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L’arte rigenerata di Rocco Borella (1920-1994)
Sabato 22 novembre 2014 la mostra “L’arte rigenerata di Rocco Borella (1920 – 1994)” a cura di Mario Napoli in collaborazione con l’Associazione Rocco Borella. La mostra resterà aperta fino al 23 dicembre 2014 con orario 15:30 – 19:00
Comunicato stampa
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“L’ARTE RIGENERATA DI ROCCO BORELLA (1920-1994)”
MOSTRA COMMEMORATIVA A 20 ANNI DALLA SCOMPARSA DELL’ARTISTA
Gianfranco De Ferrari1, Giulia Strada2, Renata Besta Cheli3 , Giuseppe Martucciello4
Siamo riconoscenti a SATURA art gallery di aver avuto la sensibilità di commemorare i venti anni dalla morte dell’Artista genovese con una Mostra Personale in collaborazione con l’Associazione Culturale Rocco Borella, mettendo a disposizione gli ampi spazi di Palazzo Stella a Genova.
Il titolo della Mostra deriva dalla denominazione data dallo stesso pittore alla sua arte. Qui è stato scelto in quanto la sua è un’arte rigenerata nel senso di rivoluzionaria, poiché segue la sua intelligenza nativa, la sua capacità di cogliere il massimo dalla situazione circostante senza però rimanervi pedissequamente legato. Allo stesso tempo poiché è un arte che si genera continuamente basandosi sulla sua ricerca instancabile e che rinasce su se stessa in quanto la sua parabola artistica è spesso caratterizzata, in vari momenti, da una sorta di autocitazione e ripresa di temi passati.
Scrive infatti lui stesso, a risposta della presentazione fatta da G. C. Argan per una esposizione a Saint Vincent nel 1972, “io lavoro per me e per gli altri e mi sono appropriato, inventato un termine, per fare arte: (ARTE RIGENERATA), sono libero indipendente, W la libertà, W l'arte rigenerata, dove posso smaltire le carenze affettive della mia infanzia, posso leccarmi le dita di marmellata e usare ovunque lo stecchino da denti. Faccio queste cose giocando, scherzando, a volte serio, rigoroso, per caso sognando, trovando subito”.
In questo articolo di presentazione della mostra limiteremo la trattazione del percorso artistico fatto dal Maestro dall’astrattismo, alla origine e sviluppo dei “Cromemi”, fino alla tarda produzione, di grande valore artistico, sicuramente da riscoprire.
Borella, nel 1954 (dal 4 al 17 febbraio) tiene la sua seconda personale alla Galleria Numero di Firenze, ricevendo positivi stimoli verso tutto ciò che era all’avanguardia, e anche subendo le influenze del minimalismo americano. La vicinanza alla rivista e alla Galleria Numero è stata fondamentale per sviluppare nuovi contatti con il panorama nazionale ed internazionale. In particolare è proprio Fiamma Vigo a consigliare a Borella di recarsi a Roma, in quanto punto di sviluppo delle grandi ideologie artistiche e sociali del momento. In particolare la gallerista fiorentina è in stretti rapporti con la galleria-libreria L’Age d’Or, poichè quando fonda l’esperienza della rivista “Numero”, lavora per creare “un partito dell’astrazione sensibile alle teorie del Numero”, dando origine a contatti a Torino con Albino Galvano, a Milano con il MAC e a Roma proprio con L’Age d’Or diretta da Piero Dorazio e Achille Perilli.
Il legame è rafforzato anche dal fatto che sia per Fiamma Vigo che per i due artisti romani, l’opera di Alberto Magnelli, presentato nella Biennale di Venezia del 1950, è un paradigma di riferimento, in quanto è uno dei primi astrattisti italiani, l’unico al passo con l’avanguardia internazionale di questa corrente pittorica, elogiato a Parigi, ma misconosciuto in Italia.
