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Giovanni Robustelli – Anime sante
L’esposizione, compresa nella rassegna “Palazzi aperti”, organizzata dal Comune di Ragusa in cartellone al Natale Barocco 2014-2015, raccoglie una selezione di soggetti religiosi – oli, disegni e acquerelli – di Giovanni Robustelli.
Comunicato stampa
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Si inaugura sabato 20 dicembre 2014, alle ore 18.00, presso il Museo della Cattedrale di Palazzo Garofalo a Ragusa, la mostra Anime sante, catalogo Aurea Phoenix Edizioni, a cura di Andrea Guastella. L’esposizione, compresa nella rassegna “Palazzi aperti”, organizzata dal Comune di Ragusa in cartellone al Natale Barocco 2014-2015, raccoglie una selezione di soggetti religiosi – oli, disegni e acquerelli – di Giovanni Robustelli.
Dal testo in catalogo di Andrea Guastella: “Non ogni uomo è santo, anche se tutti, secondo la Chiesa, sono chiamati a diventarlo, ma tutti i santi sono uomini dotati di caratteri specifici che, per una ragione o per l’altra, li hanno resi eccezionali. Su questi aspetti umani troppo umani della loro esperienza per un certo tempo – quello delle lotte iconoclaste – si è preferito soprassedere. Se infatti Cristo è l’unico, inesauribile modello, che bisogno c’è di filtrarne la lezione attraverso figure intermedie? Tutto ciò, senza dire che la stessa rappresentazione di Cristo, in quanto Dio e Uomo, comporta dei problemi: per capirci, qualora si dipinga l’Umanità di Cristo, che ne è della Divinità? Dopo lunghe e dolorose diatribe, ci si è infine decisi a rappresentare Cristo e i Santi modificandone accuratamente le sembianze, in modo da rendere palese la non coincidenza tra l’immagine e la realtà che raffigura. Oppure, in casi più rari, si è scelto di effigiare Cristo in forma di animali (una sopravvivenza di questa usanza risiede forse nelle bestiole che, nell’iconografia tradizionale, accompagnano Sant’Antonio, San Rocco o San Bernardo) secondo una logica apofatica per cui, essendo la Divinità concetto astratto e irraggiungibile, è più veritiera una dissomiglianza completa che una somiglianza apparente – qual è appunto quella riscontrata nell’umanizzazione dei tratti – in quanto rende evidente l’assoluta incommensurabilità tra l’umano e il trascendente. Ma, un momento. Non è forse il Cristo vero Dio e vero Uomo? Sulla base di tale fatidica certezza già a partire dal tardo Medioevo è iniziato un processo di normalizzazione che ha condotto, nel Rinascimento maturo, alla produzione di immagini somiglianti tanto alle presunte fattezze di Cristo (anzitutto quelle tramandate dalla Sindone) quanto a quelle dei Santi di cui, spesso e volentieri, si conservano le impronte, se non i cadaveri prodigiosamente incorrotti. E poi, in mancanza degli “originali”, gli artisti potevano sempre ricorrere a modelli di loro gradimento, come amici o fidanzate. L’usanza portò a eccessi e incomprensioni – emblematiche le polemiche intorno alle Madonne di Caravaggio belle come cortigiane – che rimasero “calde” sin quando, nell’Ottocento, la committenza ecclesiastica si affievolì sino a farsi marginale e i Santi e le Madonne divennero esclusivo appannaggio dell’arte profana. Penso alle Madonne di Dante Gabriele Rossetti, dove a farla da padrone è l’eros, talora nelle sue varianti più morbose, e la componente cristiana è ridotta al lumicino. Da allora a oggi la situazione non è molto cambiata. Gli artisti “colti” usano il sacro, solitamente denigrandolo, al solo scopo di sconvolgere gli sciocchi, mentre i Santi “per le chiese” si sono appiattiti a vuote riproduzioni di capolavori del passato, solitamente affidate a esecrabili copisti. Esistono tuttavia lodevoli eccezioni: opere che non si limitano a essere formalmente corrette e dottrinalmente ineccepibili, ma dimostrano uno stile; sono cioè dotate di un linguaggio comune quanto basta da poter venire compreso da chiunque e colto quanto basta da rivelare un’indole, un orientamento personale. Alcuni dei lavori di Giovanni Robustelli rientrano a pieno titolo in questa