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Italo Ghilardi – Repetita Iuvant
E’ più un interrogativo che una sentenza quello che Italo Ghilardi propone con una serie di grafiche di enigmatica, raffinata cadenza. Alle pareti si squaderna un repertorio naturalistico delle varietà di Bambuseae degna di un gabinetto scientifico, con tanto di progressione aritmetica da inventario
Comunicato stampa
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Repetita iuvant? è più un interrogativo che una sentenza quello che Italo Ghilardi propone con una serie di
grafiche di enigmatica, raffinata cadenza. L’adagio latino ben si presta al principio ripetitivo, quasi ipnotico, con
cui lo stesso modulo (an)iconico viene iterato all’infinito sulle carte, ma l’operazione artistica gioca, in chiave
contemporanea, tra calligrafia e serialità, tra prototipo e multiplo, e lascia di proposito ampio margine alla libera
interpretazione, al legittimo dubbio.
Alle pareti si squaderna un repertorio naturalistico delle varietà di Bambuseae (volgarmente Bamboo o Bambù)
degna di un gabinetto scientifico, con tanto di progressione aritmetica da inventario conservativo.
Ma il primo inganno della visione, sollecitato dal modello enciclopedico, si svela da vicino nel dettaglio del segno,
si dipana nella trama degli inchiostri, nell’intermittenza del monocromo. Non è più il catalogo di specie vegetali
il tema del percorso. Anzi, non lo era mai stato. A ripetersi sulla carta non è l’oggetto della rappresentazione ma il processo di rappresentazione. Le canne del bambù sono icone per pensare il principio della loro elaborazione,
per sollecitare una riflessione ogni volta rinnovata su ciò che fa nascere un’opera. Su ciò che la costruisce, sulla
sua realtà in quanto tale.
Nel recupero, ancora una volta, della manualità, del valore “artigianale” rivendicato a tutti i costi all’arte. Una manualità che può permettersi anche di sfidare, a modo suo, quell’idea di serie, di multiplo, di replica che tanto ha
scosso e rivoluzionato il mondo delle arti visive degli ultimi cinquant’anni.
Una manualità che si propone per se stessa, come disciplina ricondotta alla semplice, lineare traccia del pennello sul foglio, come esercizio del pensiero e dello spirito, come ritorno all’essenza.
L’artista risale così a un’insolita forma-matrice: è la struttura elementare, magicamente cava, straordinariamente versatile, della canna del bambù, una pianta dalla millenaria valenza simbolica e dall’incredibile potenzialità d’uso.
Recentemente ridefinito “l’acciaio verde del XXI secolo”, il bambù ha conosciuto infiniti impieghi nell’arte di tutte
le civiltà, a partire dalle antiche pitture monocrome cinesi dello stile “sumi - e” (= “inchiostro nero - pittura”) di cui
era il soggetto privilegiato, fino ad arrivare all’odierno trend architettonico che lo vede protagonista di operazioni
d’immagine come la struttura “Big bambù” di Mike e Doug Starn, 25 metri di altezza praticabili, oggi al MACRO
Testaccio a Roma.
C’è molto oriente, consapevole o meno, nel gesto di Italo Ghilardi. Il tratto unico del pennello, paziente e ininterrotto, ripetitivo e modulare, segue il rigore di una ricerca sul segno, sul rapporto tra questo e lo spazio. Ma
segue anche il ritmo di una meditazione, di un movimento in profondità che stabilisce un legame con la natura
di ciò che si rappresenta e con il senso simbolico che esso ricopre.
Senza prefiggersi una logica figurativa e percorrendo solo in apparenza una logica campionaria, le grafiche di
Ghilardi propongono forme e modi di antichissima tradizione tradotti in pattern contemporanei, dove l’unicità
dell’intervento pittorico si trasforma in calcolata, ma non per questo prevedibile né ovvia, serialità grafica.
