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Alessio Larocchi – Norma Standard’s home
La mostra propone una profonda riflessione sulla natura dell’oggetto estetico.
Comunicato stampa
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Benvenuti nella Norma Standard’s home
Un progetto di arredo dello spazio espositivo e ciò costituisce il filo conduttore di questa nuova mostra in cui Alessio Larocchi presenta una piccola selezione di opere della sua ultima ricerca e opere nuove, come se di esso fossero complementi di arredo o ornamenti esteticamente anonimi, cosicché l’esposizione diventa un ulteriore momento di riflessione sullo statuto dell’arte e dell’artista e un ulteriore passo nel processo di sottrazione emotiva quale condizione per ritrovare uno sguardo critico e l’intimità dell’opera. La radicalità dell’operazione si dà nei titoli delle opere che in Larocchi sono dichiarazioni d’autore, istruzioni per leggerle e salvaguardia da una loro errata decodificazione. Sono concetti rappresi o contratti, che designano, informano, provocano, e recano anche in superficie le tracce dell’intenso lavoro concettuale, che li motiva e presiede alle opere, e di cui esse sono cariche.
A parete, il disegno a punti Cartamodello di piccola casa vuol essere una sorta di labirinto volutamente privo di pathos, come l’autore stesso dichiara, dove è riconoscibile la pianta di Oblom, razionale rappresentazione di uno spazio senza aggiunte decorative per renderlo più seducente. Seguono Découpage e Simulation painting che simulano la pittura smontando per poi rimontare ciò di cui è fatta. Tutta la ricerca di Larocchi è concentrata su questo: luce, colori, linee, forme, segni, quindi monocromi, quindi significanti muti, quindi tecnologie, e sulla simulazione di tutto ciò attraverso le varie tecniche e medium e il loro stesso svuotamento. Vi appartengono anche le due opere Rigato e Scheda per test visivo. Tutte prove di pittura su una superficie in libere giustapposizioni di tonalità o di esatta ripetizione di segni. Anche la scelta di introdurre sbianchettature e cancellazioni sono ricerca di anomia nell’uso e accostamento dei colori, che fa emergere uno spazio concettuale che diventa la superficie di ciò che non ha immagine.
Le affiancano un campionario di Tappezzerie, mentre su una mensola, in bella mostra, campeggia la Piccola libreria anaffettiva, in cui un libro è mimetizzato tra dieci finti libri non sfogliabili, le cui pagine sono sostituite da polistirolo, simili a quelli utilizzati nelle librerie da esposizione negli show room dei mobilifici. E l’unico libro fruibile è simile ad un campionario di segni stereotipati assimilabili ad anonime ripetizioni decorative di tappezzerie dozzinali.
Così Norma Standard’s home segna un’ulteriore tappa di una ricerca rivisitata e ristrutturata che si concentra sull’anaffettivo in cui le tecniche di raffreddamento sono rivolte a una riformulazione per deviazioni, per assenze, per negazioni in cui il simulare assume una valenza eversiva antiestetica e antiartistica. E’ contemporaneamente una “ridefinizione antiretorica della stessa affettività” che vuole stabilire un rapporto più consapevole e suggerire una relazione autonoma più intensa.
La più radicale forma di decostruzione è del resto l’esatta riduzione della pittura a ciò da cui è costituita, mettendo tra parentesi, con lo stile, la presenza e lo sguardo dell’artista. Per questo Alessio Larocchi si pone al confine e sulla soglia, nel chiasmo in cui non c’è più né il soggetto né l’oggetto, ma la ricerca di esperienze percettive e l’imprevisto di un’immagine-simulacro che vive di sé, che non evoca e non rappresenta.