classificazione. Dico alcuni perché, come non tutti gli uomini sono santi, non tutti i quadri che riguardano i santi sono dipinti d’arte sacra. Lo sono, in questa mostra, i bozzetti per le due pale d’altare della Chiesa di Sant’Antonio a Comiso, con il Santo impegnato a predicare ai pesci e a ordinare, ascoltato, a una mula di inginocchiarsi di fronte l’Eucaristia per edificazione degli astanti. Lo sono forse anche le prime versioni di un dipinto ora ospitato nella Cappella Vescovile di Ragusa, la Vocazione di San Paolo. Gli altri, pur non essendo concepiti per il culto pubblico o privato, sono però lavori d’ispirazione religiosa, dove cioè il cristianesimo non è un semplice pretesto, ma il soggetto della rappresentazione. Questo non significa che Giovanni faccia apologetica. Qualora a dichiararlo non fosse l’autore, la grande Santa Rosalia potrebbe tranquillamente identificarsi con un’immagine profana, in nulla dissimile dall’Ofelia di Millais o da una Venere alla maniera di Tiziano. Il punto cui egli mira, mediante un’incredibile effervescenza di linee e di colori, è lo straordinario, il sorprendente. Elementi assenti nei “santini”, non certo nelle icone bizantine. Con la differenza che, nelle icone, questi principi sono riconducibili al Divino mediante una schematica costruzione intellettuale, nella pittura di Giovanni si riferiscono piuttosto alla sensibile potenza dell’umano. Nulla di strano, perciò, che, nel ritrarre San Francesco, egli rivolga l’attenzione a un aspetto del suo pensiero – l’amore per gli animali – capace di suscitare interesse nella nostra contingenza storica, che vede la natura come un bene da sfruttare e non come un anziano genitore da accudire. Anche il San Giovanni accigliato, con il dito che indica ciò che non è lecito, o il San Giorgio che combatte il proprio demone interiore, giusto per fare qualche esempio, potrebbero benissimo rifarsi all’attuale crisi della giustizia, con relativa perdita del senso di responsabilità individuale. Obiettivo della mostra è dunque quello di stimolare una seconda vista, capace di interrogare sotto la lente dell’arte la travagliata vita dei Santi per comprendere la nostra. Del resto, a che serve il calendario liturgico, se non a farci intraprendere un viaggio, un percorso di conoscenza e di crescita a contatto con l’Altro? Al termine del viaggio avremo forse un’opinione più precisa del rapporto tra eros e mente, ragione e fede, natura e cultura, vita terrena e ultraterrena. E di sicuro serberemo, come reliquia preziosa, le Anime sante di Giovanni Robustelli.
Post scriptum
Rileggendo il mio testo, mi sono imbattuto con raccapriccio nella parola “obiettivo”, che non emendo a mia vergogna, riguardo le intenzioni dell’arte di Giovanni. Ma l’arte vera non nasconde intenzioni che vadano oltre se stessa. Mi è quindi venuto in mente il primo titolo che egli aveva pensato per questi lavori: I fiori del bene. Non del male, dunque, ma pur sempre fiori. Meraviglie da cogliere nei prati colorati dei suoi predecessori, da Ernst a Beardsley a Blake sino a toccare il confine invalicabile di quello che Berenson definiva il più grande disegnatore di tutti i tempi, il sommo Botticelli. Mito (o fede) e disegno si fanno una cosa sola. Raramente la gioia, il dolore, il tormento, la quiete, il martirio hanno travato un’espressione più compiuta. Pare persino di cogliere, in certi tagli insoliti, nella concentrazione dello spazio e nella propensione all’arabesco, un che di giapponese, solo a tratti stemprato dal chiaroscuro delle carte più recenti. La visione di Giovanni è così vasta che persino il retaggio di certo gusto Liberty, per nulla strano in un figlio di Vittoria, città Liberty per eccellenza, anziché appesantire le immagini le rende familiari. Cosa altro dire? “A thing of beauty”, scriveva John Keats, “is a joy forever”. A ripensarci, non so proprio se l’incontro con queste Anime sante ci renderà maturi o consapevoli. So però per certo che ci farà dono – come sempre accade con l’arte di Giovanni, prescindendo dal soggetto – di un briciolo di gioia”.
