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23
luglio 2009
DE-SIGN E RE-SIGN
Politica e opinioni
di ginevra bria
L’arte e il design, l’arte o il design. Fra opere in serie, ma limitata, e multipli d’artista la differenza si assottiglia sempre più. E quando c’è di mezzo il diritto d’autore, le cose si complicano. Intanto, a Venezia, la caffetteria di Rehberger ricorda molto da vicino un certo Markus Benesch...
L’arte e il design, l’arte o il design. Fra opere in serie, ma limitata, e multipli d’artista la differenza si assottiglia sempre più. E quando c’è di mezzo il diritto d’autore, le cose si complicano. Intanto, a Venezia, la caffetteria di Rehberger ricorda molto da vicino un certo Markus Benesch...
di Ginevra Bria
“L’artista opera con la fantasia, mentre il design usa la creatività”, scrive Bruno Munari, nel 1971, in Artista e designer. “Naturalmente non sempre l’artista usa la fantasia, ma questa è una delle caratteristiche presente in minore o maggiore quantità in quasi tutte le opere d’arte”, prosegue Munari. “Eppure la fantasia è una facoltà dello spirito capace di inventare immagini mentali diverse dalla realtà nei particolari o nell’insieme; immagini che possono anche essere irrealizzabili praticamente. Mentre la creatività è una capacità produttiva dove fantasia e ragione sono collegate per cui il risultato che si ottiene è sempre realizzabile praticamente”.
Oggi, nel 2009, l’arte e il design non sono più tanto diversi, concedendosi il lusso di darsi battaglia a definizioni invisibili. Oggi le pratiche dell’arte contemporanea e il limited-edition design restano due dimensioni senza soluzione di continuità, alla strenua ricerca di una legge che ne tuteli la forma espressiva, quindi i rispettivi diritti d’autore. In Italia, ad esempio, a seguito dell’adattamento alle norme della Comunità Europea, nel 2001 l’elenco delle opere protette dalla legge sul diritto d’autore è stato modificato, inserendo al suo interno le opere del design industriale che, oltre al requisito della creatività (prerogativa generale di tutte le opere dell’ingegno tutelate dalla legge sul diritto d’autore e definibile come l’apporto individuale dell’autore quale sua estrinsecazione soggettiva) presentino anche un “valore artistico”.
Il design d’autore, quello che, per intendersi, si trova nei musei di design di tutto il mondo, venduto in Italia dai soggetti più disparati, che forniscono le garanzie più incredibili sull’originalità della loro merce, trova dunque, nel febbraio 2001, il proprio statuto di legalità. L’oggetto di design comincia ad avere il potere di rivendicare royalty e diritti d’autore p. Attualmente viene da chiedersi come in pratica è identificato il “valore artistico” del design ai fini dell’applicazione della disciplina sul diritto d’autore.
Ulteriori indici per determinare il valore artistico di un’opera d design sono stati rinvenuti nel grado di libertà di cui il designer dispone nell’ambito della attività di progettazione, nel grado di diversità dell’opera di design rispetto al patrimonio delle forme esistenti e nella disponibilità del pubblico a pagare prezzi più elevati per prodotti pur equivalenti ad altri sotto il profilo strettamente tecnico-funzionale.
Una soluzione prêt-a-porter in merito alla distinzione ra arte e design potrebbe essere la famigerata design art e la sua giovane “inventrice” (la greco-italo-austriaca Ambra Medda, classe 1981). Insieme al compagno Craig Robins, Medda ha creato Design Miami/Basel, la più importante rassegna internazionale dedicata alla design art: il nome con il quale le case d’asta Phillips e Christie’s hanno battezzato quei pezzi unici o in serie limitata di maestri come Giò Ponti, Alvar Aalto o Fornasetti, per i quali sono disposti a comprare a cifre impensabili collezionisti e appassionati. Tra cui i curatori del Moma di New York e del Victoria & Albert Museum di Londra, nonché collezionisti del calibro di Miuccia Prada e François Pinault, proprietario di Gucci, Christie’s e Palazzo Grassi. La stessa Medda, intervistata a proposito del suo libro (Destination: Limited-Edition Design), sostiene che “i designer di limited edition art/design sono dei veri creativi. Artisti o designer per me è lo stesso. Perché entrambi sono coinvolti nel processo creativo che può essere sia un lavoro manuale, sia di computer sia tramite tante altre forme più stravaganti”.
