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Mauro Raffini – Burto. I Mursi
I Mursi, una popolazione della valle del fiume Omo in Etiopia, nelle fotografie di Mauro Raffini del 1985.
Comunicato stampa
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Burto. I Mursi
"Le donne, invece di stringersi la persona o far sfoggio di vesti e di fronzoli, usano di torturarsi le labbra e gli orecchi per infilzare i più bizzarri e incomodi ornamenti". Troviamo questa descrizione in un libro edito per conto della Società italiana di Geografia da Hoepli nel 1899: L'Omo. Viaggio d'esplorazione nell'Africa Orientale (p. 320). Gli autori sono due sottotenenti dell'esercito italiano, Lamberto Vannutelli e Carlo Citerni, reduci dalla seconda spedizione lungo le rive del fiume Omo condotta dal capitano Vittorio Bottego, nella quale l'esploratore parmigiano trovò la morte. Le donne descritte appartengono all'etnia Mursi e i militari italiani, impegnati in un'esplorazione svolta nel quadro della fallimentare impresa coloniale in Abissinia, sono gli unici europei di cui si sappia ad averle sino ad allora incontrate. E' un primo sguardo, brutale, degli occidentali sui Mursi e si sofferma su una delle caratteristiche più distintive dell'etnia, l'uso dei piatti labiali da parte delle donne, posti nel brano, insieme alla nudità, in una contrapposizione derisoria, ma involontariamente ironica, con l'uso dei busti e dei corsetti da parte delle donne europee dell'epoca.
I Mursi sono un'etnia, composta da una decina di migliaia di individui, che vive di allevamento e di agricoltura di sussistenza, stanziata nell'Etiopia sud-occidentale, nell'isolato tratto meridionale della valle dell'Omo. A partire dagli anni Settanta del secolo scorso, i Mursi, come le altre popolazioni della valle, sono stati oggetto di un crescente interesse scientifico e a partire dal decennio successivo di un crescente interesse prima mediatico e poi anche turistico. Al giorno d'oggi, i piatti labiali, i combattimenti rituali con i bastoni di forma fallica dei Mursi, così come i salti iniziatici degli adolescenti Hamar sul dorso delle vacche e le pitture corporali comuni alle etnie che vivono in questa regione dell'Etiopia, sono noti al grande pubblico attraverso documentari, libri fotografici di grande successo e perfino reality show (Last man standing, BBC Three). Un numero sempre maggiore di agenzie turistiche offre la possibilità di vedere, fotografare e filmare di persona le popolazioni dell'Omo, che a un certo punto hanno incominciato a pretendere dai turisti dei compensi in denaro, misurabili in centesimi di euro (Cfr. Serge Tornay, Du corps humain comme marchandise, Mythe primitiviste et harcèlement photographique dans la vallée de l'Omo, Éthiopie, in Afriques & Histoire, vol. 7, Paris 2009). Nell'ambito della fotografia d'autore, i lavori più conosciuti sono quelli di Hans Silvester. Ethiopia: Peoples of the Omo Valley (New York, 2007) è un libro di notevole valore artistico. Una bellezza meravigliosa emerge come un sogno edenico dalle immagini degli uomini e delle donne di Silvester, ritratti in una nudità primigenia e perfetta situata al centro di una rete armoniosa di relazioni con gli elementi, foglie e fiori, argilla ed ematiti, piume e avorio, di una natura appena creata. Echi e consonanze con il lavoro del fotografo tedesco sono ravvisabili nella corposa iconografia sui Mursi e le etnie a loro vicine, opera di fotografi professionisti, amatori e turisti, pubblicata su Internet. In altri ricorrenti casi incontriamo, accanto alla presenza delle appariscenti corna bovine, dei denti di cinghiale, delle vivide pitture facciali, la presenza delle armi automatiche, corruzione, ma anche, secondo una certa prospettiva, potenziamento minaccioso e tecnologico e allo stesso tempo felicemente immorale e liberatorio di una primordiale condizione dell'essere umano.