Con queste premesse si può capire come Borella si interessi all’opera di Piero Dorazio, in particolare nel momento dell’esperienza di Forma 1, in quanto vicina alla ricerca astratta che l’artista genovese sperimenta in quegli anni. L’arte di Dorazio negli anni di Forma 1, tra il 1947 e il 1948, da soggetti ancora orientati alla realtà visibile, perviene all’astrazione avendo come fattore scatenante il cubismo analitico. Le sue opere però si distanziano da quello, perché non suggeriscono volume ma bensì piattezza, e soprattutto per il colore che Dorazio scopre nella produzione di Magnelli, “la sicurezza e l’architettura rigorosa nella composizione di ogni immagine facevano ‘cantare tutti insieme’ i colori vivi e dissonanti […] non avevamo mai visto nulla che somigliasse a quel colore, ogni quadro aveva la sua chiave cromatica dominante”. In seguito l’attività di Piero Dorazio alla galleria-libreria L’Age d’Or gli consentì di entrare in contatto con le ricerche più innovative in campo artistico e con i loro protagonisti, come Mark Rothko. La visita che riceve da Rothko nel 1950, quando questi si trova in Italia con la moglie, risulta sicuramente una momento importante per Dorazio ed il gruppo italiano degli astrattisti. A queste date l’artista americano dopo una prima fase rappresentata da immagini rapide costituite da linee senza soluzione di continuità, righe parallele, intrecci, macchie di colore che nel loro fitto groviglio appaiono come segni automatici, ispirati alla prassi pittorica del surrealismo, arriva all’elaborazione delle sue composizioni che si possono definire classiche. Questa tipologia è basata su una profonda ricerca e conoscenza del concetto di proporzione, in parte mutuato dallo studio del Rinascimento artistico italiano, infatti alla base della sua costruzione pittorica non vi è semplicemente uno studio delle proporzioni, ma la ricerca della misura esatta che diventa un puro mezzo il cui fine è l'espressione del valore morale. Diventa evidente che “non è più solo l'uomo a determinare le dimensioni del quadro, ma, con un processo di rovesciamento delle parti, sono le dimensioni del quadro a diventare espressione della grandezza umana”.
Due sono i concetti fondanti delle sue tele, la breathingness, termine da lui coniato già sul finire degli anni Quaranta, che si rivela nel dissolvimento pittorico degli elementi del paesaggio, sostituito da un libero intreccio di forme colorate, che si scompongono e ricompongono, e poi la plasticity per cui sono gli stimoli tattili a rendere la visione dello spazio una vera e propria esperienza dei sensi, in opposizione a una costruzione illusionistica della struttura. Dal 1950 comincia lentamente a delinearsi una disposizione orizzontale e parallela degli elementi formali, “le vibranti qualità tattili, il dilatarsi e il contrarsi, vengono resi attraverso un movimento avvolgente a U e una stratificazione cromatica”. Se queste sono le basi teoriche, di cui Dorazio mette al corrente lo stesso Borella, sicuramente di maggior importanza è la visione diretta che Rocco Borella ebbe delle opere di Rothko a Venezia nel 1958, quando dieci tele furono presentate in una sala personale alla XXIX Biennale. Sicuramente questo avvenne anche a Milano poiché cinque tele fecero parte della mostra itinerante The New American Painting che arrivò alla Galleria Civica di Arte Moderna di Milano nel giugno del ‘58, lo stesso anno in cui Borella presentò una sua esposizione alla Galleria Toti di Milano.
La personale di Rothko alla Biennale dovette suscitare una forte emozione per chiunque si recasse a vederla, per le grandi dimensioni, per la stupefacente qualità dei colori, bianchi e verdi sul blu, i riquadri bianchi estesi accanto ai rossi, i colori profondi, scuri, le trasparenze che mettono in evidenza il sovrapporsi dei colori, fino ai drammatici rossi e neri. Tutto questo era fortemente diverso sia dall'uso dei colori puri di Mondrian, che dalle geometrie di Malevic, come scrive Sam Hunter presentando l’artista in questa esposizione: “al posto delle precise geometrie e dell’ordine chiuso dell’astrattismo dottrinario spira nella pittura di Rothko un alito nuovo, un senso di flusso e di spontaneità che consente molteplici interpretazioni. Le masse amorfe di colore svaporano senza un chiaro limite lineare sciogliendosi nello spazio di sfondo come la struttura fosse intrinseca nella pennellata e non richiedesse più il sostegno di uno schema prestabilito di linee scattanti e di piani coloristici chiaramente definiti”.
Indagando quindi l’evoluzione del pittore genovese si può vedere come nel 1957 con opere come Paesaggio (Fig.1) inizia una ricerca basata sul colore, che si rafforza nell’anno successivo con l’opera di Rothko. Per esempio si possono mettere a confronto Senza titolo, Cromatismi del 1958 (Fig. 2) con l’opera Black over Reds (Blak on Red) del 1957 (Fig. 3), esposta alla Biennale, dove si denota l’inizio della successione di rettangoli paralleli, che nel caso di Rothko sembrano sospesi nel rosso dello sfondo, mentre quelli di Borella sono contigui in una sorta di scala cromatica.
Ciò che distingue da qui in poi la ricerca del pittore genovese è uno studio scientifico del colore, in un modo non evocativo ed etico come per Rothko, ma all’opposto in una forma geometrica e netta. Questo stimolo viene forse dalla stessa Biennale, dove nella sezione Svizzera espongono alcuni artisti astratti tra cui Max Bill e Richard Paul Lhose, anche se il contatto diretto avviene solo qualche anno dopo, nel 1964, quando la galleria del Deposito a Genova ospita due personali dei suddetti pittori.
