Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
22
giugno 2009
fino al 17.VII.2009 Mark Tobey Milano, Galleria Blu
milano
L’incontro di Mark Tobey con l’arte e la cultura orientali. La scoperta dell’“impulso grafico decisivo”. Nasce un nuovo tipo di pittura che guarda a Est. Ma senza dimenticarsi di provenire da Ovest...
Nel 1934 Mark Tobey (Centerville, 1890 – Basilea, 1976) compie un viaggio in Oriente. In Cina entra in contatto diretto con l’arte locale e si esercita nel riprodurre gli ideogrammi tradizionali. Due mesi dopo si reca in Giappone, dove trascorre un mese in un monastero, tra esercizi di meditazione e approfondimento dell’arte zen. È il momento della scoperta dell’“impulso grafico decisivo”, fondamento della successiva attività dell’artista americano.
Le opere esposte sono state eseguite tra il ‘53 e il ‘72 e appartengono a una fase di piena maturità. La volontà della mostra è evidenziare il ruolo di mediazione tra Occidente e Oriente svolto da Tobey, che diviene così il punto d’incontro tra due differenti culture artistiche, capace d’influenzare la pittura americana e di trovare riscontri anche in Europa. Del resto, Tobey non ha mai rinnegato le proprie origini artistiche e culturali occidentali: il 1934 è infatti anche l’anno del suo viaggio in Italia, quando visita Roma, Pompei e Arezzo, traendo ispirazione dagli affreschi di Piero della Francesca.
Le tecniche artistiche e i concetti appresi in Oriente sono assimilati e rielaborati in una nuova indagine spaziale. Se la concezione orientale ha il suo punto di partenza nella linea e quella occidentale nel volume, definendo lo spazio a partire dal vuoto, Tobey ragiona in termini di massa. Una massa di segni, in larga maggioranza di colore bianco – la cosiddetta white writing -, si estende vibrante ed energetica su tutta la superficie delle opere.
L’artista non sviluppa tuttavia un metodo compositivo basato sull’espressione di un furore gestuale, ma un approccio meditativo, all’insegna di un deciso e calibrato controllo del flusso d’energia dispiegato. I rapporti di luce sono orchestrati con grande maestria. È proprio la luce, che scaturisce dalla relazione tra la massa segnica e lo sfondo su cui si staglia, a concorrere in maniera determinante nella definizione di una spazialità che pare estendersi all’infinito.
Il dispiegarsi della suddetta massa segnica sull’intera opera, all over, e la ricchezza del suo approccio artistico, imbevuto di cultura zen, rendono Tobey uno dei capostipiti dell’Espressionismo astratto e trovano estimatori anche nell’Informale europeo. La sua carica innovatrice è stata riconosciuta anche da Jean Dubuffet, che alla visione di alcune sue opere pare abbia affermato: “Non si è mai soli”.
Questi concetti vengono evidenziati in maniera forse un po’ troppo sommaria dalla mostra. Non vengono individuate linee di sviluppo e non vengono istituiti confronti o relazioni tra le opere, ognuna delle quali costituisce una generica messa a punto di quanto appreso da Tobey in Oriente. La fase matura dell’artista americano non è approfondita, ma rappresenta solo un’esemplificazione dei tratti qualificanti la sua arte.
La mostra rimane, in conclusione, una grande e rara occasione per fruire delle opere di Tobey. Ma soffre della mancanza di un più deciso spirito analitico.
Le opere esposte sono state eseguite tra il ‘53 e il ‘72 e appartengono a una fase di piena maturità. La volontà della mostra è evidenziare il ruolo di mediazione tra Occidente e Oriente svolto da Tobey, che diviene così il punto d’incontro tra due differenti culture artistiche, capace d’influenzare la pittura americana e di trovare riscontri anche in Europa. Del resto, Tobey non ha mai rinnegato le proprie origini artistiche e culturali occidentali: il 1934 è infatti anche l’anno del suo viaggio in Italia, quando visita Roma, Pompei e Arezzo, traendo ispirazione dagli affreschi di Piero della Francesca.
Le tecniche artistiche e i concetti appresi in Oriente sono assimilati e rielaborati in una nuova indagine spaziale. Se la concezione orientale ha il suo punto di partenza nella linea e quella occidentale nel volume, definendo lo spazio a partire dal vuoto, Tobey ragiona in termini di massa. Una massa di segni, in larga maggioranza di colore bianco – la cosiddetta white writing -, si estende vibrante ed energetica su tutta la superficie delle opere.
L’artista non sviluppa tuttavia un metodo compositivo basato sull’espressione di un furore gestuale, ma un approccio meditativo, all’insegna di un deciso e calibrato controllo del flusso d’energia dispiegato. I rapporti di luce sono orchestrati con grande maestria. È proprio la luce, che scaturisce dalla relazione tra la massa segnica e lo sfondo su cui si staglia, a concorrere in maniera determinante nella definizione di una spazialità che pare estendersi all’infinito.
Il dispiegarsi della suddetta massa segnica sull’intera opera, all over, e la ricchezza del suo approccio artistico, imbevuto di cultura zen, rendono Tobey uno dei capostipiti dell’Espressionismo astratto e trovano estimatori anche nell’Informale europeo. La sua carica innovatrice è stata riconosciuta anche da Jean Dubuffet, che alla visione di alcune sue opere pare abbia affermato: “Non si è mai soli”.
Questi concetti vengono evidenziati in maniera forse un po’ troppo sommaria dalla mostra. Non vengono individuate linee di sviluppo e non vengono istituiti confronti o relazioni tra le opere, ognuna delle quali costituisce una generica messa a punto di quanto appreso da Tobey in Oriente. La fase matura dell’artista americano non è approfondita, ma rappresenta solo un’esemplificazione dei tratti qualificanti la sua arte.
La mostra rimane, in conclusione, una grande e rara occasione per fruire delle opere di Tobey. Ma soffre della mancanza di un più deciso spirito analitico.
articoli correlati
Antologica da Agnellini a Brescia
matteo meneghini
mostra visitata il 26 maggio 2009
dall’undici maggio al 17 luglio 2009
Mark Tobey – Mediatore tra Oriente e Occidente
Galleria Blu
Via Senato, 18 (zona corso Venezia) – 20121 Milano
Orario: da lunedì a venerdì ore 10-12.30 e 15.30-19; sabato ore 15.30-19
Ingresso libero
Catalogo a cura di Luca Palazzoni con testo di Heiner Hachmeister
Info: tel. +39 0276022404; fax +39 02782398; galleriablu@fastwebnet.it; www.galleriablu.com
[exibart]