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Ce n’est q’un debut…
12 artisti chiamati da Mario Giusti, che ne è il curatore, ad interpretare un pensiero che cominci l’avvicinamento al maggio 2018, il cinquantennale di quello che non possiamo considerare un anno, bensì un periodo storico carico di emozioni, idee e trasformazioni sociali e politiche. Nulla di rievocativo, semmai attuale
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Ce n’est q’un debut...
05.1968/04.2018: prologo...
La Galleria HQ-HEADQUARTER di Milano inaugura, l’8.06.2016 alle h.18.30, in Via Cesare
Correnti 14, una collettiva decisamente particolare e chiaramente ispirata al ’68:
Ce n’est q’un debut... 12 artisti chiamati da Mario Giusti, che ne è il curatore, ad
interpretare un pensiero che cominci l’avvicinamento al maggio 2018, il cinquantennale di quello
che non possiamo considerare un anno, bensì un periodo storico carico di emozioni, idee e
trasformazioni sociali e politiche. Nulla di rievocativo, semmai attuale.
Raoul Vaneigem: «noi non vogliamo vivere in un mondo nel quale la garanzia di non morire di
fame si scambia contro il rischio di morire di noia»
Questa mostra avrebbe potuto chiamarsi tranquillamente Guerra&Pace perché il racconto che
tutti ci si aspetta da qualcosa che parli di ’68 non parte, in questo caso, da quel famoso Maggio.
Bensì molto prima, da quel mitico sbarco alleato in cui, con la libertà dal nazifascismo,
arrivarono anche tasselli decisamente rivoluzionari che concorsero a configurare una materia
totalmente nuova: la cultura giovanile, il loro svago impermeabile agli adulti. Infatti questa a cui
vi invito a partecipare è una collettiva-prologo di ciò su cui sto lavorando e che arriverà in
forma di grande mostra a maggio 2018, per il cinquantenario.
E allora, che c’entra col ’68?
Moltissimo perché tutta la storiografia contemporanea e buona parte del cinema e della
letteratura, con una gigantesca forzatura storica a carico dell’Unione Sovietica, testimoniano
che da quella data si può parlare di libertà sociale e rivoluzione. Iniziò la lunga marcia di
colonizzazione culturale, economica ed emotiva della nostra Europa, fino ad arrivare
all’incendio del ’68.
E’ un dato che da quello sbarco arrivò una cosa del tutto sconosciuta per noi, la cultura
giovanile, che dal rock’ n roll della metà degli anni ’50 si lanciò poi in tutti quei movimenti
libertari, anarchici, hippy, di posa e di moda ma soprattutto di protesta, che tanto influenzarono
e prepararono il ’68.
L’America bombardava il Vietnam del Nord e l’URSS invadeva la Cecoslovacchia ( c’è un’opera
molto forte di Tom Porta che ricorda questo momento). Svariati erano i sentimenti di ostilità nei
confronti del potere. Si passò dalla protesta studentesca partita dai campus di Berkeley in
California al Maggio francese, per poi finire con il coinvolgimento dell’intero pianeta.
Gli artisti, in quanto testimoni di ciò che accade nel mondo, non furono affatto indifferenti ai
violenti mutamenti mondiali che li circondavano, tant’è che il vento di protesta, contro i poteri
invasivi delle istituzioni, avvolse anche la XXXIV Biennale di Venezia del 1968.
Anche buona parte della cultura si schierò e, dalla guerra del Vietnam in poi, incendiò cinema,
sale da ballo, feste giovanili, musica e atteggiamenti: dalla minigonna a John Lennon a Jimi
Hendrix e quell’indimenticabile riff dell’inno americano a Woodstock.
La guerra fu il mezzo per accendere la protesta. Ed ecco perché autorità e violenza, raccontate
nelle opere di Diluca o Ceribelli, o il filmato del giovane Damiani o l’IDOLO di Paolo Fiorellini
si interfacciano con la bellezza del mito nei ritratti femminili di Tom Porta o il Lennon di Vegna,
passando per la rappresentazione della cultura psichedelica nelle opere di Guarnaccia.
