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Omaggio a Hema Upadhyay
Accanto all’omaggio reso all’artista indiana recentemente
scomparsa, Michele Alberto Sereni presenta una serie di fotografie che documentano il lavoro di Hema durante la
creazione delle sue installazioni più famose.
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Studio La Città è lieta di invitarvi all’inaugurazione della mostra Hema Upadhyay, "Where the suck there suck I" che si terrà sabato 5 marzo 2016 alle ore 11:30. Accanto all’omaggio reso all’artista indiana recentemente
scomparsa, Michele Alberto Sereni presenta una serie di fotografie che documentano il lavoro di Hema durante la
creazione delle sue installazioni più famose.
A dominare la sala principale della galleria, sarà infatti una delle sue opere più rappresentative: "Where the bees
suck, there suck I", la grande benna sovrastante una miriade di piccole baracche multicolori, esposta al MACRO
di Roma nel 2008, a Studio la Città e al Museum on the Seam di Gerusalemme nel 2010, al Tennis Museum di
Helsinky nel 2011.
Così la ricorda il curatore Marco Meneguzzo, in un recente articolo pubblicato dalla rivista americana Artforum:
«Pensare ora che la vita di Hema Upadhyay (Vadodara, India, 1972) è stata brutalmente spezzata a Mumbai in
un delitto dal movente a oggi oscuro dà un dolore difficile da comprendere, perché oltre alla singola persona, alla
singola esistenza, è come se qualcuno non avesse esitato a rovinare e distruggere il talento umano, di cui l’artista
è uno dei rappresentanti più alti. Perché Hema, tra gli artisti indiani della generazioni più giovani – aveva di poco superato la quarantina – di talento ne aveva tanto, e lo ha dimostrato nella maniera a nostro avviso più evidente, attraverso opere di grande semplicità ed efficacia. Come spesso accade nelle opere di artisti provenienti da Paesi
“ex-esotici”, il soggetto iniziale è il proprio paesaggio e orizzonte quotidiano, che si vuole comunicare a chi non lo
conosce, e a chi mostra curiosità verso di esso, nella necessità di raccontare la propria identità al di fuori di ogni stereotipo.
[...] Where the Bees Suck, There Suck I, 2008, è un’immagine semplice, ma toccante, perché riesce a centrare il
problema, fornendo in un sol colpo un’infinità di significati stratificati e tutti compresenti, come ad esempio la
sovrappopolazione, l’inurbamento, il pericolo politico ed economico che sovrasta i più deboli, la paura del futuro,
il domani dell’umanità … tutto in uno sguardo, che riesce così a comporre l’emozione e la riflessione. Questa realtà compositiva, e soprattutto la capacità di sintetizzare un sentimento complesso in una forma semplice e “popolare”
erano le caratteristiche più peculiari di Hema, e sono rimaste in tutte le sue opere, anche nelle più recenti (pensate
dal 2012 ad oggi, anche per la mostra prevista a museo di Boston proprio nei primi mesi del 2016), sempre
incentrate sul tema della “libertà”. Così, seguendo il detto della saggezza popolare per cui gli uccelli nel loro volo
non conoscono confini e sono quindi il simbolo della libertà, aveva iniziato a costruire centinaia di uccelli di gesso coloratissimi, alcuni previsti per volare appesi a un filo, altri – la maggior parte – posati su mensole, con una
strisciolina di carta stampata nel becco, il frammento di una storia, di una narrazione dalla ricomposizione impossibile, ma piena di pathos per il solo fatto di essere virtualmente dispersa nel mondo. Anche uno solo di questi
uccelli avrebbe così significato il “tutto”, perché avrebbe presupposto tutti gli altri, un intero stormo che trasporta
le parole, cioè le idee, e poco importa che non si comprenda di quale narrazione si tratta, perché ciò che è davvero importante è che le parole vengano trasportate dappertutto: anche volendo, non si possono infatti fermare “tutti” gli uccelli. Hema oggi è stata fermata (che tragico e insopportabile spreco!), ma le sue parole continuano a volare»
(Marco Meneguzzo, Artforum - febbraio 2016).
scomparsa, Michele Alberto Sereni presenta una serie di fotografie che documentano il lavoro di Hema durante la
creazione delle sue installazioni più famose.
