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20
aprile 2009
fino al 14.V.2009 Herbert Hamak Reggio Emilia, 2000&Novecento
bologna
Minimalismo e astrazione. Uno spazio energetico in cui diverse forze si combinano. Dove non è l'oggetto a contare, ma il campo di relazioni dinamiche e interagenti che crea intorno a sé...
Herbert Hamak (Unterfranken, 1952; vive a Hammelburg) si definisce pittore più che scultore. E l’allestimento minimale ed essenziale della mostra in galleria lo dimostra. Le sue sculture geometriche, piramidali o rettangolari, spesso accostate tra loro, appese ai muri bianchi, sono all’apparenza come quadri. Dipinti che, giocando sulla particolarità della luce e su una stratificazione complessa del colore, rimandano alle velature pittoriche e diventano complemento della forma stessa.
Le trasparenze e le sfumature si alternano al colore pieno, saturo, all’interno di queste strutture composte da resine di vario tipo, che sembrano galassie misteriose, rischiarate dall’interno da una luminosità propria. Esattamente come pianeti che si muovono in correlazione a una percezione visiva basata sulla spazialità. Parallelepipedi tridimensionali colorati, dalla superficie liscia, che si giustappongono alla superficie e si collegano fra loro, trasformandosi in sostanza architettonica metaforica, quasi senza peso.
Scrive Marisa Vescovo nel testo in catalogo, a proposito della forza energetica di questi lavori che interagiscono l’uno con l’altro: “Ben oltre la geo-metria – ancora misurazione di oggetti visibili, terrestri – Hamak, in analogia col multiverso aperto e reversibile della ‘nuova scienza’, lavora sull’intuizione di uno spazio senza gerarchie, senza direzioni privilegiate, uno spazio di pura energia”.
E l’energia di Hamak non è soltanto quella spaziale di costruzione formale, ma anche quella cromatica, che gioca con le variazioni della luce e del colore, con i rapporti che s’instaurano tra forma e forma, zona e trasparenza dei piani coloristici, in una continua espansione della visione colorata. La forma-base è quella astratta: semplici linee pure, nette, pulite e rigorosamente geometriche, piccole architetture che si compongono insieme a formare un racconto, e i pigmenti stessi diventano pura sostanza, simboli cosmici della relazione fra terra e cielo, organismi plastici, spazi strutturali.
Il colore diviene così pure simbolo di un “altrove” profondo, grazie anche alla tonalità tenue dell’opera, che mantiene una leggerezza di fondo e infonde calma in un clima quasi psicologico e spirituale, che tende a riordinare ogni cosa.
L’opera di Herbert Hamak è una presenza in un certo senso latente e trascendente, impalpabile nella sua pura esattezza, basata su un chiarore interno che suscita quasi languore, mentre pulsa sensibilmente, come una materia viva. Che non lascia intravedere i suoi segreti nascosti.
Le trasparenze e le sfumature si alternano al colore pieno, saturo, all’interno di queste strutture composte da resine di vario tipo, che sembrano galassie misteriose, rischiarate dall’interno da una luminosità propria. Esattamente come pianeti che si muovono in correlazione a una percezione visiva basata sulla spazialità. Parallelepipedi tridimensionali colorati, dalla superficie liscia, che si giustappongono alla superficie e si collegano fra loro, trasformandosi in sostanza architettonica metaforica, quasi senza peso.
Scrive Marisa Vescovo nel testo in catalogo, a proposito della forza energetica di questi lavori che interagiscono l’uno con l’altro: “Ben oltre la geo-metria – ancora misurazione di oggetti visibili, terrestri – Hamak, in analogia col multiverso aperto e reversibile della ‘nuova scienza’, lavora sull’intuizione di uno spazio senza gerarchie, senza direzioni privilegiate, uno spazio di pura energia”.
E l’energia di Hamak non è soltanto quella spaziale di costruzione formale, ma anche quella cromatica, che gioca con le variazioni della luce e del colore, con i rapporti che s’instaurano tra forma e forma, zona e trasparenza dei piani coloristici, in una continua espansione della visione colorata. La forma-base è quella astratta: semplici linee pure, nette, pulite e rigorosamente geometriche, piccole architetture che si compongono insieme a formare un racconto, e i pigmenti stessi diventano pura sostanza, simboli cosmici della relazione fra terra e cielo, organismi plastici, spazi strutturali.
Il colore diviene così pure simbolo di un “altrove” profondo, grazie anche alla tonalità tenue dell’opera, che mantiene una leggerezza di fondo e infonde calma in un clima quasi psicologico e spirituale, che tende a riordinare ogni cosa.
L’opera di Herbert Hamak è una presenza in un certo senso latente e trascendente, impalpabile nella sua pura esattezza, basata su un chiarore interno che suscita quasi languore, mentre pulsa sensibilmente, come una materia viva. Che non lascia intravedere i suoi segreti nascosti.
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a cura di Hélène de Franchis e Gianfranco Rossi
Galleria d’Arte 2000&Novecento
Via Emilia San Pietro, 21 – 42100 Reggio Emilia
Orari: tutti giorni tranne giovedì mattina ore 10-12,30 e 16-19,30
Ingresso libero
Catalogo con testo di Marisa Vescovo
Info: tel. +39 0522580143; fax +39 0522496582; duemilanovecento@tin.it; www.duemilanovecento.it
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