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14
maggio 2009
Dog tags, granate, proiettili, elmetti, scarponi e maschere antigas: residui bellici con il nastrino rosso, presentati come regali. Ghost gifts, sottolinea il titolo della mostra alla Galleria CO2, prima personale italiana di Shadi Ghadirian (Teheran 1974).
Regali fantasma, doni esplosivi. Il fondo bianco, nelle immagini della serie White Square (2008), isola il soggetto, evidenziandone la componente estetica, che non è meno importante di quella concettuale. Gli scarponi – con una traccia di sangue fresco – compaiono anche nella serie Nil Nil (2008), accanto al décolleté di vernice rossa con i tacchi a spillo. Il pavimento di marmo e la porta semiaperta rimandano a una contestualizzazione domestica, che acquisisce maggior significato perché non si tratta di una casa anonima, ma di quella della fotografa stessa, a Teheran. Esattamente come i giocattoli – peluche, bambolotti, la palla di Barbie, Winnie the Pooh e altri prodotti della globalizzazione – appartengono a Leyla, la sua bimba di due anni.
Ma il campo è minato e l’apparenza inganna. Anche il mondo dell’infanzia, il più puro per antonomasia, può celare insidie e trappole mortali. La maschera antigas torna in molte fotografie, confusa tra i giochi, come la bomba fra le lenzuola ricamate e la borraccia militare nel frigorifero, tra il succo d’arancia e l’acqua minerale, il barattolo con le olive, la maionese, il mais, le mele.
Il presente è incerto e porta con sé memoria delle atrocità di guerre passate. Ghadirian si riferisce alla guerra fra Iran e Iraq, durata dal 1980 al 1988, tappa successiva alla sanguinosa Rivoluzione culturale. “E c’è chi parla di un nuovo conflitto, di America…”, afferma l’artista. “Non c’è notizia alla tv e alla radio che non riguardi la guerra. Guerra, guerra, guerra. Di conseguenza abbiamo una certa familiarità con la guerra, vivendoci a contatto”.
Una riflessione che porta avanti dalla fine degli anni ’90, in quanto donna e artista in un Paese integralista, come raccontano i suoi lavori a partire da Qajar e Like Every Day, esposti recentemente da Saatchi a Londra, in occasione della collettiva Unveiled: New art from the Middle East.
Immagini da cui trapela coerenza e cinismo, ma anche un’ironia caustica. Soprattutto quando mettono in luce le contraddizioni sociali che investono la donna nell’Iran di oggi.
Regali fantasma, doni esplosivi. Il fondo bianco, nelle immagini della serie White Square (2008), isola il soggetto, evidenziandone la componente estetica, che non è meno importante di quella concettuale. Gli scarponi – con una traccia di sangue fresco – compaiono anche nella serie Nil Nil (2008), accanto al décolleté di vernice rossa con i tacchi a spillo. Il pavimento di marmo e la porta semiaperta rimandano a una contestualizzazione domestica, che acquisisce maggior significato perché non si tratta di una casa anonima, ma di quella della fotografa stessa, a Teheran. Esattamente come i giocattoli – peluche, bambolotti, la palla di Barbie, Winnie the Pooh e altri prodotti della globalizzazione – appartengono a Leyla, la sua bimba di due anni.
Ma il campo è minato e l’apparenza inganna. Anche il mondo dell’infanzia, il più puro per antonomasia, può celare insidie e trappole mortali. La maschera antigas torna in molte fotografie, confusa tra i giochi, come la bomba fra le lenzuola ricamate e la borraccia militare nel frigorifero, tra il succo d’arancia e l’acqua minerale, il barattolo con le olive, la maionese, il mais, le mele.
Il presente è incerto e porta con sé memoria delle atrocità di guerre passate. Ghadirian si riferisce alla guerra fra Iran e Iraq, durata dal 1980 al 1988, tappa successiva alla sanguinosa Rivoluzione culturale. “E c’è chi parla di un nuovo conflitto, di America…”, afferma l’artista. “Non c’è notizia alla tv e alla radio che non riguardi la guerra. Guerra, guerra, guerra. Di conseguenza abbiamo una certa familiarità con la guerra, vivendoci a contatto”.
Una riflessione che porta avanti dalla fine degli anni ’90, in quanto donna e artista in un Paese integralista, come raccontano i suoi lavori a partire da Qajar e Like Every Day, esposti recentemente da Saatchi a Londra, in occasione della collettiva Unveiled: New art from the Middle East.
Immagini da cui trapela coerenza e cinismo, ma anche un’ironia caustica. Soprattutto quando mettono in luce le contraddizioni sociali che investono la donna nell’Iran di oggi.
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a cura di Silvia Cirelli
Co2 Contemporary Art
Borgo Vittorio, 9b (Borgo Pio) – 00193 Roma
Orario: da lunedì a venerdì ore 10.30-14 e 15-19.30; sabato ore 14-19
Ingresso libero
Catalogo a cura di Giorgio Galotti
Info: tel. +39 0645471209; fax +39 0645473415; info@co2gallery.com; www.co2gallery.com
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