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Il Ritratto. Punti di Vista
Quattordici artisti che con le loro opere, pittoriche o di altro genere, danno vita a un progetto unitario e omogeneo, volto non tanto a chiarire singole tematiche, quanto a raccontare un unico pensiero attraverso un percorso che si concentra sulla rappresentazione della figura umana.
Comunicato stampa
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La mostra collettiva Il Ritratto – Punti di vista presenta quattordici artisti che con le loro opere, pittoriche o di altro genere, danno vita a un progetto unitario e omogeneo, volto non tanto a chiarire singole tematiche, quanto a raccontare un unico pensiero attraverso un percorso che, pur non celando le grandi diversità di stile, si concentra sulla rappresentazione della figura umana.
Il ritratto, ormai non più solo celebrazione ed evocazione, viene dunque sviluppato e presentato in maniera variegata, ma sempre mantenendo un comune denominatore: alla base c’è un volto, un corpo, una presenza, la registrazione di un’esistenza, sia essa reale o fittizia. Rispetto ai canoni classici, però, qui siamo completamente all’opposto: l’oggettività, la perfezione descrittiva, l’iperrealismo, talvolta anche l’indagine psicologica, tipici del ritratto tradizionalmente inteso, vengono meno in favore di una visione personale mescolata a stili innovativi. Le circostanze esteriori ed estetiche, a cui l’artista del passato era legato, adesso non sono più importanti. L’artista è libero di scegliere e i punti di vista riguardano proprio questa scelta: ognuno di loro filtra la realtà attraverso i propri occhi e la propria sensibilità, ha un diverso modo di vedere e conseguentemente di operare, un punto di vista del tutto personale che lo porta a decidere quale tecnica usare, quale taglio adottare e quale valore conferire alla figura rappresentata, creando attraverso scelte interpretative, siano esse la spersonalizzazione, l’indagine psicologica o la pura concettualità.
Partendo dall’obiettività di Andy Warhol, che con la sua serigrafia ci dà una visione asettica del ritratto e del ritrarre, si passa a dipinti di stampo più intimistico e soggettivo di cui non possediamo la chiave di lettura, autoritratti più politicamente connotati, figure inventate appartenenti a un mondo fantastico, fino ad arrivare al concettuale: lo specchio di Cch, maliziosamente dedicato al collezionista, si configura come il ritratto per eccellenza, il ritratto primordiale, il primo ritratto che abbiamo di noi stessi, ovvero la nostra immagine riflessa.
Warhol, il primo sia in ordine cronologico che espositivo, ritrae volti di personaggi famosi che non vogliono comunicare altro che loro stessi, essere uno specchio della realtà senza alcun rimando a significati secondari impliciti. Si tratta di immagini dai colori vivaci e irreali, piatte, senza pathos, come se a produrle fosse una macchina, proprio ciò che Warhol intendeva essere: “Il motivo per cui dipingo così è perché voglio essere una macchina” , diceva. Le immagini non lasciano prospettive aperte, sono chiuse, già risolte. L’artista americano è dunque un punto di partenza che trova risonanza laddove si tratti di mettere in scena soggetti mediatici come se la tela fosse uno schermo televisivo – esempio significativo è l’opera di Giuseppe Linardi che si avvale della tecnica pixel – ma anche un modello da cui altri artisti si distaccano per volgere una maggior attenzione verso gli affetti privati, come Paolo Maggis o Santiago Ydañez, o verso questioni più strettamente autobiografiche riguardanti se stessi, ravvisabile nell’autoritratto di Alessandro Bulgini, o la propria quotidianità. I ritratti presenti in mostra, infatti, sono volti famosi oppure perfetti sconosciuti che fanno parte di un’esistenza interiore del tutto ignota allo spettatore, dimostrazione del bisogno e della volontà di una registrazione emozionale, totalmente all’opposto rispetto al modo di fare warholiano. Attraverso la pittura, l’interiorità individuale si riversa nelle pose dei corpi, nell’espressività dei volti e nella scelta di composizione, realistica o fantastica, frutto di una spinta artistica assolutamente personale.
