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Stefano Grasselli – Visioni di una apocalisse
Mostra personale
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Stefano GRASSELLI
nasce nel 1960 a Reggio Emilia, dove vive e lavora. Dopo gli anni dell'Istituto
d'Arte Gaetano Chierici di Reggio Emilia, si diploma all'Accademia di Belle Arti di
Bologna. Pittore, incisore, scultore e docente di materie artistiche, ha preso parte
a diverse esposizioni personali e collettive, ultime delle quali Il bestiario della
paura (Ponte Ronca di Zola Predosa, Ca' La Ghironda Area Museale, 2008), Fantasia
come progetto (Modena, Spazio Fisico, 2008), L'inchiostro nel segno (Bologna, Casa
Frabboni, 2008), Le grandi insidie (Reggio Emilia, Officina delle Arti e Mauriziano, 2008),
Pagine da un bestiario fantastico (Modena, Galleria Civica, 2010), Ai Mostri Tempi
(Guastalla, Chiesa di San Francesco, 2011), I sette vizi capitali (Firenze, Fondazione Il
Bisonte, 2013), Xilografie (Calderara, Associazione CalderArte, 2013), Mistero di
enigmi, di notturni & d’inquietanti creature (Reggio Emilia, Caffetteria trattoria Sipario,
2013), Expo Arte Italiana (Varedo MI, Villa Bagatti Valsecchi, 2015) a cura di Vittorio
Sgarbi e collettiva itinerante La via Francigena nell’anno del Giubileo (Parma,
Fidenza 2015-2016) a cura di Marzio Dall’Acqua.
Le sue opere grafiche e pittoriche sono presenti in importanti collezioni italiane e
straniere, come l'Albertina Museum di Vienna. Una sua opera grafica è pubblicata
all'interno de Il libro della notte, stampato da Venezia Viva. Dopo la presentazione
veneziana il volume, che consta 110 artisti e 60 metri d'arte, è stato esposto a
Berlino ed in altre città tedesche, entrando a far parte delle collezioni di Ca'
Pesaro a Venezia.
“Le motivazioni riguardanti la mia ricerca artistica sulla
tragedia del Vajont risalgono alla mia infanzia, alla fine degli anni ’60,
quando mio padre, vigile del fuoco, mi raccontava le testimonianze di alcuni suoi
colleghi che avevano prestato soccorso sui luoghi del disastro. La mia sensibilità
ne rimase profondamente colpita e turbata e con il tempo è divenuta una sorte di
tragica ossessione. Ricordo ancora negli anni ‘70 una trasmissione televisiva
riguardante il Vajont: in particolare una lenta e frontale ripresa della diga vista
dalla parte esterna rivolta verso Longarone. Un lungo impressionante imbuto di
cemento che sembrava non finire mai. La mia immaginazione corse subito a
quell’immensa massa d’acqua che veniva tenuta ferma al di là dello sbarramento
e cercavo di immedesimarmi nello stato d’animo degli abitanti, soprattutto quelli
di Longarone, che si trovavano costretti di fronte a una simile situazione da far
rabbrividire.
Le immagini della tragedia, a dir poco sconvolgenti, non si cancellarono più dalla
mia memoria, anche perché a provocare ciò fu, come accade spesso, l’assurda
onnipotente presunzione umana. Un’enorme mostruosa massa d’acqua, roccia,
fango improvvisamente spazzava via bellissime valli, ridenti paesi, abitati da
gente umile e semplice. Una prima volta passai da Longarone negli anni ‘70 con i
miei genitori in occasione di una visita estiva. Negli anni ‘90 ebbi l’occasione di
ritornarci, impegnato in Cadore nella sistemazione e decorazione di un albergo.
Lassù chiedevo spesso alla gente informazioni sulla vicenda del Vajont e mi
raccontavano diversi impressionanti aneddoti , finché una festività volli andare
a visitare quei luoghi e scesi da San Vito di Cadore a Longarone e poi su alla
diga. Ne fui profondamente colpito: la visione della gigantesca frana del
monte Toc, che sembrava come segato da una gigantesca lama e, sulla
sponda opposta, il paesino di Casso a ridosso dell’alto potente sprone
roccioso, dove in un primo momento era arrivata l’ondata. Tutto ciò toglieva il
fiato e fui preso da una strana sensazione di ansia ed inquietudine, così la mia
immaginazione correva, correva a quegli istanti fatali.
Di recente visionando filmati su you tube me ne sono rimasti impressi diversi
riguardanti testimonianze di persone sopravvissute. In particolare un’anziana
signora ricordava che pochi giorni prima della tragedia si erano notati strani
atteggiamenti di alcuni animali, soprattutto caprioli, colti in una sorta di insolita
migrazione. Il racconto che mi ha colpito maggiormente riguardava alcuni
uccellini che mordevano la gabbia nella quale erano rinchiusi. Ho voluto quindi
realizzare queste opere per rendere, secondo un mio modo di vedere e di
sentire, quello spaventoso evento. Mi sono impegnato da diverso tempo nella
realizzazione di queste opere e un mio grande desiderio sarebbe di poterle
esporre per la prima volta a Longarone”.
