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08
aprile 2009
fino al 29.VI.2008 Costanti del classico Catania, Fondazione Puglisi Cosentino
sicilia
La rinascita siciliana passa anche da Catania. Che inaugura ben due nuove fondazioni per l'arte. In questo caso si comincia con una serie di coppie e accoppiamenti. Riusciti o meno...
Poste in uno “scrigno” dalle nere pareti di pietra lavica, ora interrotte da trasparenze vitree o marmoree, ora esaltate da fregi decorativi, ben settanta grandi opere, generate da altrettanti grandi artisti della nostra epoca, si dispongono in gruppi fra le stanze di Palazzo Valle, uno tra gli edifici più “delicati” che il Vaccarini seppe donare alla città di Catania.
Al fine di facilitare l’orientamento del visitatore, non tanto nella lettura dell’opera d’arte in sé, quanto piuttosto nella “scoperta” di quelle “costanti” del classico che il titolo della mostra suggerisce, il curatore Bruno Corà ha individuato undici sezioni entro cui iscrivere i lavori.
Benché incasellare gli artisti in sezioni predefinite potrebbe apparire un’operazione arbitraria e discutibile, come non riconoscere a Yves Klein e a Robert Mapplethorpe, antropocentrici per eccellenza, un posto d’onore nella sezione Corpo/Modello? Parimenti legittimato è il posto occupato da Lucio Fontana, padre della moderna ermeneutica sul rapporto spaziale dell’arte, nella sezione Origine/Spazio. Va da sé che Roman Opalka, artista che ha fatto del concetto di tempo nell’arte la misura della sua stessa esistenza, possa rientrare nella sezione Tempo/Misura. E così via con altri abbinamenti – Luce/ Colore, Cicli/Vortici, Orientamenti/Tensioni, Segno/Codice, Disegno/Geometrie; Equilibrio/Costruzione, Norma/Forma, Mito/Storia – divertendosi a scoprire e a confrontare caratteristiche comuni e differenze eclatanti fra opere e autori.
Certo, gli artisti sono talmente noti che chiunque potrebbe trovare una chiave di lettura personale, sia essa storico-critica oppure sentimentale. Ma qualora ci si volesse addentrare nei meandri dell’equilibrismo etimologico del termine “classico”, il consiglio è quello di attenersi alla definizione, ancora attuale, che Wladislaw Tatarkiewicz nel 1958 attribuì alla parola; definizione che, come ricorda Salvatore Settis nel saggio in catalogo, è basata su quattro diverse categorie, applicabili come “evidenziatori” delle “costanti” del classico nelle opere d’arte contemporanee: valore di perfezione, nel senso di modello; periodo cronologico, sinonimo di antico greco-romano; stile storico, contrapposto alla modernità; categoria estetica, legata ai criteri di armonia, misura, equilibrio.
A esclusione del secondo significato, che circoscrive un preciso periodo storico, le altre categorie possono tutte, a vario titolo, essere applicate alle opere esposte, figlie di un’epoca che ha voluto tagliare i ponti con la concettualità artistica del passato, ma che non ha saputo o voluto sostituire quelle “costanti” poggianti sulle sempiterne coordinate spazio-temporali e sulla concezione “umanistica” dell’arte, con tutte le accezioni di cui questo termine è portatore.
Nelle schede critiche e biografiche, curate da Aldo Iori e Mauro Panzera, che accompagnano nel catalogo ciascuna delle opere esposte, quest’aspetto è ben evidenziato. Anche perché, per dirla con Mario Merz, e più precisamente con il poeta persiano Gialal ad-Din-Rumi di cui l’artista più volte trascriveva un verso nei suoi tubi al neon, Se la forma scompare la sua radice è eterna.
Al fine di facilitare l’orientamento del visitatore, non tanto nella lettura dell’opera d’arte in sé, quanto piuttosto nella “scoperta” di quelle “costanti” del classico che il titolo della mostra suggerisce, il curatore Bruno Corà ha individuato undici sezioni entro cui iscrivere i lavori.