Ma la vera domanda è: esiste un’arte del Sessantotto? Esistono cioè fenomeni artistici
considerabili parte integrante di quella costellazione internazionale di protagonisti ed eventi che
va sotto il nome di Sessantotto, oppure è lecito parlare meno ambiziosamente, di influssi del ‘68
sull’arte, concludendo così che tale movimento lambisce i territori dell’arte, ma non ne genera
alcuna?
Al Sessantotto sono ricondotti di frequente, con appigli quasi mai privi di fondamento, varie
tendenze artistiche del dopoguerra: dall’arte concettuale, con la sua “resistenza alla
commercializzazione”, all’arte povera la cui peculiarità appare raffrontabile alle accezioni più
anticonsumiste del ‘68.
Più realisticamente si sviluppa fra gli artisti un rifiuto della critica istituzionale, di contestazione
radicale del sistema di valori borghesi, tipico del Sessantotto.
Si, abbiamo mostre dedicate e furbescamente ammiccanti ma, nella migliore delle ipotesi,
parliamo appunto di meri riverberi secondari e mai di un’arte come territorio in cui il Sessantotto
si esprima primariamente.
Un’arte più propriamente del ‘68 potrebbe essere riconosciuta in tutti quei fenomeni che definirei
“prop” e di fotoreportage. Apparentemente è questa l’immagine di un’arte “sessantottina” più
efficace che possa concepirsi e che rischia di lasciare in ombra proprio l’accezione più originale,
ed anche storicamente preponderante, del Sessantotto: quella che testimonia della sua
radicalità realmente epocale. Per questo ho scelto dallo sterminato archivio di Fabrizio
Garghetti 6 foto emblematiche.
L’idea è che, nell’insieme, questa mostra concorra a valorizzare quel passato formativo,
attraverso sentimenti (Spadari con la citazione della Colomba Bianca), suoni, coinvolgimenti,
rabbie ed eroici furori, ispirazioni (Sergio Fornasetti con il suo Mao), azioni, figure, idee, opere
e gesti (Andrea Greco con il garofano nel fucile) che hanno profondamente influenzato la
società attuale e che oggi concorrano a realizzare opere come momenti di vita concretamente e
deliberatamente costruiti mediante l'organizzazione collettiva di un ambiente artistico unitario e
di un gioco di eventi. La citazione iniziale del situazionista belga Raoul Vaneigem rappresenta
molto lo spirito con cui affronto questa collettiva: “...contro il rischio di morire di noia»
Ispirazione dunque, niente di politico o didascalico, bensì un viaggio personale, attraverso l’arte
di oggi vista più come natura umana che ritratto storico, un racconto che ha il merito di ampliare
la parte non-mediocre della vita: una mostra come un acceleratore di particelle che non ha
cronologia ma tempo.
Questa collettiva resiste alla tentazione di porsi il quesito su cosa sia stato il Sessantotto, dato
che, in quanto prodotto di forze sociali e culturali plurali, racchiudere in un unicum la sua
essenza risulta necessariamente un’operazione complessa e destinata all’approssimazione.
A maggio 2018 ne parleranno tutti, qui invece quello che accade è un collage di opere che
creano un racconto come un vortice vitalista, una specie di Matrix dove sono accomunate
esperienze ed interpretazioni, ricordi e sentito dire di quel periodo e di ciò che di emotivo ha
rappresentato. Un ritratto di John Lennon con l’elmetto militare, un Capitan America un po’
Hippie, un carro armato in vendita x le parate, le foto del Living Theatre...
Ce n’est q’un debut...
05.1968/04.2018: prologo...
Artisti: ARTIOLI, CERIBELLI, DAMIANI, DILUCA, FIORELLINI, FORNASETTI, GARGHETTI, GRECO,
GUARNACCIA, PORTA, SPADARI, VEGNA
Inaugurazione mercoledì 8 giugno h.18,30: galleria Mario Giusti HQ-HEADQUARTER - Via Cesare
Correnti 14 Milano
8/21 giugno- lu/ve 10.30-18.30 (orari differenti su appuntamento)
www.mariogiustihq.com - info@mariogiustihq.com
05.1968/04.2018: prologo...