Nelle fotografie di Mauro Raffini – di cui Oblom nel 2013 ha ospitato la mostra Altrove, dedicata al tema dell'immigrazione meridionale nella Torino degli anni Settanta – i Mursi sono diversi. Gli scatti che esponiamo sono stati realizzati nel 1985, in un'epoca in cui l'immaginario occidentale relativo al Corno d'Africa non segue ancora pienamente le direzioni di quella che l'etnologo Serge Tornay, nell'interessante saggio citato sopra, definisce un'ideologia e una mitologia del primitivo, fortemente influenzata, in una allarmante confusione di piani, dalle straordinarie scoperte della paleontologia in Etiopia: “Les peuples actuels de l'Omo sont les descendants directs de la fameuse Lucy – qui au demeurant a été découverte à l'autre extrémité de l'Éthiopie, dans le pays afar. Les hommes kara sont les géants dont parle la Bible et les femmes hamar, comme l'atteste leur émouvante beauté, sont les filles de la Reine de Saba. Rien d'étonnant, donc, que la vallée de l'Omo ne soit devenue un piège à touristes mettant en scène les origines de l'humanité" (Du corps humain cit., p. 331). Nelle immagini del fotografo torinese osserviamo coppie o gruppi familiari che sorridono in piedi davanti all'obiettivo, uomini in cammino o immobili, appoggiati a un bastone, la cui nudità è discreta, non sottolineata dalla costruzione dell'inquadratura, volti di giovani donne in posa per il fotografo, ma che nondimeno non indossano il piatto labiale per l'occasione, lasciando che il nostro sguardo superi, nell'osservare il labbro inferiore deformato e forato, l'ostacolo di un iniziale sconcerto. Gli ornamenti, i monili, sono quasi assenti. Un ragazzo con uno stecco all'angolo della bocca impugna un coltello. Sullo sfondo la boscaglia, i campi di sorgo, i tetti delle capanne di paglia, una natura povera e dura. Sono immagini molto semplici, molto naturali, se vogliamo, nel loro non voler cercare uno "stato di natura", affascinante, irenico, sensuale o terribile, in qualche modo inumano. Le immagini di una quotidianità tutt'altro che edenica, eppure dignitosa, come sono dignitosi, nella loro miseria, gli immigrati meridionali delle fotografie di Altrove. E se c'è, come crediamo, anche in questa serie di immagini di Raffini una impostazione politica, nella misura in cui nelle sue fotografie i Mursi sono soprattutto dei proletari di un'altra parte del mondo, questa impostazione non va tuttavia a discapito del rigore scarno e limpido della documentazione.
Scopriamo, esplorando la rete, che la lingua mursi, che appartiene al gruppo surmico, ha un'ortografia e che esiste ed è consultabile in linea un dizionario mursi-inglese-amarico compilato da un gruppo di studiosi di Oxford. "Passato" in mursi si dice "burto". Da una delle fotografie di Raffini ci guarda una giovane coppia di sposi. Attraverso le distanze di un fiume lungo trent'anni vediamo che sono felici.
Fabrizio Bonci e Caterina Scala
"Le donne, invece di stringersi la persona o far sfoggio di vesti e di fronzoli, usano di torturarsi le labbra e gli orecchi per infilzare i più bizzarri e incomodi ornamenti". Troviamo questa descrizione in un libro edito per conto della Società italiana di Geografia da Hoepli nel 1899: L'Omo. Viaggio d'esplorazione nell'Africa Orientale (p. 320). Gli autori sono due sottotenenti dell'esercito italiano, Lamberto Vannutelli e Carlo Citerni, reduci dalla seconda spedizione lungo le rive del fiume Omo condotta dal capitano Vittorio Bottego, nella quale l'esploratore parmigiano trovò la morte. Le donne descritte appartengono all'etnia Mursi e i militari italiani, impegnati in un'esplorazione svolta nel quadro della fallimentare impresa coloniale in Abissinia, sono gli unici europei di cui si sappia ad averle sino ad allora incontrate. E' un primo sguardo, brutale, degli occidentali sui Mursi e si sofferma su una delle caratteristiche più distintive dell'etnia, l'uso dei piatti labiali da parte delle donne, posti nel brano, insieme alla nudità, in una contrapposizione derisoria, ma involontariamente ironica, con l'uso dei busti e dei corsetti da parte delle donne europee dell'epoca.
I Mursi sono un'etnia, composta da una decina di migliaia di individui, che vive di allevamento e di agricoltura di sussistenza, stanziata nell'Etiopia sud-occidentale, nell'isolato tratto meridionale della valle dell'Omo. A partire dagli anni Settanta del secolo scorso, i Mursi, come le altre popolazioni della valle, sono stati oggetto di un crescente interesse scientifico e a partire dal decennio successivo di un crescente interesse prima mediatico e poi anche turistico. Al giorno d'oggi, i piatti labiali, i combattimenti rituali con i bastoni di forma fallica dei Mursi, così come i salti iniziatici degli adolescenti Hamar sul dorso delle vacche e le pitture corporali comuni alle etnie che vivono in questa regione dell'Etiopia, sono noti al grande pubblico attraverso documentari, libri fotografici di grande successo e perfino reality show (Last man standing, BBC Three). Un numero sempre maggiore di agenzie turistiche offre la possibilità di vedere, fotografare e filmare di persona le popolazioni dell'Omo, che a un certo punto hanno incominciato a pretendere dai turisti dei compensi in denaro, misurabili in centesimi di euro (Cfr. Serge Tornay, Du corps humain comme marchandise, Mythe primitiviste et harcèlement photographique dans la vallée de l'Omo, Éthiopie, in Afriques & Histoire, vol. 7, Paris 2009). Nell'ambito della fotografia d'autore, i lavori più conosciuti sono quelli di Hans Silvester. Ethiopia: Peoples of the Omo Valley (New York, 2007) è un libro di notevole valore artistico. Una bellezza meravigliosa emerge come un sogno edenico dalle immagini degli uomini e delle donne di Silvester, ritratti in una nudità primigenia e perfetta situata al centro di una rete armoniosa di relazioni con gli elementi, foglie e fiori, argilla ed ematiti, piume e avorio, di una natura appena creata. Echi e consonanze con il lavoro del fotografo tedesco sono ravvisabili nella corposa iconografia sui Mursi e le etnie a loro vicine, opera di fotografi professionisti, amatori e turisti, pubblicata su Internet. In altri ricorrenti casi incontriamo, accanto alla presenza delle appariscenti corna bovine, dei denti di cinghiale, delle vivide pitture facciali, la presenza delle armi automatiche, corruzione, ma anche, secondo una certa prospettiva, potenziamento minaccioso e tecnologico e allo stesso tempo felicemente immorale e liberatorio di una primordiale condizione dell'essere umano.
