28 gennaio 2009

fino al 31.I.2009 Ugo Giletta Roma, LipanjePuntin

 
Una quarantina di volti dai contorni indefiniti. Con sguardi fissi, osservano fermamente chiunque varchi la soglia della galleria. Apparentemente privi d’identità, sono visi afoni e vaghi. Ancor più evanescenti grazie all’uso dell’acquarello...

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Superata la soglia della galleria, difficilmente si può evitare un certo senso d’inquietudine, quasi di soffocamento. Poiché il visitatore si ritrova a confronto con una folla di visi, dipinti da Ugo Giletta (Revello, Cuneo, 1957: vive a Manta, Cuneo), che puntano tutti insieme il loro sguardo nella sua direzione. È come entrare nella nebbiosa quiete di Spoon River e aggiungere la “foto” agli epitaffi dei personaggi di Edgar Lee Masters.
Queste impronte di uomini sono impersonali e rarefatti non-ritratti ridotti all’osso. La loro scarna semplicità è una sorta di Esercizio di stile alla Queneau, in cui lo stesso soggetto viene rivisto, rivisitato e ancora rivisto e rivisitato e riprodotto, in diversi formati, quasi all’infinito. L’evanescenza è enfatizzata dall’uso esasperato dell’acquerello, disteso su carta o tela. Ma ogni volta Giletta tratta il proprio soggetto partendo da un punto diverso e toglie qualcosa, per raggiungere una totale, spoglia essenzialità. La sua è una “pittura trinitaria”, come l’ha definita Francesco Tomatis, perché “ci troviamo immessi in una dimensione la cui comunione di distinti è sovrasostanziale”.
È una moltitudine di silenziose teste che scruta il visitatore, come a voler leggere al suo interno, oltre la massa della carne. Apparentemente, questi volti – privi di una particolare connotazione di sesso ed età – sono tutti uguali. SUgo Giletta - Volto - 2008 - acquerello su tela - cm 100x150 - courtesy LipanjePuntin artecontemporanea, Trieste-Romaono quasi chiazze di colore in cui tutto è ridotto al minimo, se non addirittura assente. Minimale è infatti il cromatismo, marrone e grigio-blu, ed è del tutto mancante qualsiasi riferimento temporale, spaziale o descrittivo. Per questo appaiono tristemente solitari. Assomigliano alle teste conservate nei musei archeologici: melanconicamente isolate sul loro piedistallo.
Ma, se guardati attentamente, quei volti rivelano impercettibili differenze che li caratterizzano. Una piccola variazione del tono, la macchia di colore leggermente allargata o allungata, una casuale ombra vicino ai fori che indicano gli occhi o la bocca conferiscono precisi identità e stato d’animo. Senza l’urlante angoscia munchiana, descrivono timidezza, smarrimento, incredulità, desolazione, solitudine. E quell’inquietudine iniziale, data dall’insieme: “Se isolati”, racconta Giletta “iniziano ad aprirsi, a diventare altro, ad allinearsi all’umore che hai tu in quel momento, un po’ piangono e un po’ ridono, un po’ acconsentono e un po’ accusano”.
Afflato di vita che, usando le parole di Nico Orengo, trasforma quelle “macchie d’esistenza”, quei “fantasmi”, quegli sguardi privi di luce – o che acquistano la luce dagli occhi di chi guarda – in presenze alle quali “riesco a dare memoria e consistenza, mi diventano strappi in vecchie carte da parati”. Senza la loro particolare fisionomia diventano i muti Washington McNelly, Mary McNelly, Samuel Gardner, Lambert Hutchins e tanti altri, simboli senza tempo delle sempre uguali emozioni umane.

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dal 20 novembre 2008 al 31 gennaio 2009
Ugo Giletta – Il volto dell’altro
a cura di Lóránd Hegyi
Galleria LipanjePuntin
Via di Montoro, 10 (zona campo de’ Fiori) – 00186 Roma
Orario: dal martedì al sabato 12-20 o su appuntamento
Ingresso libero
Info: +39 0668307780; fax +39 0668216758; roma@lipuarte.it; www.lipanjepuntin.com

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