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19
marzo 2009
fino al 23.V.2009 Mario Merz Roma, Oredaria
roma
Quando la struttura di figure archetipiche si colora di rosso, giallo e verde, assecondando la matematica. Dove si ricorda chi di quelle strutture ha fatto un’arte “povera” d’estetismo ma eterna in divenire. Il Fibonacci di Merz è a Roma, con un inedito ciclo di linee, numeri, mani...
Una progressione numerica in cui ogni cifra è il risultato della somma delle due precedenti è la chiave di lettura matematica sulla regolarità della natura; proporzionalità duecentesca legata al nome di Leonardo Fibonacci che, nel XIII secolo, aveva riconosciuto nella serie numerica il ritmico andamento biologico del mondo: la spirale hegeliana che porta avanti la triade dialettica dello Spirito, la vita.
Dopo Fibonacci e prima di Hegel, Michelangelo vi aveva basato l’uomo vitruviano, poi Dürer aveva inserito quella serie nel quadrato magico della sua Melanconia e, giunti alla contemporaneità saltando il modernismo (che non è stato da meno), si arriva alla razionalità colorata di Mario Merz (Milano, 1925 – Torino, 2003). In suo onore, a cinque anni dalla scomparsa, si contano alcune mostre memorabili: a Torino nel 2005 – fra Gam, Castello di Rivoli e Fondazione Merz -, alla Galleria Salvatore+Caroline Ala di Milano nel 2007 e, non ultima, alla Gladstone Gallery di New York lo scorso anno. Per il 2009 è infine giunto a Roma, e la grande area espositiva di Oredaria ne è la fiera espositrice.
Sono poco meno di trenta fra disegni e lavori su tela o plexiglas che introducono L’asocialità è coscienza, la socialità è struttura, quella ricerca di “originarietà” nata dalle spirali, dagli animali primitivi, per raggiungere la citata serie di Fibonacci. Un ciclo di disegni inediti costellano la parete della seconda sala: dita lunghe e affusolate in un’asimmetrica proporzione fisionomica seguono il numero uno, poi di nuovo l’uno, il due, il tre e poi il cinque, per proseguire nella ricerca matematica medievale della simmetria, del tutto che contiene il tutto.
La pratica pittorica di Merz è messa in luce sfoggiando quell’aspetto matematico/razionale racchiuso nella circolarità di un cono di pastello su carta, il cui centro nasce dal basso per evolversi verso l’estrema finitezza della cornice (Senza titolo, s.d.).
Non sono però solo spirali o lucertole rigonfie di un andamento archetipico a dimostrare che la sua arte si basa sulla progressione numerica; la personale da Oredaria lascia un piccolissimo e inaspettato spazio alla ciclicità umana: con una sottile linea di pennarello a inchiostro, un Senza titolo del ‘73 scontorna metà busto di un uomo, dallo stomaco in giù, sorprendendo nelle sue urine i numeri di Fibonacci ordinatamente zampillanti. “Sono in espansione accelerata, è da essi che ho tratto l’idea che fosse possibile rappresentare con facoltà nuove tutti gli esempi che nel mondo si incontrano di materiali in espansione”, scriveva Merz nel 1979. “I numeri sono dentro la natura. Il mio scopo è di fare dell’arte naturale con i numeri… in una mostra sono vivi, perché gli uomini sono come numeri in una serie. I numeri sono la vitalità del mondo”.
Ed è per questo che la serie dei disegni inediti raffigura mani, dita e linee che segnano la diagonale dinamica della vita, una simbolica crescita in evoluzione per cui nulla muore. Che siano poi esteticamente compiacenti o meno, le opere di Merz vivono della filosofica concezione hegeliana per cui tesi e antitesi danno vita a una sintesi, qui di numeri eterni e forme originarie di una ricerca primitiva. Una mondriana scomposizione della linea, a favore di una convulsione eterna in divenire.
Dopo Fibonacci e prima di Hegel, Michelangelo vi aveva basato l’uomo vitruviano, poi Dürer aveva inserito quella serie nel quadrato magico della sua Melanconia e, giunti alla contemporaneità saltando il modernismo (che non è stato da meno), si arriva alla razionalità colorata di Mario Merz (Milano, 1925 – Torino, 2003). In suo onore, a cinque anni dalla scomparsa, si contano alcune mostre memorabili: a Torino nel 2005 – fra Gam, Castello di Rivoli e Fondazione Merz -, alla Galleria Salvatore+Caroline Ala di Milano nel 2007 e, non ultima, alla Gladstone Gallery di New York lo scorso anno. Per il 2009 è infine giunto a Roma, e la grande area espositiva di Oredaria ne è la fiera espositrice.
Sono poco meno di trenta fra disegni e lavori su tela o plexiglas che introducono L’asocialità è coscienza, la socialità è struttura, quella ricerca di “originarietà” nata dalle spirali, dagli animali primitivi, per raggiungere la citata serie di Fibonacci. Un ciclo di disegni inediti costellano la parete della seconda sala: dita lunghe e affusolate in un’asimmetrica proporzione fisionomica seguono il numero uno, poi di nuovo l’uno, il due, il tre e poi il cinque, per proseguire nella ricerca matematica medievale della simmetria, del tutto che contiene il tutto.
La pratica pittorica di Merz è messa in luce sfoggiando quell’aspetto matematico/razionale racchiuso nella circolarità di un cono di pastello su carta, il cui centro nasce dal basso per evolversi verso l’estrema finitezza della cornice (Senza titolo, s.d.).
Non sono però solo spirali o lucertole rigonfie di un andamento archetipico a dimostrare che la sua arte si basa sulla progressione numerica; la personale da Oredaria lascia un piccolissimo e inaspettato spazio alla ciclicità umana: con una sottile linea di pennarello a inchiostro, un Senza titolo del ‘73 scontorna metà busto di un uomo, dallo stomaco in giù, sorprendendo nelle sue urine i numeri di Fibonacci ordinatamente zampillanti. “Sono in espansione accelerata, è da essi che ho tratto l’idea che fosse possibile rappresentare con facoltà nuove tutti gli esempi che nel mondo si incontrano di materiali in espansione”, scriveva Merz nel 1979. “I numeri sono dentro la natura. Il mio scopo è di fare dell’arte naturale con i numeri… in una mostra sono vivi, perché gli uomini sono come numeri in una serie. I numeri sono la vitalità del mondo”.
Ed è per questo che la serie dei disegni inediti raffigura mani, dita e linee che segnano la diagonale dinamica della vita, una simbolica crescita in evoluzione per cui nulla muore. Che siano poi esteticamente compiacenti o meno, le opere di Merz vivono della filosofica concezione hegeliana per cui tesi e antitesi danno vita a una sintesi, qui di numeri eterni e forme originarie di una ricerca primitiva. Una mondriana scomposizione della linea, a favore di una convulsione eterna in divenire.
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Galleria Oredaria Arti Contemporanee
Via Reggio Emilia, 22-24 (zona Porta Pia) – 00198 Roma
Orario: da martedì a sabato ore 10-13 e 16-19.30
Ingresso libero
Info: tel. +39 0697601689; info@oredaria.it; www.oredaria.it
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