Forse, in questo caso, Munari avrebbe da controbattere. Ma chi di noi è mai riuscito a sedersi sulla sua Seggiola per sedute brevi, attualmente in produzione da Zanotta? E chi oserebbe mai appoggiare il proprio didietro sulle forme organiche di Nacho Carbonell, sulle malformazioni di Martino Gamper, sopra le imbastiture di Rolf Sachs o sui profili elettrici di Gord Peteran? Quanti, ancora, sarebbero disposti più semplicemente a mettere fiori nei vasi sciolti di Pieke Bergmans o ad appoggiarsi ad uno dei suoi Early table?
I designer, oggi, grazie alla possibilità di creare collezioni a tiratura limitata, stanno rendendo gli oggetti vivibili degli oggetti visibili.Inoltre, come osservò un giorno Duilio Gregorini, ex direttore marketing di Zanotta e vero patron del design italiano, “oggi persino i soli disegni preparatori di Gaetano Pesce possono essere esposti nelle sale dei musei come se fossero opere d’arte autonome”. In spazi pubblici e gallerie private di tutto il mondo, infatti, artisti e designer partecipano, sempre più frequentemente, alle stesse mostre collettive, rientrando peraltro a far parte delle medesime collezioni. E poco importa definirsi artisti o designer: quel che conta è cambiarsi più volte i propri ruoli e talvolta i punti di vista.
Un caso curioso sull’argomento, peraltro nostrano, può essere rappresentato dagli scambi tra Tobias Rehberger e Markus Benesch. Durante l’edizione del Salone del Mobile 2008, entrambi parteciparono a Milano alla mostra dal titolo Crossing, presentando negli spazi della Galleria Post Design opere ibride, definibili come art furniture. A distanza di un anno, Rehberger partecipa alla 53. Biennale di Venezia e viene premiato dalla giuria con il Leone d’Oro come miglior artista”.
Viene da chiedersi se il primo (Rehberger) conosca il lavoro del secondo (Benesh), , pubblicato nel 2004. Date le differenze che intercorrono tra la definizione di installazione artistica e quella di interior design, o semplicemente di oggetto di design, chi è pronto a giurare che la stanza a spot del Bar Caffeteria ai Giardini allestita da Rehberger sia completamente diversa da Colorflage di Benesh? La questione è aperta. Eppure, quanto è artista colui che interviene su un luogo senza cambiarne la funzionalità al pubblico? E quanto, invece, è definibile come designer chi attiva artisticamente spazi allestiti per la mera esposizione al pubblico?
La soluzione, per fortuna, non esiste, anche se similitudini e dejà-vu, quest’anno in Biennale, sono stati eclatanti (si pensi a Death Row di Navarro al Padiglione Cile e l’opera di Paolo Scirpa, immutata e potente fin dalla metà degli anni ‘70). Ma da quando l’arte contemporanea, per stupire, ha distrutto ogni cornice, mettendo a soqquadro i propri limiti spazio-temporali, non resta che la parola, unico strumento della diversità, dall’interno delle cose in sé.
Oggi, nel 2009, l’arte e il design non sono più tanto diversi, concedendosi il lusso di darsi battaglia a definizioni invisibili. Oggi le pratiche dell’arte contemporanea e il limited-edition design restano due dimensioni senza soluzione di continuità, alla strenua ricerca di una legge che ne tuteli la forma espressiva, quindi i rispettivi diritti d’autore. In Italia, ad esempio, a seguito dell’adattamento alle norme della Comunità Europea, nel 2001 l’elenco delle opere protette dalla legge sul diritto d’autore è stato modificato, inserendo al suo interno le opere del design industriale che, oltre al requisito della creatività (prerogativa generale di tutte le opere dell’ingegno tutelate dalla legge sul diritto d’autore e definibile come l’apporto individuale dell’autore quale sua estrinsecazione soggettiva) presentino anche un “valore artistico”.
Il design d’autore, quello che, per intendersi, si trova nei musei di design di tutto il mondo, venduto in Italia dai soggetti più disparati, che forniscono le garanzie più incredibili sull’originalità della loro merce, trova dunque, nel febbraio 2001, il proprio statuto di legalità. L’oggetto di design comincia ad avere il potere di rivendicare royalty e diritti d’autore p. Attualmente viene da chiedersi come in pratica è identificato il “valore artistico” del design ai fini dell’applicazione della disciplina sul diritto d’autore.
Ulteriori indici per determinare il valore artistico di un’opera d design sono stati rinvenuti nel grado di libertà di cui il designer dispone nell’ambito della attività di progettazione, nel grado di diversità dell’opera di design rispetto al patrimonio delle forme esistenti e nella disponibilità del pubblico a pagare prezzi più elevati per prodotti pur equivalenti ad altri sotto il profilo strettamente tecnico-funzionale.