Benché incasellare gli artisti in sezioni predefinite potrebbe apparire un’operazione arbitraria e discutibile, come non riconoscere a Yves Klein e a Robert Mapplethorpe, antropocentrici per eccellenza, un posto d’onore nella sezione Corpo/Modello? Parimenti legittimato è il posto occupato da Lucio Fontana, padre della moderna ermeneutica sul rapporto spaziale dell’arte, nella sezione Origine/Spazio. Va da sé che Roman Opalka, artista che ha fatto del concetto di tempo nell’arte la misura della sua stessa esistenza, possa rientrare nella sezione Tempo/Misura. E così via con altri abbinamenti – Luce/ Colore, Cicli/Vortici, Orientamenti/Tensioni, Segno/Codice, Disegno/Geometrie; Equilibrio/Costruzione, Norma/Forma, Mito/Storia – divertendosi a scoprire e a confrontare caratteristiche comuni e differenze eclatanti fra opere e autori.
Certo, gli artisti sono talmente noti che chiunque potrebbe trovare una chiave di lettura personale, sia essa storico-critica oppure sentimentale. Ma qualora ci si volesse addentrare nei meandri dell’equilibrismo etimologico del termine “classico”, il consiglio è quello di attenersi alla definizione, ancora attuale, che Wladislaw Tatarkiewicz nel 1958 attribuì alla parola; definizione che, come ricorda Salvatore Settis nel saggio in catalogo, è basata su quattro diverse categorie, applicabili come “evidenziatori” delle “costanti” del classico nelle opere d’arte contemporanee: valore di perfezione, nel senso di modello; periodo cronologico, sinonimo di antico greco-romano; stile storico, contrapposto alla modernità; categoria estetica, legata ai criteri di armonia, misura, equilibrio.
A esclusione del secondo significato, che circoscrive un preciso periodo storico, le altre categorie possono tutte, a vario titolo, essere applicate alle opere esposte, figlie di un’epoca che ha voluto tagliare i ponti con la concettualità artistica del passato, ma che non ha saputo o voluto sostituire quelle “costanti” poggianti sulle sempiterne coordinate spazio-temporali e sulla concezione “umanistica” dell’arte, con tutte le accezioni di cui questo termine è portatore.
Nelle schede critiche e biografiche, curate da Aldo Iori e Mauro Panzera, che accompagnano nel catalogo ciascuna delle opere esposte, quest’aspetto è ben evidenziato. Anche perché, per dirla con Mario Merz, e più precisamente con il poeta persiano Gialal ad-Din-Rumi di cui l’artista più volte trascriveva un verso nei suoi tubi al neon, Se la forma scompare la sua radice è eterna.
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a cura di Bruno Corà
Fondazione Puglisi Cosentino – Palazzo Valle
Via Vittorio Emanuele II, 120 – 95131 Catania
Orario: martedì, giovedì e domenica ore 11-13.30 e 16-19; mercoledì, venerdì e sabato ore 11-13.30 e 16-22.30; aperture straordinarie su prenotazione
Ingresso: intero € 7; ridotto € 5
Catalogo Silvana Editoriale
Info: tel. +39 0957152228; fax +39 0957153835; info@fondazionepuglisicosentino.it; www.fondazionepuglisicosentino.it
[exibart]
se si inizia con Corà mi sembra che più di rinascita si possa parlare di mummificazione
due fondazioni? ma qui si parla di una sola..qualcuno si è confuso?
ma che idea originale! veramente, ma veramente originale. soprattutto le sezioni proposte sono assolutamente nuove, nessuno nessuno nessuno le aveva mai pensate! e se la rinascita passa per catania, tutto quello che è stato fatto a palermo erano solo prove? boh!!
non si è confuso nessuno: a catania sono nate due fondazioni e qui si tratta di una delle due. a breve si parlerà dell’altra. basta leggere l’abstract: “in questo caso”…