Intanto, i nuovi influssi dell’arte contemporanea portano Piero Dorazio a sviluppare la sua arte nella conoscenza e nell’utilizzo della luce, elemento caratteristico della sua ricerca (come egli scrive) rispetto all’attività percettiva che deriva dall’osservazione del “continuo modificarsi della struttura cromatica di miriadi di molecole in colori, timbri, toni e tenui degradazioni di tinte, i quali appartengono tutti alla natura della luce, al suo spettro”. Mentre, la forma, il colore e la luce tutti assieme suscitano l’attenzione di Borella, appena avviato all’astrattismo.
Dalla seconda metà degli anni ’50 agli anni ’60, le ricerche astratto-concrete e informali di Borella approdano in una astrazione che ha il suo momento apicale nella realizzazione dei famosi “Cromemi” (Fig. 4, 5, 6). Questo fortunato termine fu coniato dal critico Gianpaolo Barosso. Barosso definì, acutamente, “Cromemi” i discorsi primari “col colore” di Borella , disposti nella vivace corrispondenza fondata su “quiddità visive” analoghe ai fonemi (in linguistica unità minima distintiva di suono). Lo studioso aveva avvertito come fosse fondante, nell’operare del Maestro e, in forma pressoché spontanea, la sensazione originaria che i colori e le loro figure hanno sempre evocato. Istintivamente o quasi l’artista genovese avvertì nelle differenti teorie del colore (dall’azione simbolica e morale del colore di Goethe allo scientismo di Itten), la chiave del perfezionismo visivo e, indubbiamente, subì l’influenza (per altro accolta più per sensibilità che per effettiva conoscenza intellettuale) della sperimentazione pratica della scuola del Bauhaus.
Nel 1963, a tre anni dalla affermazione di questa personale forma artistica, Borella espone nelle due sedi della Galleria Numero, a Roma e Milano, con una personale presentata da questa nota di Giampaolo Barosso scritta nel novembre del 1960: “situazione progettiva cromemi disarticolati pittoricamente (plastica) articolantisi logicamente in un discorso (linguistica) in qualità di minime unità di significato (cfr fonemi) oltre nominare che fonda quiddità visive per identificazione (reperire e riconoscere) da campionario è è è est coetera”.
Successivamente la Galleria presenta una nuova esposizione di Borella, questa volta alla Armory Gallery di New York, dal 7 a 27 gennaio del 1964, introdotta da Barosso con un testo del 1961 dove, dopo una breve elencazione delle sue partecipazioni a mostre e premi, riassume la sua parabola artistica e definisce così l’ultima produzione: “[…] il colore ha cessato addirittura di essere colore per diventare la <> stessa”. Dalla metà degli anni Sessanta si diradano i rapporti di Borella con la Galleria Numero, che poi chiuderà nel 1970, e così avviene anche per gli altri artisti del gruppo che già all’inizio si differenziavano per scelte artistiche (Giuseppe Allosia, Silvio Bisio, Rocco Borella, Gian Franco Fasce, Plinio Mesciulam e Emilio Scanavino).
La tipologia pittorica dei cromemi diventa il suo tratto distintivo tanto che la espone, come si è scritto, non solo in Italia, ma anche all’estero, a Parigi nel 1961 e a New York nel 1964.
Proprio la visita a New York in occasione della sua personale all’Armony Gallery segna il probabile contatto con un altro artista americano, assimilabile in questi anni alle ricerche che oggi si definiscono minimaliste, ossia Frank Stella. L’esposizione di Borella infatti si tiene nel mese di gennaio e nello stesso momento c’è una personale di Stella nella galleria di Leo Castelli. Alla personale presso la galleria Leo Castelli sono presentati tutti i Purple painting realizzati da Frank Stella nel 1963 a New York. Altra occasione di contatto creativo successiva, si ebbe nello stesso anno, poichè da giugno a ottobre alcune opere dell’artista americano vennero esposte nel padiglione degli Stati Uniti alla XXXII Biennale di Venezia.
In quest’ultima sono presentate diverse tele che ripercorrono le fasi dell’artista americano, dalle più lontane, rappresentate dai Black painting, databili prima del 1960 con ancora la tipica forma del quadro, ma che eliminano il colore, oppure i Copper painting, realizzati tra il 1960 e il 1961, dove viene utilizzata una pittura color rame e le forme cominciano a variare, come per esempio in quello esposto (Pagosa Springs) dove ottiene una forma ad H con la struttura del telaio.
È evidente che le ricerche di Stella sono affini a quelle del pittore genovese nell’uso di materiali non propriamente artistici, per esempio Stella usa spesso colori industriali, e soprattutto nella inesauribile sperimentazione con nuove forme, colori e mezzi pittorici. La seconda metà degli anni Sessanta è infatti per Borella un momento di ricerca di diverse soluzioni per elaborare la sua concezione cromemica, ma già nel 1969, con Spazio Ambiguo, comincia a ricercare una nuova forma che trova la sua espressione nei guard-rail (Fig. 7, 8).