Una soluzione prêt-a-porter in merito alla distinzione ra arte e design potrebbe essere la famigerata design art e la sua giovane “inventrice” (la greco-italo-austriaca Ambra Medda, classe 1981). Insieme al compagno Craig Robins, Medda ha creato Design Miami/Basel, la più importante rassegna internazionale dedicata alla design art: il nome con il quale le case d’asta Phillips e Christie’s hanno battezzato quei pezzi unici o in serie limitata di maestri come Giò Ponti, Alvar Aalto o Fornasetti, per i quali sono disposti a comprare a cifre impensabili collezionisti e appassionati. Tra cui i curatori del Moma di New York e del Victoria & Albert Museum di Londra, nonché collezionisti del calibro di Miuccia Prada e François Pinault, proprietario di Gucci, Christie’s e Palazzo Grassi. La stessa Medda, intervistata a proposito del suo libro (Destination: Limited-Edition Design), sostiene che “i designer di limited edition art/design sono dei veri creativi. Artisti o designer per me è lo stesso. Perché entrambi sono coinvolti nel processo creativo che può essere sia un lavoro manuale, sia di computer sia tramite tante altre forme più stravaganti”.
Forse, in questo caso, Munari avrebbe da controbattere. Ma chi di noi è mai riuscito a sedersi sulla sua Seggiola per sedute brevi, attualmente in produzione da Zanotta? E chi oserebbe mai appoggiare il proprio didietro sulle forme organiche di Nacho Carbonell, sulle malformazioni di Martino Gamper, sopra le imbastiture di Rolf Sachs o sui profili elettrici di Gord Peteran? Quanti, ancora, sarebbero disposti più semplicemente a mettere fiori nei vasi sciolti di Pieke Bergmans o ad appoggiarsi ad uno dei suoi Early table?
I designer, oggi, grazie alla possibilità di creare collezioni a tiratura limitata, stanno rendendo gli oggetti vivibili degli oggetti visibili.Inoltre, come osservò un giorno Duilio Gregorini, ex direttore marketing di Zanotta e vero patron del design italiano, “oggi persino i soli disegni preparatori di Gaetano Pesce possono essere esposti nelle sale dei musei come se fossero opere d’arte autonome”. In spazi pubblici e gallerie private di tutto il mondo, infatti, artisti e designer partecipano, sempre più frequentemente, alle stesse mostre collettive, rientrando peraltro a far parte delle medesime collezioni. E poco importa definirsi artisti o designer: quel che conta è cambiarsi più volte i propri ruoli e talvolta i punti di vista.
Un caso curioso sull’argomento, peraltro nostrano, può essere rappresentato dagli scambi tra Tobias Rehberger e Markus Benesch. Durante l’edizione del Salone del Mobile 2008, entrambi parteciparono a Milano alla mostra dal titolo Crossing, presentando negli spazi della Galleria Post Design opere ibride, definibili come art furniture. A distanza di un anno, Rehberger partecipa alla 53. Biennale di Venezia e viene premiato dalla giuria con il Leone d’Oro come miglior artista”.
Viene da chiedersi se il primo (Rehberger) conosca il lavoro del secondo (Benesh), , pubblicato nel 2004. Date le differenze che intercorrono tra la definizione di installazione artistica e quella di interior design, o semplicemente di oggetto di design, chi è pronto a giurare che la stanza a spot del Bar Caffeteria ai Giardini allestita da Rehberger sia completamente diversa da Colorflage di Benesh? La questione è aperta. Eppure, quanto è artista colui che interviene su un luogo senza cambiarne la funzionalità al pubblico? E quanto, invece, è definibile come designer chi attiva artisticamente spazi allestiti per la mera esposizione al pubblico?
La soluzione, per fortuna, non esiste, anche se similitudini e dejà-vu, quest’anno in Biennale, sono stati eclatanti (si pensi a Death Row di Navarro al Padiglione Cile e l’opera di Paolo Scirpa, immutata e potente fin dalla metà degli anni ‘70). Ma da quando l’arte contemporanea, per stupire, ha distrutto ogni cornice, mettendo a soqquadro i propri limiti spazio-temporali, non resta che la parola, unico strumento della diversità, dall’interno delle cose in sé.
