttivo e
l’impraticabilità della strada senza sbocco dello sperimentalismo portato alle estreme conseguenze
e con il sostegno di illustri critici quali Maurizio Calvesi, Italo Tomassoni, Marisa Volpi, Italo
Mussa ed altri si orienta verso la nuova religione che sa d’antico: il culto della forma, pictura ut
pictura.
Alfredo Di Bacco, affascinato dalla prospettiva della continuità, nel fare arte, tra passato e
presente, si lancia nell’agone della tenzone tra antichi e moderni, partigiano della forma pura,
congeniale alla sua visionarietà di artista solitario.
Da questa ardita presa di posizione prende avvio il suo percorso nel labirinto del sogno, dal quale
non uscirà più, come dimostrano la compattezza e la persistenza della sua visione che ha come
sfondo il paesaggio giorgionesco immerso nelle luci violette di uno struggente tramonto, segnato
dal mistero e dalla incompiutezza della vicenda umana, retaggio, secondo la vulgata ebraico-
cristiana, della prima fatale trasgressione dell’uomo.
In questo scenario Alfredo Di Bacco ambienta la sua narrazione che è rappresentazione di enigmi,
allegoria della condizione umana sospesa tra cielo e terra, teatro dell’assurdo, anzi dell’attesa di un
evento metareale che dia senso alla vita che senso non ha nell’istante in cui si svolge.
I suoi personaggi, visti nell’improbabile interazione tra di loro, sono presentati come sagome
mosse da un ironico cattivo demiurgo, direbbe Emile Cioran, un demiurgo che si diverte, ma non
applaude. Il suo teatro di figura ricorda anche la metafisica di Antonio Machado:” Ya nuestra vida
es tiempo, y nuestra sola cuita / son las desesperantes posturas que tomamos / para guardar”.
Il suo racconto pittorico è realistico per il riferimento al mondo fenomenico: paesaggi collinari,
valli, specchi d’acqua, uomini e donne, ma nello stesso tempo è connotato da astrattezza che si
appalesa nell’assenza dei nessi logici usuali e nelle innaturali connessioni proprie della dimensione
onirica.
Un realismo, il suo, magico, irreale e simbolico, intriso di religiosità eretica che attinge alle
sorgenti del sacro e nello stesso tempo azzera la precettistica castrante delle religioni del Libro.
Una narrazione poetica dispiegata sotto i nostri occhi su un immaginario coreografico carro di
Tespi, dove è esaltata la bellezza dei corpi di uomini e donne in posture tese, nella loro immobilità,
a intercettare il mistero della vita, nell’istante stesso in cui il silenzio metafisico avverte che “il
tempo che passa e vola toglie la vita” (Cervantes).
La pittura di Alfredo Di Bacco, sorretta dalla padronanza del disegno, da una colta maestria
compositiva, dalla tensione verso la forma pura si nutre di un sentimento della luce che con toni
malinconici avvolge il creato e le creature, noi spettatori compresi, colti da incantamento.
11
giugno 2016
Alfredo Di Bacco Il Teatro dell’Assurdo
Dall'undici al 29 giugno 2016
arte contemporanea
Location
FONTE BONIFACIO VIII – SALONE DELLE MESCITE
Fiuggi, (Frosinone)
Fiuggi, (Frosinone)
Orario di apertura
8,00 12,00 e 14,00 1800
Vernissage
11 Giugno 2016, ore 17.30
Autore
Curatore