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28
aprile 2009
fino al 2.V.2009 Anastasia Khoroshilova Milano, Impronte
milano
Una fotografa in viaggio tra i paesi dell'ex Unione Sovietica. Per documentarne etnie, popolazioni, comunità. Una ricerca “oggettiva”, che fa della fotografia una disciplina sociologica. Senza dimenticare la riflessione poetica sull'identità...
di Carolina Lio
Una giovane fotografa russa che ha studiato in Germania diventa miscela l’oggettivismo tedesco e le atmosfere sognanti e romantiche dei Paesi nord-asiatici. Così, tornata nella sua terra, Anastasia Khoroshilova (Mosca, 1978) inizia un percorso stilistico, concettuale e anche fisicamente geografico che abbraccia i suoi principali anni di produzione, dal 2004 a oggi.
Il suo lavoro segue sempre la stessa impostazione, a metà fra il documentarismo e l’introspezione psicologica. Sempre concentrata sul soggetto umano, l’artista si sposta tra i Paesi dell’ex Unione Sovietica, scovando situazioni tipiche da fotografare e documentare. Non ricerca affatto la particolarità e l’insolito ma, al contrario, il simbolo sociale; così, ogni personaggio non diventa il soggetto d’un ritratto individuale, quanto di una classe o, meglio, di una delle micro-comunità che abitano il territorio.
Khoroshilova li rappresenta con i loro abiti e nel loro ambiente, “patemizzato” sottilmente solo dall’uso del colore, in modo da differenziare i suoi scatti dal taglio foto-giornalistico. Le persone immortalate guardano fisse l’obiettivo; quasi sempre stanno in piedi, con un’espressione seria e consapevole. Si sentono a loro agio, ed è chiaro che sono a conoscenza del fatto di costituire un pretesto: non stanno parlando di se stessi, ma dello strato sociale che in quel momento rappresentano. Quella di Khoroshilova è infatti una ricerca che sta fra arte e antropologia, e che deve molto a quell’ottica sociologica che ha coinvolto maestri come August Sander.
Si può perciò parlare, nella sua fotografia, di un habitat in senso esteso. È habitat umano il luogo vissuto, contrapposto al concetto di globalizzazione e spersonalizzazione, e colto in un senso di comunione intima con la persona. È habitat il collegamento con gli altri individui – che appartengano alla stessa famiglia o semplicemente alla medesima comunità – e in alcuni casi con gli animali. È habitat l’abito, grazie al quale si sviluppa la personalità e il ruolo d’ogni membro del territorio e con cui ci s’identifica in una serie di stereotipi e fenomeni d’appartenenza.
Per rendere il suo lavoro ancor più manifesto ed efficace, Khoroshilova ricerca i suoi soggetti e i suoi scenari nelle realtà più arretrate, quelle che ancora resistono alla massificazione planetaria. Sono peculiarità culturali che emergono all’interno di Paesi che un tempo facevano parte di un unico Stato; particolarità che l’artista russa ama sottolineare con un’immagine solo apparentemente fredda, ma che in realtà guarda a sentimenti di nostalgia precoce.
Il suo lavoro segue sempre la stessa impostazione, a metà fra il documentarismo e l’introspezione psicologica. Sempre concentrata sul soggetto umano, l’artista si sposta tra i Paesi dell’ex Unione Sovietica, scovando situazioni tipiche da fotografare e documentare. Non ricerca affatto la particolarità e l’insolito ma, al contrario, il simbolo sociale; così, ogni personaggio non diventa il soggetto d’un ritratto individuale, quanto di una classe o, meglio, di una delle micro-comunità che abitano il territorio.
Khoroshilova li rappresenta con i loro abiti e nel loro ambiente, “patemizzato” sottilmente solo dall’uso del colore, in modo da differenziare i suoi scatti dal taglio foto-giornalistico. Le persone immortalate guardano fisse l’obiettivo; quasi sempre stanno in piedi, con un’espressione seria e consapevole. Si sentono a loro agio, ed è chiaro che sono a conoscenza del fatto di costituire un pretesto: non stanno parlando di se stessi, ma dello strato sociale che in quel momento rappresentano. Quella di Khoroshilova è infatti una ricerca che sta fra arte e antropologia, e che deve molto a quell’ottica sociologica che ha coinvolto maestri come August Sander.
Si può perciò parlare, nella sua fotografia, di un habitat in senso esteso. È habitat umano il luogo vissuto, contrapposto al concetto di globalizzazione e spersonalizzazione, e colto in un senso di comunione intima con la persona. È habitat il collegamento con gli altri individui – che appartengano alla stessa famiglia o semplicemente alla medesima comunità – e in alcuni casi con gli animali. È habitat l’abito, grazie al quale si sviluppa la personalità e il ruolo d’ogni membro del territorio e con cui ci s’identifica in una serie di stereotipi e fenomeni d’appartenenza.
Per rendere il suo lavoro ancor più manifesto ed efficace, Khoroshilova ricerca i suoi soggetti e i suoi scenari nelle realtà più arretrate, quelle che ancora resistono alla massificazione planetaria. Sono peculiarità culturali che emergono all’interno di Paesi che un tempo facevano parte di un unico Stato; particolarità che l’artista russa ama sottolineare con un’immagine solo apparentemente fredda, ma che in realtà guarda a sentimenti di nostalgia precoce.
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carolina lio
mostra visitata il 15 aprile 2009
dal 26 marzo al 2 maggio 2009
Anastasia Khoroshilova – Russkie
Impronte Contemporary Art
Via Montevideo, 11 (zona Porta Genova) – 20144 Milano
Orario: da martedì a sabato ore 15-19
Ingresso libero
Catalogo OIP
Info: tel. +39 0248008983; info@impronteart.com; www.impronteart.com
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