Come nelle opere di Stella la superficie piatta della pittura si immette nello spazio, il che per l’artista americano consiste nel dare ai telai lo stesso spessore delle strisce dipinte, mentre per Borella è nell’uso della formica su legno, ma per entrambi vuol dire mettere in rilievo la piattezza delle immagini proiettando il piano in avanti.
L’artista genovese non arriva mai a dare vita a strutture con particolari forme geometriche, ma è come se applicasse l’andamento dovuto a quelle stesse forme ad una semplice superficie rettangolare, si prendano ad esempio Valparaiso green del 1963 (Fig. 9 ) di Stella e Oggetto e colore ( Fig. 10 ) databile all’inizio degli anni Settanta di Borella.
È da considerare poi la comune volontà di entrambi di creare un’opera razionalmente definita, impersonale rispetto all’artista, quella che Alan R. Solomon descrive come “fredda impassibilità, nella quale la pittura asserisce la propria presenza come cosa compiuta, senza velatura di sentimento”.
Altro evento con influenza significativamente la produzione di Borella deriva dalle iniziative dell’ Italsider, industria siderurgica che nasce nel 1960 dalla fusione tra la Cornigliano e l’Ulva, e che mostra ben presto il suo interesse per la cultura e l’arte contemporanea. Questo periodo coincide con una produzione del Maestro Borella che vede l’utilizzo dei materiali industriali.
Caratteristico dello spirito innovatore dell’azienda è inoltre l'affidamento, nel 1962, del progetto del centro direzionale dell'Italsider all’architetto Konrad Wachsmann, motivo per cui egli si stabilisce nella città per quasi tre anni, per conoscerla in maniera approfondita, per esaminare i luoghi e i problemi collegati alla sua opera.
L’architetto studia quindi l'antico quartiere di via Madre di Dio, e la porzione di porto tra la Fiera del Mare e i cantieri creando un progetto che non si limita a ideare la sede dell'industria, ma si amplia all'ambiente esterno, risistemando parte del porto. L'intento di Wachsmann è “di giungere a un incontro tra l'antico e il nuovo, e di proiettare la città verso il futuro; il suo progetto è analizzato in relazione ai problemi di traffico,
comunicazione, sviluppo della città ecc., trasformando l'area prescelta per la sua costruzione nel centro nodale di Genova”. Il progetto è però considerato troppo moderno e ambizioso, e trova diversi ostacoli alla sua realizzazione tanto da non essere approvato. In quegli anni Rocco Borella e l’architetto tedesco-americano Konrad Wachsmann si frequentano assiduamente. Borella da tempo partecipava alla vita intellettuale in Liguria, in questa attività un ruolo essenziale era svolto dai coniugi genovesi Paolo e Lucia Rodocanachi presso la Villa Designe ad Arenzano, permettendogli di conoscere altri grandi personaggi della letteratura e dell’arte come Ungaretti e Gadda, Agenore Fabbri,Mario Labò, ecc.. Qui avvennero gli incontri/scontri tra Borella e Wachsmann. Questo scambio intellettuale spinse il Maestro a cercare un punto di cantatto tra arte contemporanea ed architettura, superando il concetto di “tela”, o “quadro”. Frank Stella e Konrad Wachsmann gli diedero sicuramente l’ispirazione per un processo di cambiamento che raggiunse il suo apice con la realizzazione della serie dei Guard-rail. Inizia una produzione artistica che prevede la sperimentazione a tutto campo dei materiali industriali in opere come i Rossi polimaterici, vere e proprie ustioni plastiche e le Pittosculture, assemblaggi di oggetti, tra cui chiodi, in una nitida forma rettangolare dipinta. Questa attività sperimentale si protrae per almeno dieci anni e vede due principali filoni di ricerca, le opere su vetri stampati e la ricerca su materiali sintetici come moquette, vinilpelle, nastri adesivi, formiche. Crea così l’epoca dei Nuovi Cromemi, non più pittorici ma sintetici, che rappresentano anche l’origine della ricerca “optical” e quella della “rifrazione del colore”; nei vetri stampati infatti sovrappone alle bande cromatiche un vetro smerigliato, variazione sul rapporto luce–colore dove si introduce un fattore dinamico e allo stesso tempo deformante (Fig. 11).