Con la stereotipizzazione, concentrandosi sulle tecniche e sugli strumenti di precisione del dipingere e sulle tecniche per vincolare e ridurre e veicolare altrove l’espressività, Larocchi crea immagini che si riferiscono allo stereotipo e si presentano come accertamenti visivi a bassa definizione, in cui il ductus è controllato e reso uniforme. E dunque con la stereotipizzazione grafica degli elementi visivi Larocchi mette in campo una riduzione linguistica e un superamento di ogni espressiva materia e segno che vogliano essere materia e segno. Indica, infatti, una scarnificazione dello stato sensibile dell’artista per portare lo sguardo fuori dalla fascinazione e dal facile erotismo dell’apparire o della visione. Per questo, anche, raggela il colore e lo riporta a una voluta analogia con le prove utilizzate dai tinteggiatori. E crea opere incentrate sull’abbandono, che si presentano come prove di pittura e di disegno. Così che divenga allora possibile mettere in discussione le premesse dell’immaginario per ritrovare l’immagine. E prima ancora la tela, o il medium, come avviene con Duchamp.
E Larocchi ne fa una ricerca e una pratica del silenzio perché l’opera e l’arte possa di nuovo essere ascoltata e accolta. Come nel Mosé e Aronne di Schönberg in cui Mosè sospende il canto e si limita al dire, cioè a esibire un testo. Perché come dice Adorno l’arte non può più essere bella se deve dire il dolore del mondo. Così l’operare anaffettivo di Larocchi mette in atto una dialettica tra l’estrema concettualizzazione dell’arte e la sua concretezza dando luogo a uno straniamento tramite una simulata serialità in cui le forme, i segni diventano incarnazioni sensibili di una forma di pensiero che vive nello spazio e lo muta. Può allora accadere che la Norma Standard’s home, distogliendoci da una fruizione incantata e iperspettacolare, ci riporti a una visione più intima e intensa delle opere che solo per simulazione e straniamento l’arredano. E del resto Norma Standard’s home è una ricerca tuttora in corso, di cui ogni esposizione e lo stesso libro d’artista che ne esplora le trame e ne raccoglie le opere sono frammenti esposti a nuovi aggregazioni e spostamenti di senso.
Eleonora Fiorani
Un progetto di arredo dello spazio espositivo e ciò costituisce il filo conduttore di questa nuova mostra in cui Alessio Larocchi presenta una piccola selezione di opere della sua ultima ricerca e opere nuove, come se di esso fossero complementi di arredo o ornamenti esteticamente anonimi, cosicché l’esposizione diventa un ulteriore momento di riflessione sullo statuto dell’arte e dell’artista e un ulteriore passo nel processo di sottrazione emotiva quale condizione per ritrovare uno sguardo critico e l’intimità dell’opera. La radicalità dell’operazione si dà nei titoli delle opere che in Larocchi sono dichiarazioni d’autore, istruzioni per leggerle e salvaguardia da una loro errata decodificazione. Sono concetti rappresi o contratti, che designano, informano, provocano, e recano anche in superficie le tracce dell’intenso lavoro concettuale, che li motiva e presiede alle opere, e di cui esse sono cariche.
A parete, il disegno a punti Cartamodello di piccola casa vuol essere una sorta di labirinto volutamente privo di pathos, come l’autore stesso dichiara, dove è riconoscibile la pianta di Oblom, razionale rappresentazione di uno spazio senza aggiunte decorative per renderlo più seducente. Seguono Découpage e Simulation painting che simulano la pittura smontando per poi rimontare ciò di cui è fatta. Tutta la ricerca di Larocchi è concentrata su questo: luce, colori, linee, forme, segni, quindi monocromi, quindi significanti muti, quindi tecnologie, e sulla simulazione di tutto ciò attraverso le varie tecniche e medium e il loro stesso svuotamento. Vi appartengono anche le due opere Rigato e Scheda per test visivo. Tutte prove di pittura su una superficie in libere giustapposizioni di tonalità o di esatta ripetizione di segni. Anche la scelta di introdurre sbianchettature e cancellazioni sono ricerca di anomia nell’uso e accostamento dei colori, che fa emergere uno spazio concettuale che diventa la superficie di ciò che non ha immagine.