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Rehberger alla Fondazione Prada
Resign
ginevra bria
[exibart]
La crisi (fisiologica e sana) dell’arte contemporanea è testimoniata da questa legittima deriva da design raffinato. Artigianato raffinato e colto che in buona e cattiva fede vuole essere legittimato come opera d’arte. E invece l’opera d’arte dovrebbe avere una gradiente diverso e inconfondibile. Pultroppo siamo subissati da giovani artisti che non sono altro che impiegati di lusso per un sistema chiuso, sacciente, arrogante e incomprensibilmente snob. Molti critici (scrivetemi per i nomi) nascondono la loro poca intelligenza, la loro incapacità, la loro poca voglia di lavorare dietro la facciata di questo sistema pretenzioso e sacciente.
Credo che questo link possa aggiungere qualcosa alla discussione 🙂
http://www.resign.it
Ciao.
Andrea
Cari Resign,
non male il vostro approccio….molto interessante, anche rispetto ad alcune degenerazione dell’arte nel design:
http://www.plusdesigngallery.com/
Caro Luca Rossi, due dritte:
“Pultroppo” si scrive purtroppo… e “sacciente” si scrive saccente.
I critici saranno pure poco intelligenti, ma tu pure poco istruito… W LUCA ROSSI “TRUE” (o “false”, tanto è un fantasma della rete…)
Caro Piero,
ero su un ponte quando ho scritto “pultroppo” e “sacciente”. Allora vale di più il mio equilibrismo o la tua didattica? E poi, mai scritto che i critici sono poco intelligenti (frase inutile e qualunquista). Ti invito ad una maggiore attenzione.
Caro Luca, ma quanti ponti frequenti?
Prova a dare un’occhio sul tuo blog… ad una veloce verifica ho trovato ben 4 “pultroppo”…
scusa signora maestra, però pubblicando con la mia frequenza e in luogi disparati un po’ di refusi sono fisiologici….è il prezzo della velocità…
è il prezzo dell’ignoranza e pure grave! e ti dirò che hai pure rotto i c******i da un pezzo…
“chi scrive male, pensa male e vive male”
te lo ha chiesto il dottore di scrivere anche sui ponti? forse dovresti pensare di più e scrivere di meno
A me sembrate dei “bacchettoni”. Siete ottusamente fermi su alcune sviste di battitura e non siete in grado di gestire i “contenuti”. Immagino anche i contenuti della vostra vita. Come mettere le pedanine per camminare in casa e non saper gestire le relazioni umane. Si parlava dell’articolo sopra, ma a quanto pare non siete in grado di argomentare e sapete solo proporre astio fine a se stesso.
le pedanine?
le parole sono importanti!!!!!
Ma quanta rabbia, quanto astio nelle tue parole Luca o chiunque si nasconda dietro questo pseudonimo…
Il mio invito a migliorare la tua disastrata grammatica si è subito trasformato in una incomprensibile serie di sentenze negative. Addirittura accusi i tuoi interlocutori di non essere in grado di gestire “contenuti” opinabili (e questo il punto? credi siano inopinabili?)o persino le proprie vite… davvero sgradevole.
Credi davvero sia loro concesso solo il privilegio di veder sparire dal tuo blog i loro commenti seguendo una presunta fluidità che di essi non tiene conto?
Mi dispiaccio che una mia semplice ed ironica notazione sia potuta degenerare in così malo modo. Di una cosa sola posso però rallegrarmi: hai corretto i “pultroppo” sul tuo blog… almeno a te questo scambio di messaggi è servito.
Scusate, i commenti negativi dal blog non li tolgo, a patto che siano argomentati e non siano offese gratuite. Anzi mi stimolano molto di più le critiche che le lodi. Io non offendo nessuno nel blog. Continuare a parlare degli errori grammaticali, dopo un po’ mi sembra limitativo…mi sembra un modo per non parlare dei contenuti. Tutto quà, non mi piace essere sgradevole e non mi piace la polemica fine a se stessa.
scusa se insisto… ma quà con l’accento… forse devi tornare a squola?
ti prego dai…l’ho fatto apposta…siete tremendi… : )
trovo sconfortante constatare che i commenti si siano concentrati sull’ortografia e la grammatica del prezzemolino Luca Rossi invece che su quello che è un invito al dibattito, un atteggiamento comunque apprezzabile, malgrado la tendenza del nostro a pontificare in maniera un po’ talebana…
Caro Morimura chi scrive queste cose invita al dibattito?
“Molti critici (scrivetemi per i nomi) nascondono la loro poca intelligenza, la loro incapacità, la loro poca voglia di lavorare dietro la facciata di questo sistema pretenzioso e sacciente.”