Per lo stesso motivo sperimenta anche la ceramica come materiale di supporto, con diverse opere realizzate soprattutto ad Albissola, dove la differente reazione del pigmento alla cottura è un elemento aggiuntivo alla strutturazione cromatica. Queste sperimentazioni sui materiali e la visione ottico–percettiva sono alla base della successiva forma di evoluzione del percorso dell’artista esemplificata nei Guard–rail (Fig. 9,10,12), dove nella superficie rigida e insieme colorata e specchiante della formica la materia-colore più adatta a supportare una ricerca di tipo ottico in cui l'abbinamento di forma e colore crea l'illusione di uno spazio multiplo che si dilata e si restringe o invece si ribalta in prospettive speculari o in profondità fittizie suggerite dall'alternanza di colori caldi e freddi.
Con i guard-rail Borella partecipa alla X Quadriennale romana del 1973 e inizia una nuova stagione di mostre personali: a Verona, alla Galleria Ferrari nel 1973; a Genova, sempre nel 1973, dove la Galleria La Polena gli dedica una nuova antologica, curata anche questa volta da Germano Beringheli; a Milano, Como, Roma, Bruxelles tra il 1976 e il 1977 e ancora a Milano nel 1978 alla Galleria Vismara.
Tuttavia, negli ultimi due decenni della sua vita creativa, proprio nello spirito di sperimentatore e di quello che definisce appunto “Arte Rigenerata”, torna alla pittura!
Solo nel 1986 però con la mostra tenuta alla Galleria Cesarea di Genova, viene presentata questa nuova fase, definita Pittura–colore, dove la linea diventa protagonista, provocando una torsione nella struttura orizzontale del cromema e quindi una rottura del suo sottile equilibrio degli anni ’60 e ’70. La rottura con il passato è accentuata dall'uso di colori violenti e dissonanti, marcati da pesanti contorni e alonature nere (Fig. 12 ), con una stesura pittorica che si fa nuovamente materica.
È evidente come questa visione si ponga in relazione con il clima culturale
contemporaneo cioè gli esiti più tardi della Nuova Pittura e l’idea coloristica espressiva della Transavanguardia, ma allo stesso tempo questa tipologia riunisce le sue esperienze pittoriche, con l’opposizione di colori caldi e freddi.
Nella fase più tarda della sua carriera alcuni problemi di salute, non gli impediscono di produrre, e neppure di partecipare a molte esposizioni oltre a iniziare una nuova sperimentazione cioè quella delle Tele Ripiegate o come la definisce l’autore, la sperimentazione della tovaglia ripiegata per cui è evidente che la tecnica di giustapposizione delle ricerche ottiche scientifiche precedenti lascia il posto ad una attività molto più semplice e quotidiana, i risultati sono comunque impressionanti, strabilianti. Secondo molti in questo periodo il Maestro raggiunge un nuovo traguardo artistico di qualità elevatissima. In queste opere la tela diviene una grande superficie, che è quasi sempre suddivisa in una metà dipinta con colori accesi, ed una seconda metà con colori sfumati ottenuta ripiegando su se stessa la metà dipinta con colori violenti, quando ancora fresca, in modo da produrre i giusti effetti sulla porzione restante.
Rocco Borella muore a venti anni dalla mostra di Palazzo di Palazzo Stella, a Genova il 23 Settembre del 1994, lasciando oltre alle opere, numerosi allievi formati nella sua lunga ed intensa attività didattica.
Ovviamente la sua attività è stata oggetto di studi molto più approfonditi da parte di Germano Beringheli, uno dei critici più rappresentativi per la storia dell’arte genovese e non solo, che avendo conosciuto Borella negli anni Quaranta, lo ha seguito per tutto il suo cammino artistico presentando molte sue esposizioni. A partire dagli anni Sessanta anche il critico Luciano Caprile si è interessato a lui ed è stato il primo a dedicargli, nel 1988, una monografia che è essenziale in quanto dà informazioni sulla sua attività didattica, sui contatti con il mondo letterario e artistico nazionale ed espone una prima antologia critica.
Nel corso della sua carriera artistica alte Autorità della critica d’arte si sono occupati della sua opera, come Germano Celant, Giulio Carlo Argan ed Umbro Apollonio.
Il nostro breve scritto, che accompagna la Mostra Personale di Palazzo Stella, non vuole e non può essere un capitolo di critica d’arte. Abbiamo cercato di riassumere il suo percorso artistico, ma anche sottolineare le correnti, i movimenti e le grandi Personalità che hanno concorso alla sua evoluzione pittorica. Qui di seguito, a fine del testo, vorremmo riprendere quanto scritto da Lui medesimo, “lasciare parlare il maestro” della Sua creatività e della Sua Arte, nonché far trasparire il Suo spirito, la Sua Umanità.