Nelle fotografie di Mauro Raffini – di cui Oblom nel 2013 ha ospitato la mostra Altrove, dedicata al tema dell'immigrazione meridionale nella Torino degli anni Settanta – i Mursi sono diversi. Gli scatti che esponiamo sono stati realizzati nel 1985, in un'epoca in cui l'immaginario occidentale relativo al Corno d'Africa non segue ancora pienamente le direzioni di quella che l'etnologo Serge Tornay, nell'interessante saggio citato sopra, definisce un'ideologia e una mitologia del primitivo, fortemente influenzata, in una allarmante confusione di piani, dalle straordinarie scoperte della paleontologia in Etiopia: “Les peuples actuels de l'Omo sont les descendants directs de la fameuse Lucy – qui au demeurant a été découverte à l'autre extrémité de l'Éthiopie, dans le pays afar. Les hommes kara sont les géants dont parle la Bible et les femmes hamar, comme l'atteste leur émouvante beauté, sont les filles de la Reine de Saba. Rien d'étonnant, donc, que la vallée de l'Omo ne soit devenue un piège à touristes mettant en scène les origines de l'humanité" (Du corps humain cit., p. 331). Nelle immagini del fotografo torinese osserviamo coppie o gruppi familiari che sorridono in piedi davanti all'obiettivo, uomini in cammino o immobili, appoggiati a un bastone, la cui nudità è discreta, non sottolineata dalla costruzione dell'inquadratura, volti di giovani donne in posa per il fotografo, ma che nondimeno non indossano il piatto labiale per l'occasione, lasciando che il nostro sguardo superi, nell'osservare il labbro inferiore deformato e forato, l'ostacolo di un iniziale sconcerto. Gli ornamenti, i monili, sono quasi assenti. Un ragazzo con uno stecco all'angolo della bocca impugna un coltello. Sullo sfondo la boscaglia, i campi di sorgo, i tetti delle capanne di paglia, una natura povera e dura. Sono immagini molto semplici, molto naturali, se vogliamo, nel loro non voler cercare uno "stato di natura", affascinante, irenico, sensuale o terribile, in qualche modo inumano. Le immagini di una quotidianità tutt'altro che edenica, eppure dignitosa, come sono dignitosi, nella loro miseria, gli immigrati meridionali delle fotografie di Altrove. E se c'è, come crediamo, anche in questa serie di immagini di Raffini una impostazione politica, nella misura in cui nelle sue fotografie i Mursi sono soprattutto dei proletari di un'altra parte del mondo, questa impostazione non va tuttavia a discapito del rigore scarno e limpido della documentazione.
Scopriamo, esplorando la rete, che la lingua mursi, che appartiene al gruppo surmico, ha un'ortografia e che esiste ed è consultabile in linea un dizionario mursi-inglese-amarico compilato da un gruppo di studiosi di Oxford. "Passato" in mursi si dice "burto". Da una delle fotografie di Raffini ci guarda una giovane coppia di sposi. Attraverso le distanze di un fiume lungo trent'anni vediamo che sono felici.
Fabrizio Bonci e Caterina Scala
20
febbraio 2015
Mauro Raffini – Burto. I Mursi
Dal 20 febbraio all'undici marzo 2015
fotografia
Location
GALLERIA OBLOM
Torino, Via Giuseppe Baretti, 28, (Torino)
Torino, Via Giuseppe Baretti, 28, (Torino)
Orario di apertura
da martedì a venerdì ore 16-20; sabato su appuntamento
Vernissage
20 Febbraio 2015, ore 18,30
Autore
Curatore