Giovanni Robustelli è nato a Vittoria il 13 Settembre 1980. Ad oggi le opere di Giovanni Robustelli fanno parte di numerose collezioni private, italiane ed estere.
Dal testo in catalogo di Andrea Guastella: “Non ogni uomo è santo, anche se tutti, secondo la Chiesa, sono chiamati a diventarlo, ma tutti i santi sono uomini dotati di caratteri specifici che, per una ragione o per l’altra, li hanno resi eccezionali. Su questi aspetti umani troppo umani della loro esperienza per un certo tempo – quello delle lotte iconoclaste – si è preferito soprassedere. Se infatti Cristo è l’unico, inesauribile modello, che bisogno c’è di filtrarne la lezione attraverso figure intermedie? Tutto ciò, senza dire che la stessa rappresentazione di Cristo, in quanto Dio e Uomo, comporta dei problemi: per capirci, qualora si dipinga l’Umanità di Cristo, che ne è della Divinità? Dopo lunghe e dolorose diatribe, ci si è infine decisi a rappresentare Cristo e i Santi modificandone accuratamente le sembianze, in modo da rendere palese la non coincidenza tra l’immagine e la realtà che raffigura. Oppure, in casi più rari, si è scelto di effigiare Cristo in forma di animali (una sopravvivenza di questa usanza risiede forse nelle bestiole che, nell’iconografia tradizionale, accompagnano Sant’Antonio, San Rocco o San Bernardo) secondo una logica apofatica per cui, essendo la Divinità concetto astratto e irraggiungibile, è più veritiera una dissomiglianza completa che una somiglianza apparente – qual è appunto quella riscontrata nell’umanizzazione dei tratti – in quanto rende evidente l’assoluta incommensurabilità tra l’umano e il trascendente. Ma, un momento. Non è forse il Cristo vero Dio e vero Uomo? Sulla base di tale fatidica certezza già a partire dal tardo Medioevo è iniziato un processo di normalizzazione che ha condotto, nel Rinascimento maturo, alla produzione di immagini somiglianti tanto alle presunte fattezze di Cristo (anzitutto quelle tramandate dalla Sindone) quanto a quelle dei Santi di cui, spesso e volentieri, si conservano le impronte, se non i cadaveri prodigiosamente incorrotti. E poi, in mancanza degli “originali”, gli artisti potevano sempre ricorrere a modelli di loro gradimento, come amici o fidanzate. L’usanza portò a eccessi e incomprensioni – emblematiche le polemiche intorno alle Madonne di Caravaggio belle come cortigiane – che rimasero “calde” sin quando, nell’Ottocento, la committenza ecclesiastica si affievolì sino a farsi marginale e i Santi e le Madonne divennero esclusivo appannaggio dell’arte profana. Penso alle Madonne di Dante Gabriele Rossetti, dove a farla da padrone è l’eros, talora nelle sue varianti più morbose, e la componente cristiana è ridotta al lumicino. Da allora a oggi la situazione non è molto cambiata. Gli artisti “colti” usano il sacro, solitamente denigrandolo, al solo scopo di sconvolgere gli sciocchi, mentre i Santi “per le chiese” si sono appiattiti a vuote riproduzioni di capolavori del passato, solitamente affidate a esecrabili copisti. Esistono tuttavia lodevoli eccezioni: opere che non si limitano a essere formalmente corrette e dottrinalmente ineccepibili, ma dimostrano uno stile; sono cioè dotate di un linguaggio comune quanto basta da poter venire compreso da chiunque e colto quanto basta da rivelare un’indole, un orientamento personale. Alcuni dei lavori di Giovanni Robustelli rientrano a pieno titolo in questa classificazione. Dico alcuni perché, come non tutti gli uomini sono santi, non tutti i quadri che riguardano i santi sono dipinti d’arte sacra. Lo sono, in questa mostra, i bozzetti per le due pale d’altare della Chiesa di Sant’Antonio a Comiso, con il Santo impegnato a predicare ai pesci e a ordinare, ascoltato, a una mula di inginocchiarsi di fronte l’Eucaristia per edificazione degli astanti. Lo sono forse anche le prime versioni di un dipinto ora ospitato nella Cappella Vescovile di Ragusa, la Vocazione di San Paolo. Gli altri, pur non essendo concepiti per il culto