Associazione Culturale Rocco Borella
Sede Legale: P.zza Piccapietra 76/59 - 16121 Genova
www.archivioroccoborella.org
Rocco Borella in 1a Rassegna nazionale d’arte contemporanea (Saint Vincent, 1972) a c. di Giulio Carlo Argan
Bla bla bla bla bla... Ma questo lo fanno già i critici, pochi di loro hanno chiarito, veramente detto, pochi in realtà, 3, 5, 8, i a, forse nel nostro tempo, gli altri, giornalisti, cronisti, insegnanti, arrivisti, detentori di potere, pirati, bigotti dell'arte, ecc. bla bla bla bla e se non stai attento ti rompono le scatole, ti guidano, ti alienano, convinti di essere utili, importanti, indispensabili, ed invece sono i reazionari, i mafiosi, quelli che qualche volta sanno tutto e nient'altro. Noi operatori abbiamo la pace nel cuore, abbiamo voglia di vivere, di rifare il mondo, siamo profondamente onesti, e non ci vogliono, non ce lo permettono, ci riducono nell'impossibilità di fare, ci temono, perché siamo operatori che contestiamo sempre, e non ci fermiamo mai, ed invece, ci vorrebbero, famosi, aristocratici, o ruffiani, diplomatici, ci vorrebbero vedere pittori col mestiere in mano, e noi non abbiamo mestiere, ci chiamano ad insegnare nelle scuole artisti-per chiara fama e poi ci fanno fare l'impiegato, signore sì, signore no, scrivo come penso e faccio quello che sono, faccio e disfo, per me e per gli altri, per esporre in grandi mostre e piccole mostre, faccio per vendere o barattare, per regalare per gettare, e i galleristi non vogliono, vogliono anch'essi l'uomo contabile, ostinato, l’economia, ma di questi ve ne sono troppi, pullulano, e infatti non si può accedere, come nella casa di Dio. Qui si consacrano ancora gli dei, gli istrioni, io lavoro per me e per gli altri, per la didattica, per smaltire, e mi sono appropriato, inventato un termine, per fare arte: (ARTE RIGENERATA), sono libero indipendente, W la libertà, W l'arte rigenerata, dove posso smaltire le carenze affettive della mia infanzia, posso leccarmi le dita di marmellata e usare ovunque lo stecchino da denti. Faccio queste cose giocando, scherzando, a volte serio, rigoroso, per caso sognando, trovando subito.
Rocco Borella, Autopresentazione in Costruttivismo internazionale
(Brescia 1975)
Dal tempo in cui il risultato della mia ricerca era una pittura che corrispondeva sostanzialmente ad una intenzionale cultura della percezione, il mio lavoro ha seguito una linea tendente sempre più a vertere su alcune proposizioni di base che, accettando la definizione di un critico, chiamerei "riflessione iconica del razionale". Ho cercato, in questi anni, di integrare con logica sistematica la liberazione dovuta all'informale in una regolarità strutturale; il tempo più recente è stato occupato ad erigere una costruzione che si può definire distillata, conchiusa in una immagine percettiva che ha isolato i singoli dati espressivi per recarli in una stesura capace dì fornire una valutazione precipuamente estetica, una aggettivazione psicologicamente condizionata.
Successivamente la mia attività è stata caratterizzata da un più approfondito interesse per 'autonomia semantica dell'oggetto colore, che rifiuta ogni dichiarazione formale abbandonando ogni dualismo codice-messaggio; sono passato dalla "forma" del colore alla sua "sostanza" visiva, alla sua identificazione di quei tropismi che in esso la luce, il timbro, la quantità permettevano di invenire. Proseguendo sulla via di quello che, sin dalle origini, il mio lavoro aveva voluto essere, cioè contributo ad un duplice impegno, metodologico o teoretico, ho oggettivato il colore come strumento dell'analisi visivo-percettiva, l'ho elaborato in relazione alle sue caratteristiche essenziali. Il colore, assunto come realtà pura, produce una presenza di relazioni che egli stesso costituirà nelle diverse situazioni fisiche (per esempio spazio-temporali) in cui si porrà, presenza strumentale di un discorso tutto didattico.
Note:
1 Editore, Presidente “Fondazione De Ferrari”, Vice-Presidente Associazione Rocco Borella
2 Storico dell’Arte
3 Socio Effettivo Associazione Rocco Borella
4 Presidente Associazione Rocco Borella
MOSTRA COMMEMORATIVA A 20 ANNI DALLA SCOMPARSA DELL’ARTISTA
Gianfranco De Ferrari1, Giulia Strada2, Renata Besta Cheli3 , Giuseppe Martucciello4
Siamo riconoscenti a SATURA art gallery di aver avuto la sensibilità di commemorare i venti anni dalla morte dell’Artista genovese con una Mostra Personale in collaborazione con l’Associazione Culturale Rocco Borella, mettendo a disposizione gli ampi spazi di Palazzo Stella a Genova.