Reggio Emilia, dicembre 2015 Stefano Grasselli
Ringrazio sentitamente di cuore l’Amministrazione comunale di Longarone, in
particolare il Sindaco Roberto Padrin, il Maestro Gianni Olivier, Roberto Corazza di San
Pietro in Casale (BO) e tutta la Comunità di Longarone.
nasce nel 1960 a Reggio Emilia, dove vive e lavora. Dopo gli anni dell'Istituto
d'Arte Gaetano Chierici di Reggio Emilia, si diploma all'Accademia di Belle Arti di
Bologna. Pittore, incisore, scultore e docente di materie artistiche, ha preso parte
a diverse esposizioni personali e collettive, ultime delle quali Il bestiario della
paura (Ponte Ronca di Zola Predosa, Ca' La Ghironda Area Museale, 2008), Fantasia
come progetto (Modena, Spazio Fisico, 2008), L'inchiostro nel segno (Bologna, Casa
Frabboni, 2008), Le grandi insidie (Reggio Emilia, Officina delle Arti e Mauriziano, 2008),
Pagine da un bestiario fantastico (Modena, Galleria Civica, 2010), Ai Mostri Tempi
(Guastalla, Chiesa di San Francesco, 2011), I sette vizi capitali (Firenze, Fondazione Il
Bisonte, 2013), Xilografie (Calderara, Associazione CalderArte, 2013), Mistero di
enigmi, di notturni & d’inquietanti creature (Reggio Emilia, Caffetteria trattoria Sipario,
2013), Expo Arte Italiana (Varedo MI, Villa Bagatti Valsecchi, 2015) a cura di Vittorio
Sgarbi e collettiva itinerante La via Francigena nell’anno del Giubileo (Parma,
Fidenza 2015-2016) a cura di Marzio Dall’Acqua.
Le sue opere grafiche e pittoriche sono presenti in importanti collezioni italiane e
straniere, come l'Albertina Museum di Vienna. Una sua opera grafica è pubblicata
all'interno de Il libro della notte, stampato da Venezia Viva. Dopo la presentazione
veneziana il volume, che consta 110 artisti e 60 metri d'arte, è stato esposto a
Berlino ed in altre città tedesche, entrando a far parte delle collezioni di Ca'
Pesaro a Venezia.
“Le motivazioni riguardanti la mia ricerca artistica sulla
tragedia del Vajont risalgono alla mia infanzia, alla fine degli anni ’60,
quando mio padre, vigile del fuoco, mi raccontava le testimonianze di alcuni suoi
colleghi che avevano prestato soccorso sui luoghi del disastro. La mia sensibilità
ne rimase profondamente colpita e turbata e con il tempo è divenuta una sorte di
tragica ossessione. Ricordo ancora negli anni ‘70 una trasmissione televisiva
riguardante il Vajont: in particolare una lenta e frontale ripresa della diga vista
dalla parte esterna rivolta verso Longarone. Un lungo impressionante imbuto di
cemento che sembrava non finire mai. La mia immaginazione corse subito a
quell’immensa massa d’acqua che veniva tenuta ferma al di là dello sbarramento
e cercavo di immedesimarmi nello stato d’animo degli abitanti, soprattutto quelli
di Longarone, che si trovavano costretti di fronte a una simile situazione da far
rabbrividire.
Le immagini della tragedia, a dir poco sconvolgenti, non si cancellarono più dalla
mia memoria, anche perché a provocare ciò fu, come accade spesso, l’assurda
onnipotente presunzione umana. Un’enorme mostruosa massa d’acqua, roccia,
fango improvvisamente spazzava via bellissime valli, ridenti paesi, abitati da
gente umile e semplice. Una prima volta passai da Longarone negli anni ‘70 con i
miei genitori in occasione di una visita estiva. Negli anni ‘90 ebbi l’occasione di
ritornarci, impegnato in Cadore nella sistemazione e decorazione di un albergo.
Lassù chiedevo spesso alla gente informazioni sulla vicenda del Vajont e mi
raccontavano diversi impressionanti aneddoti , finché una festività volli andare
a visitare quei luoghi e scesi da San Vito di Cadore a Longarone e poi su alla
diga. Ne fui profondamente colpito: la visione della gigantesca frana del
monte Toc, che sembrava come segato da una gigantesca lama e, sulla
sponda opposta, il paesino di Casso a ridosso dell’alto potente sprone
roccioso, dove in un primo momento era arrivata l’ondata. Tutto ciò toglieva il
fiato e fui preso da una strana sensazione di ansia ed inquietudine, così la mia
immaginazione correva, correva a quegli istanti fatali.
Di recente visionando filmati su you tube me ne sono rimasti impressi diversi
riguardanti testimonianze di persone sopravvissute. In particolare un’anziana
signora ricordava che pochi giorni prima della tragedia si erano notati strani
atteggiamenti di alcuni animali, soprattutto caprioli, colti in una sorta di insolita
migrazione. Il racconto che mi ha colpito maggiormente riguardava alcuni
uccellini che mordevano la gabbia nella quale erano rinchiusi. Ho voluto quindi
realizzare queste opere per rendere, secondo un mio modo di vedere e di
sentire, quello spaventoso evento. Mi sono impegnato da diverso tempo nella
realizzazione di queste opere e un mio grande desiderio sarebbe di poterle
esporre per la prima volta a Longarone”.
Reggio Emilia, dicembre 2015 Stefano Grasselli
Ringrazio sentitamente di cuore l’Amministrazione comunale di Longarone, in
particolare il Sindaco Roberto Padrin, il Maestro Gianni Olivier, Roberto Corazza di San
Pietro in Casale (BO) e tutta la Comunità di Longarone.
02
aprile 2016
Stefano Grasselli – Visioni di una apocalisse
Dal 02 al 21 aprile 2016
arte contemporanea
Location
PALAZZO MAZZOLÀ
Longarone, Via Roma, 60, (Belluno)
Longarone, Via Roma, 60, (Belluno)
Vernissage
2 Aprile 2016, ore 17.30
Autore