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16
aprile 2009
fino al 19.V.2009 Michael Beutler Catania, Fondazione Brodbeck
sicilia
Tra cabine rotanti di carta e imponenti scalinate, un’ex area industriale rivive nel segno dell'architettura e del rapporto fra azione creativa e progettazione. Un incipit di grande qualità per la neonata fondazione catanese...
L’immenso ex agglomerato industriale che ospita la Fondazione Brodbeck, appena inaugurata a Catania nel popolare quartiere San Cristoforo, trova una perfetta corrispondenza nell’intervento del tedesco Michael Beutler (Oldenburg, 1976; vive a Berlino), fra i più interessanti artisti di media generazione impegnati in un’operazione di riconsiderazione critica della pratica architettonica.
L’opera di Beutler sembra stabilire un dialogo intimo e circostanziato con gli ampi spazi – in buona parte ancora dismessi – della vecchia fabbrica di liquirizia, destinata a diventare una vera e propria cittadella dell’arte contemporanea. Durante la sua residenza di tre settimane, l’artista ha messo a punto un efficace progetto che mescola elementi contrastanti e insieme complementari: approccio ludico, solidità costruttiva, precarietà dei materiali, poetica del riciclo, disorientamento percettivo e rigoroso geometrismo sono strumenti con cui interpretare l’estesa area urbana, luogo storicamente connesso all’idea di costruzione e produzione.
L’imprescindibile relazione con lo spazio, che connota tutta la ricerca di Beutler, sfocia qui nell’edificazione di una struttura scalare gialla in Pecafil (rete elettrosaldata inguainata in due fogli di polietilene), materiale polivalente particolarmente duttile, abitualmente usato dall’artista per le sue installazioni in spazi pubblici. Yellow Escalator, un imponente “oggetto architettonico”, si erge come una piramide laica al centro del vasto padiglione, ridisegnandone il volume: un ponte tra il suolo e il soffitto, ma anche una metaforica congiunzione tra prassi e idea, tra materia grezza e forma compiuta.
Non una vera scala, ma la messa in forma di una possibilità, la concretizzazione di una potenzialità dinamica: l’atto dell’elevarsi, la percorrenza ascensionale di uno spazio e la sua misurazione creativa passano attraverso la progettazione di un corpo razionale disegnato secondo punti di fuga e rapporti di grandezza ispirati al luogo stesso.
La ricerca della funzionalità si azzera nella riflessione estetica intorno ai materiali, divenuti contenuto, strumento di analisi e anima del processo compositivo. Ed è proprio la precarietà di certi materiali edili (cartone, plastica, vetro) a destare l’interesse di Beutler. La forza emanata dalle sue costruzioni si contestualizza, in modo problematico, nell’ambito di quella cultura contemporanea dell’effimero incastrata fra le spire di una produttività autistica: qui la presenza dell’oggetto, anziché assottigliarsi, ritrova vigore nell’idea di uno spazio utopico e mentale.
Leggerissima, benché di forte impatto visivo, la seconda installazione in mostra si compone di una cabina cilindrica di carta che, occupato quasi per intero il piccolo ambiente espositivo, intrappola il visitatore in un vertiginoso movimento circolare senza sbocco apparente: l’apertura ritagliata nell’abitacolo lascia intravedere, a ogni giro, le bianche pareti della stanza, consentendo giusto in un punto d’infilare l’unico varco verso l’uscita.
Decine di variopinte strutture tubolari cartacee, realizzate durante un workshop con gli studenti dell’Accademia di Belle Arti di Catania, riprendono sia il motivo della verticalità che quello della circolarità, facendone possibilità scultorea e occasione di cooperazione creativa.
L’opera di Beutler sembra stabilire un dialogo intimo e circostanziato con gli ampi spazi – in buona parte ancora dismessi – della vecchia fabbrica di liquirizia, destinata a diventare una vera e propria cittadella dell’arte contemporanea. Durante la sua residenza di tre settimane, l’artista ha messo a punto un efficace progetto che mescola elementi contrastanti e insieme complementari: approccio ludico, solidità costruttiva, precarietà dei materiali, poetica del riciclo, disorientamento percettivo e rigoroso geometrismo sono strumenti con cui interpretare l’estesa area urbana, luogo storicamente connesso all’idea di costruzione e produzione.
L’imprescindibile relazione con lo spazio, che connota tutta la ricerca di Beutler, sfocia qui nell’edificazione di una struttura scalare gialla in Pecafil (rete elettrosaldata inguainata in due fogli di polietilene), materiale polivalente particolarmente duttile, abitualmente usato dall’artista per le sue installazioni in spazi pubblici. Yellow Escalator, un imponente “oggetto architettonico”, si erge come una piramide laica al centro del vasto padiglione, ridisegnandone il volume: un ponte tra il suolo e il soffitto, ma anche una metaforica congiunzione tra prassi e idea, tra materia grezza e forma compiuta.
Non una vera scala, ma la messa in forma di una possibilità, la concretizzazione di una potenzialità dinamica: l’atto dell’elevarsi, la percorrenza ascensionale di uno spazio e la sua misurazione creativa passano attraverso la progettazione di un corpo razionale disegnato secondo punti di fuga e rapporti di grandezza ispirati al luogo stesso.
La ricerca della funzionalità si azzera nella riflessione estetica intorno ai materiali, divenuti contenuto, strumento di analisi e anima del processo compositivo. Ed è proprio la precarietà di certi materiali edili (cartone, plastica, vetro) a destare l’interesse di Beutler. La forza emanata dalle sue costruzioni si contestualizza, in modo problematico, nell’ambito di quella cultura contemporanea dell’effimero incastrata fra le spire di una produttività autistica: qui la presenza dell’oggetto, anziché assottigliarsi, ritrova vigore nell’idea di uno spazio utopico e mentale.
Leggerissima, benché di forte impatto visivo, la seconda installazione in mostra si compone di una cabina cilindrica di carta che, occupato quasi per intero il piccolo ambiente espositivo, intrappola il visitatore in un vertiginoso movimento circolare senza sbocco apparente: l’apertura ritagliata nell’abitacolo lascia intravedere, a ogni giro, le bianche pareti della stanza, consentendo giusto in un punto d’infilare l’unico varco verso l’uscita.
Decine di variopinte strutture tubolari cartacee, realizzate durante un workshop con gli studenti dell’Accademia di Belle Arti di Catania, riprendono sia il motivo della verticalità che quello della circolarità, facendone possibilità scultorea e occasione di cooperazione creativa.
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a cura di Helmut Friedel, Giovanni Iovane e Salvatore Lacagnina
Fondazione Brodbeck Arte Contemporanea
Via Gramignani, 93 – 95121 Catania
Info: tel./fax +39 0957233111; info@fondazionebrodbeck.it; www.fondazionebrodbeck.it
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