Il titolo della Mostra deriva dalla denominazione data dallo stesso pittore alla sua arte. Qui è stato scelto in quanto la sua è un’arte rigenerata nel senso di rivoluzionaria, poiché segue la sua intelligenza nativa, la sua capacità di cogliere il massimo dalla situazione circostante senza però rimanervi pedissequamente legato. Allo stesso tempo poiché è un arte che si genera continuamente basandosi sulla sua ricerca instancabile e che rinasce su se stessa in quanto la sua parabola artistica è spesso caratterizzata, in vari momenti, da una sorta di autocitazione e ripresa di temi passati.
Scrive infatti lui stesso, a risposta della presentazione fatta da G. C. Argan per una esposizione a Saint Vincent nel 1972, “io lavoro per me e per gli altri e mi sono appropriato, inventato un termine, per fare arte: (ARTE RIGENERATA), sono libero indipendente, W la libertà, W l'arte rigenerata, dove posso smaltire le carenze affettive della mia infanzia, posso leccarmi le dita di marmellata e usare ovunque lo stecchino da denti. Faccio queste cose giocando, scherzando, a volte serio, rigoroso, per caso sognando, trovando subito”.
In questo articolo di presentazione della mostra limiteremo la trattazione del percorso artistico fatto dal Maestro dall’astrattismo, alla origine e sviluppo dei “Cromemi”, fino alla tarda produzione, di grande valore artistico, sicuramente da riscoprire.
Borella, nel 1954 (dal 4 al 17 febbraio) tiene la sua seconda personale alla Galleria Numero di Firenze, ricevendo positivi stimoli verso tutto ciò che era all’avanguardia, e anche subendo le influenze del minimalismo americano. La vicinanza alla rivista e alla Galleria Numero è stata fondamentale per sviluppare nuovi contatti con il panorama nazionale ed internazionale. In particolare è proprio Fiamma Vigo a consigliare a Borella di recarsi a Roma, in quanto punto di sviluppo delle grandi ideologie artistiche e sociali del momento. In particolare la gallerista fiorentina è in stretti rapporti con la galleria-libreria L’Age d’Or, poichè quando fonda l’esperienza della rivista “Numero”, lavora per creare “un partito dell’astrazione sensibile alle teorie del Numero”, dando origine a contatti a Torino con Albino Galvano, a Milano con il MAC e a Roma proprio con L’Age d’Or diretta da Piero Dorazio e Achille Perilli.
Il legame è rafforzato anche dal fatto che sia per Fiamma Vigo che per i due artisti romani, l’opera di Alberto Magnelli, presentato nella Biennale di Venezia del 1950, è un paradigma di riferimento, in quanto è uno dei primi astrattisti italiani, l’unico al passo con l’avanguardia internazionale di questa corrente pittorica, elogiato a Parigi, ma misconosciuto in Italia.
Con queste premesse si può capire come Borella si interessi all’opera di Piero Dorazio, in particolare nel momento dell’esperienza di Forma 1, in quanto vicina alla ricerca astratta che l’artista genovese sperimenta in quegli anni. L’arte di Dorazio negli anni di Forma 1, tra il 1947 e il 1948, da soggetti ancora orientati alla realtà visibile, perviene all’astrazione avendo come fattore scatenante il cubismo analitico. Le sue opere però si distanziano da quello, perché non suggeriscono volume ma bensì piattezza, e soprattutto per il colore che Dorazio scopre nella produzione di Magnelli, “la sicurezza e l’architettura rigorosa nella composizione di ogni immagine facevano ‘cantare tutti insieme’ i colori vivi e dissonanti […] non avevamo mai visto nulla che somigliasse a quel colore, ogni quadro aveva la sua chiave cromatica dominante”. In seguito l’attività di Piero Dorazio alla galleria-libreria L’Age d’Or gli consentì di entrare in contatto con le ricerche più innovative in campo artistico e con i loro protagonisti, come Mark Rothko. La visita che riceve da Rothko nel 1950, quando questi si trova in Italia con la moglie, risulta sicuramente una momento importante per Dorazio ed il gruppo italiano degli astrattisti. A queste date l’artista americano dopo una prima fase rappresentata da immagini rapide costituite da linee senza soluzione di continuità, righe parallele, intrecci, macchie di colore che nel loro fitto groviglio appaiono come segni automatici, ispirati alla prassi pittorica del surrealismo, arriva all’elaborazione delle sue composizioni che si possono definire classiche. Questa tipologia è basata su una profonda ricerca e conoscenza del concetto di proporzione, in parte mutuato dallo studio del Rinascimento artistico italiano, infatti alla base della sua costruzione pittorica non vi è semplicemente uno studio delle proporzioni, ma la ricerca della misura esatta che diventa un puro mezzo il cui fine è l'espressione del valore morale. Diventa evidente che “non è più solo l'uomo a determinare le dimensioni del quadro, ma, con un processo di rovesciamento delle parti, sono le dimensioni del quadro a diventare espressione della grandezza umana”.