La Galleria HQ-HEADQUARTER di Milano inaugura, l’8.06.2016 alle h.18.30, in Via Cesare
Correnti 14, una collettiva decisamente particolare e chiaramente ispirata al ’68:
Ce n’est q’un debut... 12 artisti chiamati da Mario Giusti, che ne è il curatore, ad
interpretare un pensiero che cominci l’avvicinamento al maggio 2018, il cinquantennale di quello
che non possiamo considerare un anno, bensì un periodo storico carico di emozioni, idee e
trasformazioni sociali e politiche. Nulla di rievocativo, semmai attuale.
Raoul Vaneigem: «noi non vogliamo vivere in un mondo nel quale la garanzia di non morire di
fame si scambia contro il rischio di morire di noia»
Questa mostra avrebbe potuto chiamarsi tranquillamente Guerra&Pace perché il racconto che
tutti ci si aspetta da qualcosa che parli di ’68 non parte, in questo caso, da quel famoso Maggio.
Bensì molto prima, da quel mitico sbarco alleato in cui, con la libertà dal nazifascismo,
arrivarono anche tasselli decisamente rivoluzionari che concorsero a configurare una materia
totalmente nuova: la cultura giovanile, il loro svago impermeabile agli adulti. Infatti questa a cui
vi invito a partecipare è una collettiva-prologo di ciò su cui sto lavorando e che arriverà in
forma di grande mostra a maggio 2018, per il cinquantenario.
E allora, che c’entra col ’68?
Moltissimo perché tutta la storiografia contemporanea e buona parte del cinema e della
letteratura, con una gigantesca forzatura storica a carico dell’Unione Sovietica, testimoniano
che da quella data si può parlare di libertà sociale e rivoluzione. Iniziò la lunga marcia di
colonizzazione culturale, economica ed emotiva della nostra Europa, fino ad arrivare
all’incendio del ’68.
E’ un dato che da quello sbarco arrivò una cosa del tutto sconosciuta per noi, la cultura
giovanile, che dal rock’ n roll della metà degli anni ’50 si lanciò poi in tutti quei movimenti
libertari, anarchici, hippy, di posa e di moda ma soprattutto di protesta, che tanto influenzarono
e prepararono il ’68.
L’America bombardava il Vietnam del Nord e l’URSS invadeva la Cecoslovacchia ( c’è un’opera
molto forte di Tom Porta che ricorda questo momento). Svariati erano i sentimenti di ostilità nei
confronti del potere. Si passò dalla protesta studentesca partita dai campus di Berkeley in
California al Maggio francese, per poi finire con il coinvolgimento dell’intero pianeta.
Gli artisti, in quanto testimoni di ciò che accade nel mondo, non furono affatto indifferenti ai
violenti mutamenti mondiali che li circondavano, tant’è che il vento di protesta, contro i poteri
invasivi delle istituzioni, avvolse anche la XXXIV Biennale di Venezia del 1968.
Anche buona parte della cultura si schierò e, dalla guerra del Vietnam in poi, incendiò cinema,
sale da ballo, feste giovanili, musica e atteggiamenti: dalla minigonna a John Lennon a Jimi
Hendrix e quell’indimenticabile riff dell’inno americano a Woodstock.
La guerra fu il mezzo per accendere la protesta. Ed ecco perché autorità e violenza, raccontate
nelle opere di Diluca o Ceribelli, o il filmato del giovane Damiani o l’IDOLO di Paolo Fiorellini
si interfacciano con la bellezza del mito nei ritratti femminili di Tom Porta o il Lennon di Vegna,
passando per la rappresentazione della cultura psichedelica nelle opere di Guarnaccia.
Ma la vera domanda è: esiste un’arte del Sessantotto? Esistono cioè fenomeni artistici
considerabili parte integrante di quella costellazione internazionale di protagonisti ed eventi che
va sotto il nome di Sessantotto, oppure è lecito parlare meno ambiziosamente, di influssi del ‘68
sull’arte, concludendo così che tale movimento lambisce i territori dell’arte, ma non ne genera
alcuna?