Stefania Burnelli
grafiche di enigmatica, raffinata cadenza. L’adagio latino ben si presta al principio ripetitivo, quasi ipnotico, con
cui lo stesso modulo (an)iconico viene iterato all’infinito sulle carte, ma l’operazione artistica gioca, in chiave
contemporanea, tra calligrafia e serialità, tra prototipo e multiplo, e lascia di proposito ampio margine alla libera
interpretazione, al legittimo dubbio.
Alle pareti si squaderna un repertorio naturalistico delle varietà di Bambuseae (volgarmente Bamboo o Bambù)
degna di un gabinetto scientifico, con tanto di progressione aritmetica da inventario conservativo.
Ma il primo inganno della visione, sollecitato dal modello enciclopedico, si svela da vicino nel dettaglio del segno,
si dipana nella trama degli inchiostri, nell’intermittenza del monocromo. Non è più il catalogo di specie vegetali
il tema del percorso. Anzi, non lo era mai stato. A ripetersi sulla carta non è l’oggetto della rappresentazione ma il processo di rappresentazione. Le canne del bambù sono icone per pensare il principio della loro elaborazione,
per sollecitare una riflessione ogni volta rinnovata su ciò che fa nascere un’opera. Su ciò che la costruisce, sulla
sua realtà in quanto tale.
Nel recupero, ancora una volta, della manualità, del valore “artigianale” rivendicato a tutti i costi all’arte. Una manualità che può permettersi anche di sfidare, a modo suo, quell’idea di serie, di multiplo, di replica che tanto ha
scosso e rivoluzionato il mondo delle arti visive degli ultimi cinquant’anni.
Una manualità che si propone per se stessa, come disciplina ricondotta alla semplice, lineare traccia del pennello sul foglio, come esercizio del pensiero e dello spirito, come ritorno all’essenza.
L’artista risale così a un’insolita forma-matrice: è la struttura elementare, magicamente cava, straordinariamente versatile, della canna del bambù, una pianta dalla millenaria valenza simbolica e dall’incredibile potenzialità d’uso.
Recentemente ridefinito “l’acciaio verde del XXI secolo”, il bambù ha conosciuto infiniti impieghi nell’arte di tutte
le civiltà, a partire dalle antiche pitture monocrome cinesi dello stile “sumi - e” (= “inchiostro nero - pittura”) di cui
era il soggetto privilegiato, fino ad arrivare all’odierno trend architettonico che lo vede protagonista di operazioni
d’immagine come la struttura “Big bambù” di Mike e Doug Starn, 25 metri di altezza praticabili, oggi al MACRO
Testaccio a Roma.
C’è molto oriente, consapevole o meno, nel gesto di Italo Ghilardi. Il tratto unico del pennello, paziente e ininterrotto, ripetitivo e modulare, segue il rigore di una ricerca sul segno, sul rapporto tra questo e lo spazio. Ma
segue anche il ritmo di una meditazione, di un movimento in profondità che stabilisce un legame con la natura
di ciò che si rappresenta e con il senso simbolico che esso ricopre.
Senza prefiggersi una logica figurativa e percorrendo solo in apparenza una logica campionaria, le grafiche di
Ghilardi propongono forme e modi di antichissima tradizione tradotti in pattern contemporanei, dove l’unicità
dell’intervento pittorico si trasforma in calcolata, ma non per questo prevedibile né ovvia, serialità grafica.
Stefania Burnelli
12
dicembre 2014
Italo Ghilardi – Repetita Iuvant
Dal 12 dicembre 2014 al 17 gennaio 2015
arte contemporanea
Location
VIAMORONISEDICI SPAZIOARTE
Bergamo, Via Giambattista Moroni, 16 , (Bergamo)
Bergamo, Via Giambattista Moroni, 16 , (Bergamo)
Orario di apertura
da giovedì a sabato dalle ore 16.00 alle 19.00
Vernissage
12 Dicembre 2014, ore 18:00
Autore