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03
febbraio 2009
fino al 21.II.2009 Steve Bishop Milano, Pianissimo
milano
La pelle è tesa. L'uomo finalmente è stato cacciato. Stralci, squarci e brandelli diventano scalpo elegante di una strana tribù. Una comunità di uomini finti, che lasciano alla perfezione decidere del proprio corpo. Preda dei media...
di Ginevra Bria
Il linguaggio è brutale, le immagini sono senza racconto. Some Thing to Believe in è la fenomenologia di un corpo dilaniato dalla bidimensionalità; un corpo brutalizzato dalla perfezione e poi fatto a pezzi dall’arte.
Steve Bishop (Toronto, 1983; vive a Londra) mette in scena il paradosso del corpo nell’arte: una contraddizione all’interno del sistema comunicativo che potrebbe garantire il trionfo dell’immagine sulla coscienza occidentale. Si fa spazio ciò che Georges Bataille chiamava la “parte maledetta” dell’umanità. In un percorso costituito da quattro opere stand alone, Bishop porta così alla superficie in modo esacerbato e barbarico il carico di sessualità manifesta che gran parte della cultura moderna ha prima reclamizzato e poi tentato di addomesticare.
La socialità elettronica, la vanità umana, il desiderio di perfezione della pubblicità, del cinema e della moda sono i punti di partenza delle opere presentate in questa personale. L’artista canadese dispiega parti di corpo patinato su pelli stampate e ricucite a brandelli da concia. Attualizzando e dilatando le forme umane, Bishop sperimenta una dimensione carnevalesca della vita collettiva, rappresentando rituali orgiastici estetizzati e dissolutezze risolute, seppur pacate.
Una volta spalmata negli interstizi spaziali e temporali più ordinari del quotidiano, nelle composizioni di Bishop la porno-cultura viene lentamente metabolizzata e si banalizza, smarrendo, via via che perde la propria forma, anche l’originaria carica trasgressiva. In mostra si manifesta la visione di quattro idoli; un’iconografia alla quale, come di fronte agli altari, è bene credere come ad una cosa, un oggetto tramite di devozione e fanatismo.
Nello spazio principale della galleria, alcune strutture specchianti, che ricordano formalmente l’arredo urbano dei cartelloni pubblicitari, ricercano l’immagine ideale da applicare al corpo umano. Incorniciati con catene d’oro e d’argento, ampi collage realizzati con frammenti d’immagini di prodotti di bellezza e intimo, silicone e pelli di animali sono combinati per creare una superficie visceralmente caotica.
Al piano superiore è installato il video Behold a pale horse, nel quale distorti e rivisitati loghi cinematografici di alcune major hollywoodiane creano un’atmosfera di beffa e visione. Le immagini che stanno attorno al video divampano, mostrando contenuti eccessivi, corpi che ostentano una forma di orgasmo dove la ricerca del piacere coincide con l’espressione più brutale dell’uomo, la caccia e l’esposizione dei suoi trofei.
Per mezzo di uno shock estetico e di linguaggi che i canoni del buon gusto hanno sempre archiviato nei registri del ripugnante, Bishop tratta di una provocazione estetica che, a differenza dei dispositivi tipici delle avanguardie, fa appello ai sensi. Rinunciando a ogni leva concettuale e astratta.
Steve Bishop (Toronto, 1983; vive a Londra) mette in scena il paradosso del corpo nell’arte: una contraddizione all’interno del sistema comunicativo che potrebbe garantire il trionfo dell’immagine sulla coscienza occidentale. Si fa spazio ciò che Georges Bataille chiamava la “parte maledetta” dell’umanità. In un percorso costituito da quattro opere stand alone, Bishop porta così alla superficie in modo esacerbato e barbarico il carico di sessualità manifesta che gran parte della cultura moderna ha prima reclamizzato e poi tentato di addomesticare.
La socialità elettronica, la vanità umana, il desiderio di perfezione della pubblicità, del cinema e della moda sono i punti di partenza delle opere presentate in questa personale. L’artista canadese dispiega parti di corpo patinato su pelli stampate e ricucite a brandelli da concia. Attualizzando e dilatando le forme umane, Bishop sperimenta una dimensione carnevalesca della vita collettiva, rappresentando rituali orgiastici estetizzati e dissolutezze risolute, seppur pacate.
Una volta spalmata negli interstizi spaziali e temporali più ordinari del quotidiano, nelle composizioni di Bishop la porno-cultura viene lentamente metabolizzata e si banalizza, smarrendo, via via che perde la propria forma, anche l’originaria carica trasgressiva. In mostra si manifesta la visione di quattro idoli; un’iconografia alla quale, come di fronte agli altari, è bene credere come ad una cosa, un oggetto tramite di devozione e fanatismo.
Nello spazio principale della galleria, alcune strutture specchianti, che ricordano formalmente l’arredo urbano dei cartelloni pubblicitari, ricercano l’immagine ideale da applicare al corpo umano. Incorniciati con catene d’oro e d’argento, ampi collage realizzati con frammenti d’immagini di prodotti di bellezza e intimo, silicone e pelli di animali sono combinati per creare una superficie visceralmente caotica.
Al piano superiore è installato il video Behold a pale horse, nel quale distorti e rivisitati loghi cinematografici di alcune major hollywoodiane creano un’atmosfera di beffa e visione. Le immagini che stanno attorno al video divampano, mostrando contenuti eccessivi, corpi che ostentano una forma di orgasmo dove la ricerca del piacere coincide con l’espressione più brutale dell’uomo, la caccia e l’esposizione dei suoi trofei.
Per mezzo di uno shock estetico e di linguaggi che i canoni del buon gusto hanno sempre archiviato nei registri del ripugnante, Bishop tratta di una provocazione estetica che, a differenza dei dispositivi tipici delle avanguardie, fa appello ai sensi. Rinunciando a ogni leva concettuale e astratta.
ginevra bria
mostra visitata il 15 gennaio 2009
dal 15 gennaio al 21 febbraio 2009
Steve Bishop – Some thing to believe in
Galleria Pianissimo
Via Ventura, 5 (zona Ventura) – 20134 Milano
Orario: da martedì a sabato ore 14-19
Ingresso libero
Info: tel./fax +39 022154514; info@pianissimo.it; www.pianissimo.it
[exibart]