Al Sessantotto sono ricondotti di frequente, con appigli quasi mai privi di fondamento, varie
tendenze artistiche del dopoguerra: dall’arte concettuale, con la sua “resistenza alla
commercializzazione”, all’arte povera la cui peculiarità appare raffrontabile alle accezioni più
anticonsumiste del ‘68.
Più realisticamente si sviluppa fra gli artisti un rifiuto della critica istituzionale, di contestazione
radicale del sistema di valori borghesi, tipico del Sessantotto.
Si, abbiamo mostre dedicate e furbescamente ammiccanti ma, nella migliore delle ipotesi,
parliamo appunto di meri riverberi secondari e mai di un’arte come territorio in cui il Sessantotto
si esprima primariamente.
Un’arte più propriamente del ‘68 potrebbe essere riconosciuta in tutti quei fenomeni che definirei
“prop” e di fotoreportage. Apparentemente è questa l’immagine di un’arte “sessantottina” più
efficace che possa concepirsi e che rischia di lasciare in ombra proprio l’accezione più originale,
ed anche storicamente preponderante, del Sessantotto: quella che testimonia della sua
radicalità realmente epocale. Per questo ho scelto dallo sterminato archivio di Fabrizio
Garghetti 6 foto emblematiche.
L’idea è che, nell’insieme, questa mostra concorra a valorizzare quel passato formativo,
attraverso sentimenti (Spadari con la citazione della Colomba Bianca), suoni, coinvolgimenti,
rabbie ed eroici furori, ispirazioni (Sergio Fornasetti con il suo Mao), azioni, figure, idee, opere
e gesti (Andrea Greco con il garofano nel fucile) che hanno profondamente influenzato la
società attuale e che oggi concorrano a realizzare opere come momenti di vita concretamente e
deliberatamente costruiti mediante l'organizzazione collettiva di un ambiente artistico unitario e
di un gioco di eventi. La citazione iniziale del situazionista belga Raoul Vaneigem rappresenta
molto lo spirito con cui affronto questa collettiva: “...contro il rischio di morire di noia»
Ispirazione dunque, niente di politico o didascalico, bensì un viaggio personale, attraverso l’arte
di oggi vista più come natura umana che ritratto storico, un racconto che ha il merito di ampliare
la parte non-mediocre della vita: una mostra come un acceleratore di particelle che non ha
cronologia ma tempo.
Questa collettiva resiste alla tentazione di porsi il quesito su cosa sia stato il Sessantotto, dato
che, in quanto prodotto di forze sociali e culturali plurali, racchiudere in un unicum la sua
essenza risulta necessariamente un’operazione complessa e destinata all’approssimazione.
A maggio 2018 ne parleranno tutti, qui invece quello che accade è un collage di opere che
creano un racconto come un vortice vitalista, una specie di Matrix dove sono accomunate
esperienze ed interpretazioni, ricordi e sentito dire di quel periodo e di ciò che di emotivo ha
rappresentato. Un ritratto di John Lennon con l’elmetto militare, un Capitan America un po’
Hippie, un carro armato in vendita x le parate, le foto del Living Theatre...
Ce n’est q’un debut...
05.1968/04.2018: prologo...
Artisti: ARTIOLI, CERIBELLI, DAMIANI, DILUCA, FIORELLINI, FORNASETTI, GARGHETTI, GRECO,
GUARNACCIA, PORTA, SPADARI, VEGNA
Inaugurazione mercoledì 8 giugno h.18,30: galleria Mario Giusti HQ-HEADQUARTER - Via Cesare
Correnti 14 Milano
8/21 giugno- lu/ve 10.30-18.30 (orari differenti su appuntamento)
www.mariogiustihq.com - info@mariogiustihq.com
08
giugno 2016
Ce n’est q’un debut…
Dall'otto al 21 giugno 2016
arte contemporanea
Location
GALLERIA MARIO GIUSTI HQ–HEADQUARTER
Milano, Via Cesare Correnti, 14, (Milano)
Milano, Via Cesare Correnti, 14, (Milano)
Orario di apertura
lu/ve 10.30-18.30 (orari differenti su appuntamento)
Vernissage
8 Giugno 2016, ore 18.30
Autore