Il ritratto, ormai non più solo celebrazione ed evocazione, viene dunque sviluppato e presentato in maniera variegata, ma sempre mantenendo un comune denominatore: alla base c’è un volto, un corpo, una presenza, la registrazione di un’esistenza, sia essa reale o fittizia. Rispetto ai canoni classici, però, qui siamo completamente all’opposto: l’oggettività, la perfezione descrittiva, l’iperrealismo, talvolta anche l’indagine psicologica, tipici del ritratto tradizionalmente inteso, vengono meno in favore di una visione personale mescolata a stili innovativi. Le circostanze esteriori ed estetiche, a cui l’artista del passato era legato, adesso non sono più importanti. L’artista è libero di scegliere e i punti di vista riguardano proprio questa scelta: ognuno di loro filtra la realtà attraverso i propri occhi e la propria sensibilità, ha un diverso modo di vedere e conseguentemente di operare, un punto di vista del tutto personale che lo porta a decidere quale tecnica usare, quale taglio adottare e quale valore conferire alla figura rappresentata, creando attraverso scelte interpretative, siano esse la spersonalizzazione, l’indagine psicologica o la pura concettualità.
Partendo dall’obiettività di Andy Warhol, che con la sua serigrafia ci dà una visione asettica del ritratto e del ritrarre, si passa a dipinti di stampo più intimistico e soggettivo di cui non possediamo la chiave di lettura, autoritratti più politicamente connotati, figure inventate appartenenti a un mondo fantastico, fino ad arrivare al concettuale: lo specchio di Cch, maliziosamente dedicato al collezionista, si configura come il ritratto per eccellenza, il ritratto primordiale, il primo ritratto che abbiamo di noi stessi, ovvero la nostra immagine riflessa.
Warhol, il primo sia in ordine cronologico che espositivo, ritrae volti di personaggi famosi che non vogliono comunicare altro che loro stessi, essere uno specchio della realtà senza alcun rimando a significati secondari impliciti. Si tratta di immagini dai colori vivaci e irreali, piatte, senza pathos, come se a produrle fosse una macchina, proprio ciò che Warhol intendeva essere: “Il motivo per cui dipingo così è perché voglio essere una macchina” , diceva. Le immagini non lasciano prospettive aperte, sono chiuse, già risolte. L’artista americano è dunque un punto di partenza che trova risonanza laddove si tratti di mettere in scena soggetti mediatici come se la tela fosse uno schermo televisivo – esempio significativo è l’opera di Giuseppe Linardi che si avvale della tecnica pixel – ma anche un modello da cui altri artisti si distaccano per volgere una maggior attenzione verso gli affetti privati, come Paolo Maggis o Santiago Ydañez, o verso questioni più strettamente autobiografiche riguardanti se stessi, ravvisabile nell’autoritratto di Alessandro Bulgini, o la propria quotidianità. I ritratti presenti in mostra, infatti, sono volti famosi oppure perfetti sconosciuti che fanno parte di un’esistenza interiore del tutto ignota allo spettatore, dimostrazione del bisogno e della volontà di una registrazione emozionale, totalmente all’opposto rispetto al modo di fare warholiano. Attraverso la pittura, l’interiorità individuale si riversa nelle pose dei corpi, nell’espressività dei volti e nella scelta di composizione, realistica o fantastica, frutto di una spinta artistica assolutamente personale.
06
dicembre 2014
Il Ritratto. Punti di Vista
Dal 06 dicembre 2014 al 18 gennaio 2015
arte moderna e contemporanea
Location
I SALOTTI
Carrara, Piazza Alberica, 5, (Massa-carrara)
Carrara, Piazza Alberica, 5, (Massa-carrara)
Orario di apertura
martedì e mercoledì ore 16 – 20, da giovedì a domenica ore 16 – 23
Vernissage
6 Dicembre 2014, ore 18.30
Autore
Curatore