Le affiancano un campionario di Tappezzerie, mentre su una mensola, in bella mostra, campeggia la Piccola libreria anaffettiva, in cui un libro è mimetizzato tra dieci finti libri non sfogliabili, le cui pagine sono sostituite da polistirolo, simili a quelli utilizzati nelle librerie da esposizione negli show room dei mobilifici. E l’unico libro fruibile è simile ad un campionario di segni stereotipati assimilabili ad anonime ripetizioni decorative di tappezzerie dozzinali.
Così Norma Standard’s home segna un’ulteriore tappa di una ricerca rivisitata e ristrutturata che si concentra sull’anaffettivo in cui le tecniche di raffreddamento sono rivolte a una riformulazione per deviazioni, per assenze, per negazioni in cui il simulare assume una valenza eversiva antiestetica e antiartistica. E’ contemporaneamente una “ridefinizione antiretorica della stessa affettività” che vuole stabilire un rapporto più consapevole e suggerire una relazione autonoma più intensa.
La più radicale forma di decostruzione è del resto l’esatta riduzione della pittura a ciò da cui è costituita, mettendo tra parentesi, con lo stile, la presenza e lo sguardo dell’artista. Per questo Alessio Larocchi si pone al confine e sulla soglia, nel chiasmo in cui non c’è più né il soggetto né l’oggetto, ma la ricerca di esperienze percettive e l’imprevisto di un’immagine-simulacro che vive di sé, che non evoca e non rappresenta.
Con la stereotipizzazione, concentrandosi sulle tecniche e sugli strumenti di precisione del dipingere e sulle tecniche per vincolare e ridurre e veicolare altrove l’espressività, Larocchi crea immagini che si riferiscono allo stereotipo e si presentano come accertamenti visivi a bassa definizione, in cui il ductus è controllato e reso uniforme. E dunque con la stereotipizzazione grafica degli elementi visivi Larocchi mette in campo una riduzione linguistica e un superamento di ogni espressiva materia e segno che vogliano essere materia e segno. Indica, infatti, una scarnificazione dello stato sensibile dell’artista per portare lo sguardo fuori dalla fascinazione e dal facile erotismo dell’apparire o della visione. Per questo, anche, raggela il colore e lo riporta a una voluta analogia con le prove utilizzate dai tinteggiatori. E crea opere incentrate sull’abbandono, che si presentano come prove di pittura e di disegno. Così che divenga allora possibile mettere in discussione le premesse dell’immaginario per ritrovare l’immagine. E prima ancora la tela, o il medium, come avviene con Duchamp.
E Larocchi ne fa una ricerca e una pratica del silenzio perché l’opera e l’arte possa di nuovo essere ascoltata e accolta. Come nel Mosé e Aronne di Schönberg in cui Mosè sospende il canto e si limita al dire, cioè a esibire un testo. Perché come dice Adorno l’arte non può più essere bella se deve dire il dolore del mondo. Così l’operare anaffettivo di Larocchi mette in atto una dialettica tra l’estrema concettualizzazione dell’arte e la sua concretezza dando luogo a uno straniamento tramite una simulata serialità in cui le forme, i segni diventano incarnazioni sensibili di una forma di pensiero che vive nello spazio e lo muta. Può allora accadere che la Norma Standard’s home, distogliendoci da una fruizione incantata e iperspettacolare, ci riporti a una visione più intima e intensa delle opere che solo per simulazione e straniamento l’arredano. E del resto Norma Standard’s home è una ricerca tuttora in corso, di cui ogni esposizione e lo stesso libro d’artista che ne esplora le trame e ne raccoglie le opere sono frammenti esposti a nuovi aggregazioni e spostamenti di senso.
Eleonora Fiorani
14
maggio 2015
Alessio Larocchi – Norma Standard’s home
Dal 14 al 30 maggio 2015
arte contemporanea
Location
GALLERIA OBLOM
Torino, Via Giuseppe Baretti, 28, (Torino)
Torino, Via Giuseppe Baretti, 28, (Torino)
Orario di apertura
Da martedì a venerdì ore 17-20
Vernissage
14 Maggio 2015, ore 18,30
Autore
Curatore