Francamente a me sembrano solo deliri di un analfabeta che non è riuscito ad entrare (ancora) nel sistema (ma ho visto che Luca Rossi ha già una pagina su Flash Art che sulle polemiche ha fatto la propria fortuna).
Magari fossero delle critiche serie, motivate, specifiche. Purtroppo la pochezza (e la vaghezza) del contenuto è pari alla dimestichezza con la lingua italiana.
appunto Palombella, a te.
Finalmente un appunto stimolante. Il sistema italia vive una precarietà (economica e culturale) che rende la posta in gioco bassa. Questo disincentiva i giovani operatori e rende gli operatori senior una sorta di baroni che mirano a tenersi stretto il proprio orticello. Per questo c’è poca voglia di approfondire, e si finisce per sposare le scelte di pochi (una decina di gerarchi del sistema) per rassicurare tutti, non perdere quel poco che si ha, e sperare in qualche briciola in più. Scrivo per esperienza personale e non per delirio. Faccio anche molti errori di ortografia, perchè batto le dita con una certa energia sulla tastiera. Cara palombella rossa. Forse tu conduci una vita più serena che ti permette di prestare maggiore attenzione al dettaglio ortografico. Io non ho questo lusso.
a me quella di luca rossi sembra una critica chiara e precisa. Poi ne possiamo parlare. Se però entra nello specifico, portando esempi, lo criticate lo stesso. Allora cosa bisogna fare??? Stare zitti come prima di whitehouse??? Ditemi voi.
Dici che “c’è poca voglia di approfondire” ma non ti rendi conto che proprio la fretta e la voglia di intervenire sempre e su tutto che rende i tuoi interventi superficiali e “innocui” tanto che Politi ti accoglie sul circo mediale di Flash Art?
“Faccio anche molti errori di ortografia, perchè batto le dita con una certa energia sulla tastiera.”
No, se scrivi sacciente due volte vuol dire che non sai come si scrive. Possiamo imputare questa tua ignoranza alla scuola italiana al tuo mancato impegno… ma non alla fretta e nemmeno alla tua energia.
“Cara palombella rossa. Forse tu conduci una vita più serena che ti permette di prestare maggiore attenzione al dettaglio ortografico. Io non ho questo lusso.”
La forma in cui ti esprimi non è un dettaglio. L’arte sono i dettagli, le sfumature. Se non capisci questo ti consiglio di cambiare mestiere.
palombella, atteniamoci ai contenuti. Probabilmente io non voglio uccidere nessuno con i miei interventi, quindi “innocui” è una parola ambigua. Forse tu vorresti uccidere qualcuno. Comunque come maestrina andresti benissimo. ; )
Io non ho nulla contro le maestrine… soprattutto se servono a correggere chi continua a fare errori e a non capire il senso delle parole. I tuoi testi sono pieni di contraddizioni, purtroppo, però, neanche te ne accorgi: devo fare la maestrina o uccidere qualcuno? non puoi dirmi due cose così contraddittorie insieme, altrimenti non si capisce cosa dici e ne risulta solo estremo tentativo di difesa attaccando alla cieca.
Garzanti linguistica:
innocuo
Definizione agg.
che non nuoce; che non fa male: un medicinale, un serpente innocuo; scherzi innocui | una persona innocua, incapace di fare del male; (spreg.) persona che non conta nulla o debole, inetta
ti sembra che c’entri qualcosa con uccidere qualcuno?
Purtroppo anche questa tua replica dimostra quanto ognuno dei tuoi interventi pecchi di pressapochismo (per capire puoi andare a http://www.demauroparavia.it) ed è pretestuoso: cerchi di sparare nel mucchio senza informazioni e soprattutto senza la necessaria cultura. Il risultato finale è quindi risibile e tu sei innocuo, non danneggi il sistema. E la riprova è che ti fanno scrivere su Flash Art…
Lasciamo perdere le elucubrazioni sulla parola innocuo..non ho capito niente di quello che hai scritto. Apparte questo io non voglio danneggiare il sistema (ma siete fissati con la rivoluzione contro il sistema!che noia..), vorrei solo creare un contesto critico totalmente assente in italia…e quindi flash art va benissimo…fino a quano accetteranno i miei pezzi, poi non ci scriverò più…
Appunto non hai capito niente. Forse invece di cercare solo di scrivere (male) dovresti studiare un po’? forse dovresti rincontrare la tua maestrina (che evidentemente odiavi tanto) e farti suggerire qualche bel libro?
Continuerai a scrivere su Flash Art finchè la gente non ti conoscerà: questo è il tuo scopo. Il contesto critico si costruisce facendo critica non polemica.