A dominare la sala principale della galleria, sarà infatti una delle sue opere più rappresentative: "Where the bees
suck, there suck I", la grande benna sovrastante una miriade di piccole baracche multicolori, esposta al MACRO
di Roma nel 2008, a Studio la Città e al Museum on the Seam di Gerusalemme nel 2010, al Tennis Museum di
Helsinky nel 2011.
Così la ricorda il curatore Marco Meneguzzo, in un recente articolo pubblicato dalla rivista americana Artforum:
«Pensare ora che la vita di Hema Upadhyay (Vadodara, India, 1972) è stata brutalmente spezzata a Mumbai in
un delitto dal movente a oggi oscuro dà un dolore difficile da comprendere, perché oltre alla singola persona, alla
singola esistenza, è come se qualcuno non avesse esitato a rovinare e distruggere il talento umano, di cui l’artista
è uno dei rappresentanti più alti. Perché Hema, tra gli artisti indiani della generazioni più giovani – aveva di poco superato la quarantina – di talento ne aveva tanto, e lo ha dimostrato nella maniera a nostro avviso più evidente, attraverso opere di grande semplicità ed efficacia. Come spesso accade nelle opere di artisti provenienti da Paesi
“ex-esotici”, il soggetto iniziale è il proprio paesaggio e orizzonte quotidiano, che si vuole comunicare a chi non lo
conosce, e a chi mostra curiosità verso di esso, nella necessità di raccontare la propria identità al di fuori di ogni stereotipo.
[...] Where the Bees Suck, There Suck I, 2008, è un’immagine semplice, ma toccante, perché riesce a centrare il
problema, fornendo in un sol colpo un’infinità di significati stratificati e tutti compresenti, come ad esempio la
sovrappopolazione, l’inurbamento, il pericolo politico ed economico che sovrasta i più deboli, la paura del futuro,
il domani dell’umanità … tutto in uno sguardo, che riesce così a comporre l’emozione e la riflessione. Questa realtà compositiva, e soprattutto la capacità di sintetizzare un sentimento complesso in una forma semplice e “popolare”
erano le caratteristiche più peculiari di Hema, e sono rimaste in tutte le sue opere, anche nelle più recenti (pensate
dal 2012 ad oggi, anche per la mostra prevista a museo di Boston proprio nei primi mesi del 2016), sempre
incentrate sul tema della “libertà”. Così, seguendo il detto della saggezza popolare per cui gli uccelli nel loro volo
non conoscono confini e sono quindi il simbolo della libertà, aveva iniziato a costruire centinaia di uccelli di gesso coloratissimi, alcuni previsti per volare appesi a un filo, altri – la maggior parte – posati su mensole, con una
strisciolina di carta stampata nel becco, il frammento di una storia, di una narrazione dalla ricomposizione impossibile, ma piena di pathos per il solo fatto di essere virtualmente dispersa nel mondo. Anche uno solo di questi
uccelli avrebbe così significato il “tutto”, perché avrebbe presupposto tutti gli altri, un intero stormo che trasporta
le parole, cioè le idee, e poco importa che non si comprenda di quale narrazione si tratta, perché ciò che è davvero importante è che le parole vengano trasportate dappertutto: anche volendo, non si possono infatti fermare “tutti” gli uccelli. Hema oggi è stata fermata (che tragico e insopportabile spreco!), ma le sue parole continuano a volare»
(Marco Meneguzzo, Artforum - febbraio 2016).
05
marzo 2016
Omaggio a Hema Upadhyay
Dal 05 marzo al 07 maggio 2016
arte contemporanea
Location
STUDIO LA CITTA’
Verona, Lungadige Galtarossa, 21, (Verona)
Verona, Lungadige Galtarossa, 21, (Verona)
Orario di apertura
martedì a sabato ore 9-13 e 15-19
Vernissage
5 Marzo 2016, ore 11.30
Autore