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20
febbraio 2009
fino al 3.V.2009 Bernd & Hilla Becher Bologna, Museo Morandi
bologna
Una piccola mostra-gioiello nel museo dedicato al maestro bolognese della natura morta. Protagonisti gli autori che inventarono, nella Germania industrializzata del secondo dopoguerra, la fotografia concettuale...
Si sa che la storia raccontata dai manuali, anche d’arte, non rispecchia fino in fondo la realtà dei fatti: talvolta per interessata malafede, tal altra per eccesso di zelo o d’intellettualismo. Conoscere le verità dei protagonisti è invece un’esperienza impagabile. Ed è quello che capita con la retrospettiva bolognese di Bernd (Siegen, 1931 – Rostock, 2007) & Hilla Becher (Potsdam, 1934), che raccoglie oltre centocinquanta scatti dei fotografi tedeschi, non così spesso in mostra in Italia.
Le sale centrali dell’istituzione bolognese ospitano, infatti, con un allestimento semplice e asciutto, una scelta interessante del lavoro dei coniugi che furono tra gli scopritori della fotografia concettuale, in particolare dell’approccio seriale che ha rivoluzionato l’arte negli anni ‘60 e che ha in qualche modo anticipato il minimalismo. Si possono vedere così una quindicina di differenti Typologien, che spaziano dai serbatoi di gas alle torri di raffreddamento, dalle torri di estrazione alle fornaci.
Le modalità di ripresa e le inquadrature sono standardizzate, rese anonime o, meglio, oggettive, grazie a una procedura che mirava a documentare l’esistenza di esemplari inscrivibili nella categorizzazione di edifici e costruzioni industriali, in una modalità non dissimile da quella adottata da uno studioso di entomologia che raccoglie testimonianza della varietà di soggetti appartenenti alla medesima specie. La grande invenzione dei Becher è cioè di natura ontologica più che tassonomica: il mondo, tutto quello che sta di fronte all’osservatore e oltre le lenti dell’obbiettivo (che ha la mera funzione di occhio impersonale che registra un caso particolare) può essere conosciuto grazie a un’azione induttiva di riconoscimento degli elementi di una famiglia. Il mondo si mostra con la sua varietà di casi, e il fotografo ha il compito della scelta tra gli innumerevoli esempi forniti dalla realtà.
Ma, al contrario di quanto si potrebbe pensare, quest’idea non è maturata dopo una lunga riflessione intellettuale, bensì a posteriori e a seguito di un processo visivo, dopo una delle tante campagne fotografiche dei Becher nella Germania industriale degli anni ‘60. Racconta infatti Hilla Becher nell’intervista a catalogo: “La questione delle tipologie emerse solo dopo aver radunato un po’ di materiale. Mettemmo della fotografie sul pavimento e ci parve che creassero un ritmo. Ci fu chiaro che se avessimo potuto disporre di un maggior numero di immagini di questo tipo avremmo potuto ottenere una famiglia”.
La scelta del bianco e nero da un lato derivava dalla ristrettezza economica (i materiali a colori erano a quei tempi molto costosi) e dall’altro aveva il vantaggio di mostrare la struttura dei soggetti con più evidenza, similmente all’adozione di punti di ripresa ortogonali con cieli a sfondo chiaro.
Peccato invece che la mostra, che avrebbe potuto inoltre offrire uno stimolante confronto tra Giorgio Morandi e gli autori tedeschi – si pensi alla reiterazione delle medesime procedure di visualizzazione o al ritornare con insistenza su un numero finito di soggetti -, sia elusiva su questi aspetti e lasci la suggestione del confronto solo al visitatore più accorto.
Le sale centrali dell’istituzione bolognese ospitano, infatti, con un allestimento semplice e asciutto, una scelta interessante del lavoro dei coniugi che furono tra gli scopritori della fotografia concettuale, in particolare dell’approccio seriale che ha rivoluzionato l’arte negli anni ‘60 e che ha in qualche modo anticipato il minimalismo. Si possono vedere così una quindicina di differenti Typologien, che spaziano dai serbatoi di gas alle torri di raffreddamento, dalle torri di estrazione alle fornaci.
Le modalità di ripresa e le inquadrature sono standardizzate, rese anonime o, meglio, oggettive, grazie a una procedura che mirava a documentare l’esistenza di esemplari inscrivibili nella categorizzazione di edifici e costruzioni industriali, in una modalità non dissimile da quella adottata da uno studioso di entomologia che raccoglie testimonianza della varietà di soggetti appartenenti alla medesima specie. La grande invenzione dei Becher è cioè di natura ontologica più che tassonomica: il mondo, tutto quello che sta di fronte all’osservatore e oltre le lenti dell’obbiettivo (che ha la mera funzione di occhio impersonale che registra un caso particolare) può essere conosciuto grazie a un’azione induttiva di riconoscimento degli elementi di una famiglia. Il mondo si mostra con la sua varietà di casi, e il fotografo ha il compito della scelta tra gli innumerevoli esempi forniti dalla realtà.
Ma, al contrario di quanto si potrebbe pensare, quest’idea non è maturata dopo una lunga riflessione intellettuale, bensì a posteriori e a seguito di un processo visivo, dopo una delle tante campagne fotografiche dei Becher nella Germania industriale degli anni ‘60. Racconta infatti Hilla Becher nell’intervista a catalogo: “La questione delle tipologie emerse solo dopo aver radunato un po’ di materiale. Mettemmo della fotografie sul pavimento e ci parve che creassero un ritmo. Ci fu chiaro che se avessimo potuto disporre di un maggior numero di immagini di questo tipo avremmo potuto ottenere una famiglia”.
La scelta del bianco e nero da un lato derivava dalla ristrettezza economica (i materiali a colori erano a quei tempi molto costosi) e dall’altro aveva il vantaggio di mostrare la struttura dei soggetti con più evidenza, similmente all’adozione di punti di ripresa ortogonali con cieli a sfondo chiaro.
Peccato invece che la mostra, che avrebbe potuto inoltre offrire uno stimolante confronto tra Giorgio Morandi e gli autori tedeschi – si pensi alla reiterazione delle medesime procedure di visualizzazione o al ritornare con insistenza su un numero finito di soggetti -, sia elusiva su questi aspetti e lasci la suggestione del confronto solo al visitatore più accorto.
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Bernd & Hilla Becher at Museo Morandi
a cura di Gianfranco Maraniello
Museo Morandi – Palazzo d’Accursio
Piazza Maggiore, 6 – 40138 Bologna
Orario: da martedì a venerdì ore 9-18.30; sabato e domenica ore 10-18.30
Catalogo Schirmer-Mosel
Ingresso gratuito
Info: tel. +39 0512193646; fax +39 0512193403; mmorandi@comune.bologna.it; www.mambo-bologna.org
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