Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
13
maggio 2009
fino al 28.VI.2009 Giotto e il Trecento Roma, Vittoriano
roma
Sovrano, sì, e nonostante tutto. Nonostante le incertezze sulle attribuzioni, sulle date, sulla cronologia. Praticamente su tutto, appunto. Incertezze che hanno creato due veri e propri partiti: il Giotto-Giotto e il Giotto-nonGiotto. Le fazioni si affrontano a Roma...
di Lori Adragna
Una rivoluzione improvvisa quanto radicale travolge gli ultimi decenni del Duecento, spalancando nuovi scenari nella storia dell’arte italiana. Alla sua radice, la costruzione dello spazio secondo le leggi della prospettiva naturale. Protagonista indiscusso di tale mutamento? Il più sovrano maestro stato in dipintura, Giotto (Colle di Vespignano, Firenze, 1267 ca. – Firenze, 1337), in mostra a Roma settant’anni dopo l’ultima esposizione di Firenze.
Pleonastico disquisire sullo spessore artistico-culturale dell’evento. Ciononostante, le polemiche non sono mancate, in particolare riguardo all’esiguo numero delle opere ‘Giotto-Giotto’ presenti in mostra (Giotto, non-Giotto è il saggio datato 1939 di Richard Offner che nega la paternità giottesca di una cospicua serie di lavori, compreso il ciclo di affreschi ad Assisi).
Partendo dal presupposto che le opere fondamentali dell’artista sono su muro (e dunque trasportabili con un tantino di complessità) e della difficoltà dei prestiti, è plausibile che su 150 opere esposte, il nucleo giottesco consti di diciotto tavole, un disegno e una vetrata. Vero è che solo nove opere e il disegno sono assegnate al Maestro, le altre sono attribuzioni oggetto di disputa e di aspro dibattito tra le schiere dei ‘non-Giotto’. Specchio fedele della querelle è il catalogo, ove compaiono saggi equamente ripartiti tra le varie fazioni.
Lo stesso curatore della mostra, Alessandro Tomei, afferma sulla vicenda giottesca: “Nulla è certo nella cronologia, assai poco nel riconoscimento dell’autografia”. Nessuna novità, dunque, strombazzano i detrattori, nessuna eclatante attribuzione. Il clima d’incertezza arriva a mettere in discussione addirittura la data di nascita dell’artista (verosimilmente il 1267) e anche il luogo: sembrerebbe Colle di Vespignano.
La rassegna romana si presenta dispiegando un notevole impegno organizzativo, peraltro ampiamente giustificato. Le ragioni sono insite nell’innovativo disegno progettuale, egregiamente riflesso nell’allestimento. Che ripercorre con strumenti critici inediti il percorso figurativo di Giotto, tratteggiando le peculiarità del contesto da cui prese le mosse; che sottolinea l’importanza del ruolo svolto da Roma e dall’antichità nella formazione del suo linguaggio; che presenta, con esempi prelevati ad hoc – miniatura e arti suntuarie comprese – e dai più diversi contesti geografici, una panoramica mai tentata in precedenza di ogni declinazione stilistica e formale della lezione giottesca.
Polittici, dipinti su tavola, affreschi strappati, sculture, manoscritti e oreficerie emergono dalle luci basse su sfondi rosati. Capolavori di Cimabue, Pietro Lorenzetti, Arnolfo di Cambio e tanti altri, introducono al sancta sanctorum giottesco: ecco la grande pala della Madonna col Bambino in trono e due angeli o il Polittico di Badia, i Santi Stefano, Luca e Giacomo minore, la predella del Trittico Stefaneschi e i resti del mosaico della Navicella degli Apostoli.
Pochi pezzi? Sì, ma eloquenti. Suggeriscono fra l’altro che la rivoluzione operata da Giotto non fu puramente formale: il suo naturalismo, il nuovo senso dello spazio, del volume, del colore furono i mezzi di cui si servì per dare realtà e verità alla pittura. Come non era mai avvenuto prima.
Pleonastico disquisire sullo spessore artistico-culturale dell’evento. Ciononostante, le polemiche non sono mancate, in particolare riguardo all’esiguo numero delle opere ‘Giotto-Giotto’ presenti in mostra (Giotto, non-Giotto è il saggio datato 1939 di Richard Offner che nega la paternità giottesca di una cospicua serie di lavori, compreso il ciclo di affreschi ad Assisi).
Partendo dal presupposto che le opere fondamentali dell’artista sono su muro (e dunque trasportabili con un tantino di complessità) e della difficoltà dei prestiti, è plausibile che su 150 opere esposte, il nucleo giottesco consti di diciotto tavole, un disegno e una vetrata. Vero è che solo nove opere e il disegno sono assegnate al Maestro, le altre sono attribuzioni oggetto di disputa e di aspro dibattito tra le schiere dei ‘non-Giotto’. Specchio fedele della querelle è il catalogo, ove compaiono saggi equamente ripartiti tra le varie fazioni.
Lo stesso curatore della mostra, Alessandro Tomei, afferma sulla vicenda giottesca: “Nulla è certo nella cronologia, assai poco nel riconoscimento dell’autografia”. Nessuna novità, dunque, strombazzano i detrattori, nessuna eclatante attribuzione. Il clima d’incertezza arriva a mettere in discussione addirittura la data di nascita dell’artista (verosimilmente il 1267) e anche il luogo: sembrerebbe Colle di Vespignano.
La rassegna romana si presenta dispiegando un notevole impegno organizzativo, peraltro ampiamente giustificato. Le ragioni sono insite nell’innovativo disegno progettuale, egregiamente riflesso nell’allestimento. Che ripercorre con strumenti critici inediti il percorso figurativo di Giotto, tratteggiando le peculiarità del contesto da cui prese le mosse; che sottolinea l’importanza del ruolo svolto da Roma e dall’antichità nella formazione del suo linguaggio; che presenta, con esempi prelevati ad hoc – miniatura e arti suntuarie comprese – e dai più diversi contesti geografici, una panoramica mai tentata in precedenza di ogni declinazione stilistica e formale della lezione giottesca.
Polittici, dipinti su tavola, affreschi strappati, sculture, manoscritti e oreficerie emergono dalle luci basse su sfondi rosati. Capolavori di Cimabue, Pietro Lorenzetti, Arnolfo di Cambio e tanti altri, introducono al sancta sanctorum giottesco: ecco la grande pala della Madonna col Bambino in trono e due angeli o il Polittico di Badia, i Santi Stefano, Luca e Giacomo minore, la predella del Trittico Stefaneschi e i resti del mosaico della Navicella degli Apostoli.
Pochi pezzi? Sì, ma eloquenti. Suggeriscono fra l’altro che la rivoluzione operata da Giotto non fu puramente formale: il suo naturalismo, il nuovo senso dello spazio, del volume, del colore furono i mezzi di cui si servì per dare realtà e verità alla pittura. Come non era mai avvenuto prima.
articoli correlati
La O di Giotto
lori adragna
mostra visitata il 5 marzo 2009
dal 5 marzo al 28 giugno 2009
Giotto e il Trecento. Il più Sovrano Maestro stato in dipintura
a cura di Alessandro Tomei
Complesso del Vittoriano
Via di San Pietro in Carcere (zona Fori Imperiali) – 00186 Roma
Orario: da lunedì a giovedì ore 9.30-19.30; venerdì e sabato ore 9.30-23.30; domenica ore 9.30-20.30
Ingresso: intero € 10; ridotto € 7,50
Catalogo Skira
Info: tel. +39 066780664; museovittoriano@tiscali.it
[exibart]