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04
maggio 2009
libri_storie Salon to Biennial (phaidon 2009)
Libri ed editoria
Primo volume: dal 1863 al 1959. In attesa di arrivare alla contemporaneità più stringente. Una cavalcato lungo le mostre che hanno fatto la storia dell’arte. Con materiali d’epoca, si tratti di parole o immagini...
Parigi, Impero di Napoleone III: “Monsieur, j’ai le regret de vous announcer que les ouvrages présentés par vous à l’Exposition des Beaux-Arts de 1863 […] n’ont pas été admis par le Jury”. È l’incipit d’un prestampato, inviato al 70% dei candidati a esporre al Salon. Ma l’imperatore era uomo d’ampie vedute e mise a disposizione di coloro che desideravano mostrare ugualmente le proprie opere il retro del Palais de l’Industrie. Nacque così il Salon des Refusés, al quale presero parte oltre quattrocento artisti. Certo, non tutti memorabili, ma ad aver pazienza si potevano scovar perle come Le déjeuner sur l’herbe di Manet o La féerie di Fantin-Latour.
A questa mostra è dedicato il primo capitolo di Salon to Biennial, curato con perizia filologica da Bruce Altshuler. Ai dati tecnici relativi a ogni evento seguono infatti una sintetica introduzione, materiali documentari, immagini delle opere esposte e dell’allestimento e, infine, un florilegio di testi critici coevi (ma pure brani attinenti: nella fattispecie, un passo tratto da L’Oeuvre di Zola).
Sono dunque almeno due gli utilizzi ai quali si presta quest’opera, che si concluderà con la pubblicazione del secondo volume nell’autunno del 2010. In primo luogo è uno straordinario strumento di consultazione, qualora sia necessario riportare alla memoria una data, un nome o, soprattutto, lo Zeitgeist attinente la rassegna oggetto d’interesse.
In secondo luogo, questa monumentale prova di pazienza colma una lacuna abissale, a uso degli studiosi d’arte. Non tanto e non solo perché i materiali qui ripubblicati sono spesso d’arduo reperimento, ma innanzitutto perché permette di arricchire con elementi sostanziali un buon numero di manuali di storia dell’arte. Da un certo punto di vista, dunque, il libro di Altshuler non è altro (!) che una nuova storia dell’arte. Nuova non perché recente, ma perché adotta un punto di vista inedito, almeno per l’ampiezza temporale affrontata (dal 1863 ai giorni nostri) e per l’abbondanza di documentari messi a disposizione.
Si badi, tale preponderanza non esclude affatto l’intervento critico. E non parliamo della fin troppo sintetica Introduzione; il criterio autoriale sta in primis nella scelta di cosa includere e cosa espungere da questa futura Bibbia laica della storia dell(e mostre d)’arte. Lo spazio d’una cinquantina di esposizioni per un secolo e mezzo. Allora andranno esclusi i solo show e, data l’importanza attribuita alla testimonianza fotografica, pure quegli eventi che ne son privi, o quasi.
Fin qui, purché eventualmente discutibili, si tratta di criteri “oggettivi”; meno chiaro è però che s’intende con “another consideration in selecting the exhibitions was their resonance with current views of what is historically important”. Non conosciamo quale sia stato il motivo, ma il fatto è che – almeno in questo primo volume – della Biennale di Venezia, fondata nel 1895, v’è solo una sparuta traccia nella succitata Introduzione.
Sia chiaro, ciò non pregiudica la validità del testo. Anzi, al di là di quest’annotazione, sono indubbiamente i pregi del lavoro a esser schiaccianti sulla proverbiale bilancia valutativa. Fra questi, almeno uno è da ricordare: nella selezione delle mostre così come nei testi di presentazione, Altshuler non si stanca di sottolineare l’importanza dell’eteronomia dell’arte moderna e contemporanea.
À savoir, l’arte ha una strutturale dimensione sociale, il che significa anche economico-politica. Checché ne dica qualche anacronistico purista, senza i Napoleone III e i Durand-Ruel e i Caillebotte, oggi forse non potremmo guardare tant’arte. Insomma, quella francese fu borghese, certo; ma fu pur sempre Rivoluzione.
A questa mostra è dedicato il primo capitolo di Salon to Biennial, curato con perizia filologica da Bruce Altshuler. Ai dati tecnici relativi a ogni evento seguono infatti una sintetica introduzione, materiali documentari, immagini delle opere esposte e dell’allestimento e, infine, un florilegio di testi critici coevi (ma pure brani attinenti: nella fattispecie, un passo tratto da L’Oeuvre di Zola).
Sono dunque almeno due gli utilizzi ai quali si presta quest’opera, che si concluderà con la pubblicazione del secondo volume nell’autunno del 2010. In primo luogo è uno straordinario strumento di consultazione, qualora sia necessario riportare alla memoria una data, un nome o, soprattutto, lo Zeitgeist attinente la rassegna oggetto d’interesse.
In secondo luogo, questa monumentale prova di pazienza colma una lacuna abissale, a uso degli studiosi d’arte. Non tanto e non solo perché i materiali qui ripubblicati sono spesso d’arduo reperimento, ma innanzitutto perché permette di arricchire con elementi sostanziali un buon numero di manuali di storia dell’arte. Da un certo punto di vista, dunque, il libro di Altshuler non è altro (!) che una nuova storia dell’arte. Nuova non perché recente, ma perché adotta un punto di vista inedito, almeno per l’ampiezza temporale affrontata (dal 1863 ai giorni nostri) e per l’abbondanza di documentari messi a disposizione.
Si badi, tale preponderanza non esclude affatto l’intervento critico. E non parliamo della fin troppo sintetica Introduzione; il criterio autoriale sta in primis nella scelta di cosa includere e cosa espungere da questa futura Bibbia laica della storia dell(e mostre d)’arte. Lo spazio d’una cinquantina di esposizioni per un secolo e mezzo. Allora andranno esclusi i solo show e, data l’importanza attribuita alla testimonianza fotografica, pure quegli eventi che ne son privi, o quasi.
Fin qui, purché eventualmente discutibili, si tratta di criteri “oggettivi”; meno chiaro è però che s’intende con “another consideration in selecting the exhibitions was their resonance with current views of what is historically important”. Non conosciamo quale sia stato il motivo, ma il fatto è che – almeno in questo primo volume – della Biennale di Venezia, fondata nel 1895, v’è solo una sparuta traccia nella succitata Introduzione.
Sia chiaro, ciò non pregiudica la validità del testo. Anzi, al di là di quest’annotazione, sono indubbiamente i pregi del lavoro a esser schiaccianti sulla proverbiale bilancia valutativa. Fra questi, almeno uno è da ricordare: nella selezione delle mostre così come nei testi di presentazione, Altshuler non si stanca di sottolineare l’importanza dell’eteronomia dell’arte moderna e contemporanea.
À savoir, l’arte ha una strutturale dimensione sociale, il che significa anche economico-politica. Checché ne dica qualche anacronistico purista, senza i Napoleone III e i Durand-Ruel e i Caillebotte, oggi forse non potremmo guardare tant’arte. Insomma, quella francese fu borghese, certo; ma fu pur sempre Rivoluzione.
marco enrico giacomelli
*articolo pubblicato su Exibart.onpaper n. 56. Te l’eri perso? Abbonati!
Bruce Altshuler (ed.) – Salon to Biennial. Volume I: 1863-1959
Phaidon, London 2009
Pagg. 410, € 45
ISBN 9780714844053
Info: la scheda dell’editore [exibart]