pubblico o privato, sono però lavori d’ispirazione religiosa, dove cioè il cristianesimo non è un semplice pretesto, ma il soggetto della rappresentazione. Questo non significa che Giovanni faccia apologetica. Qualora a dichiararlo non fosse l’autore, la grande Santa Rosalia potrebbe tranquillamente identificarsi con un’immagine profana, in nulla dissimile dall’Ofelia di Millais o da una Venere alla maniera di Tiziano. Il punto cui egli mira, mediante un’incredibile effervescenza di linee e di colori, è lo straordinario, il sorprendente. Elementi assenti nei “santini”, non certo nelle icone bizantine. Con la differenza che, nelle icone, questi principi sono riconducibili al Divino mediante una schematica costruzione intellettuale, nella pittura di Giovanni si riferiscono piuttosto alla sensibile potenza dell’umano. Nulla di strano, perciò, che, nel ritrarre San Francesco, egli rivolga l’attenzione a un aspetto del suo pensiero – l’amore per gli animali – capace di suscitare interesse nella nostra contingenza storica, che vede la natura come un bene da sfruttare e non come un anziano genitore da accudire. Anche il San Giovanni accigliato, con il dito che indica ciò che non è lecito, o il San Giorgio che combatte il proprio demone interiore, giusto per fare qualche esempio, potrebbero benissimo rifarsi all’attuale crisi della giustizia, con relativa perdita del senso di responsabilità individuale. Obiettivo della mostra è dunque quello di stimolare una seconda vista, capace di interrogare sotto la lente dell’arte la travagliata vita dei Santi per comprendere la nostra. Del resto, a che serve il calendario liturgico, se non a farci intraprendere un viaggio, un percorso di conoscenza e di crescita a contatto con l’Altro? Al termine del viaggio avremo forse un’opinione più precisa del rapporto tra eros e mente, ragione e fede, natura e cultura, vita terrena e ultraterrena. E di sicuro serberemo, come reliquia preziosa, le Anime sante di Giovanni Robustelli.
Post scriptum
Rileggendo il mio testo, mi sono imbattuto con raccapriccio nella parola “obiettivo”, che non emendo a mia vergogna, riguardo le intenzioni dell’arte di Giovanni. Ma l’arte vera non nasconde intenzioni che vadano oltre se stessa. Mi è quindi venuto in mente il primo titolo che egli aveva pensato per questi lavori: I fiori del bene. Non del male, dunque, ma pur sempre fiori. Meraviglie da cogliere nei prati colorati dei suoi predecessori, da Ernst a Beardsley a Blake sino a toccare il confine invalicabile di quello che Berenson definiva il più grande disegnatore di tutti i tempi, il sommo Botticelli. Mito (o fede) e disegno si fanno una cosa sola. Raramente la gioia, il dolore, il tormento, la quiete, il martirio hanno travato un’espressione più compiuta. Pare persino di cogliere, in certi tagli insoliti, nella concentrazione dello spazio e nella propensione all’arabesco, un che di giapponese, solo a tratti stemprato dal chiaroscuro delle carte più recenti. La visione di Giovanni è così vasta che persino il retaggio di certo gusto Liberty, per nulla strano in un figlio di Vittoria, città Liberty per eccellenza, anziché appesantire le immagini le rende familiari. Cosa altro dire? “A thing of beauty”, scriveva John Keats, “is a joy forever”. A ripensarci, non so proprio se l’incontro con queste Anime sante ci renderà maturi o consapevoli. So però per certo che ci farà dono – come sempre accade con l’arte di Giovanni, prescindendo dal soggetto – di un briciolo di gioia”.
Giovanni Robustelli è nato a Vittoria il 13 Settembre 1980. Ad oggi le opere di Giovanni Robustelli fanno parte di numerose collezioni private, italiane ed estere.
20
dicembre 2014
Giovanni Robustelli – Anime sante
Dal 20 dicembre 2014 al 10 gennaio 2015
arte contemporanea
Location
MUSEO DELLA CATTEDRALE – PALAZZO GAROFALO
Ragusa, Corso Italia, 87, (Ragusa)
Ragusa, Corso Italia, 87, (Ragusa)
Orario di apertura
ore 10.00 – 12.00, 16.00 – 20.00
Vernissage
20 Dicembre 2014, h 18
Autore
Curatore