Due sono i concetti fondanti delle sue tele, la breathingness, termine da lui coniato già sul finire degli anni Quaranta, che si rivela nel dissolvimento pittorico degli elementi del paesaggio, sostituito da un libero intreccio di forme colorate, che si scompongono e ricompongono, e poi la plasticity per cui sono gli stimoli tattili a rendere la visione dello spazio una vera e propria esperienza dei sensi, in opposizione a una costruzione illusionistica della struttura. Dal 1950 comincia lentamente a delinearsi una disposizione orizzontale e parallela degli elementi formali, “le vibranti qualità tattili, il dilatarsi e il contrarsi, vengono resi attraverso un movimento avvolgente a U e una stratificazione cromatica”. Se queste sono le basi teoriche, di cui Dorazio mette al corrente lo stesso Borella, sicuramente di maggior importanza è la visione diretta che Rocco Borella ebbe delle opere di Rothko a Venezia nel 1958, quando dieci tele furono presentate in una sala personale alla XXIX Biennale. Sicuramente questo avvenne anche a Milano poiché cinque tele fecero parte della mostra itinerante The New American Painting che arrivò alla Galleria Civica di Arte Moderna di Milano nel giugno del ‘58, lo stesso anno in cui Borella presentò una sua esposizione alla Galleria Toti di Milano.
La personale di Rothko alla Biennale dovette suscitare una forte emozione per chiunque si recasse a vederla, per le grandi dimensioni, per la stupefacente qualità dei colori, bianchi e verdi sul blu, i riquadri bianchi estesi accanto ai rossi, i colori profondi, scuri, le trasparenze che mettono in evidenza il sovrapporsi dei colori, fino ai drammatici rossi e neri. Tutto questo era fortemente diverso sia dall'uso dei colori puri di Mondrian, che dalle geometrie di Malevic, come scrive Sam Hunter presentando l’artista in questa esposizione: “al posto delle precise geometrie e dell’ordine chiuso dell’astrattismo dottrinario spira nella pittura di Rothko un alito nuovo, un senso di flusso e di spontaneità che consente molteplici interpretazioni. Le masse amorfe di colore svaporano senza un chiaro limite lineare sciogliendosi nello spazio di sfondo come la struttura fosse intrinseca nella pennellata e non richiedesse più il sostegno di uno schema prestabilito di linee scattanti e di piani coloristici chiaramente definiti”.
Indagando quindi l’evoluzione del pittore genovese si può vedere come nel 1957 con opere come Paesaggio (Fig.1) inizia una ricerca basata sul colore, che si rafforza nell’anno successivo con l’opera di Rothko. Per esempio si possono mettere a confronto Senza titolo, Cromatismi del 1958 (Fig. 2) con l’opera Black over Reds (Blak on Red) del 1957 (Fig. 3), esposta alla Biennale, dove si denota l’inizio della successione di rettangoli paralleli, che nel caso di Rothko sembrano sospesi nel rosso dello sfondo, mentre quelli di Borella sono contigui in una sorta di scala cromatica.
Ciò che distingue da qui in poi la ricerca del pittore genovese è uno studio scientifico del colore, in un modo non evocativo ed etico come per Rothko, ma all’opposto in una forma geometrica e netta. Questo stimolo viene forse dalla stessa Biennale, dove nella sezione Svizzera espongono alcuni artisti astratti tra cui Max Bill e Richard Paul Lhose, anche se il contatto diretto avviene solo qualche anno dopo, nel 1964, quando la galleria del Deposito a Genova ospita due personali dei suddetti pittori.
Intanto, i nuovi influssi dell’arte contemporanea portano Piero Dorazio a sviluppare la sua arte nella conoscenza e nell’utilizzo della luce, elemento caratteristico della sua ricerca (come egli scrive) rispetto all’attività percettiva che deriva dall’osservazione del “continuo modificarsi della struttura cromatica di miriadi di molecole in colori, timbri, toni e tenui degradazioni di tinte, i quali appartengono tutti alla natura della luce, al suo spettro”. Mentre, la forma, il colore e la luce tutti assieme suscitano l’attenzione di Borella, appena avviato all’astrattismo.
Dalla seconda metà degli anni ’50 agli anni ’60, le ricerche astratto-concrete e informali di Borella approdano in una astrazione che ha il suo momento apicale nella realizzazione dei famosi “Cromemi” (Fig. 4, 5, 6). Questo fortunato termine fu coniato dal critico Gianpaolo Barosso. Barosso definì, acutamente, “Cromemi” i discorsi primari “col colore” di Borella , disposti nella vivace corrispondenza fondata su “quiddità visive” analoghe ai fonemi (in linguistica unità minima distintiva di suono). Lo studioso aveva avvertito come fosse fondante, nell’operare del Maestro e, in forma pressoché spontanea, la sensazione originaria che i colori e le loro figure hanno sempre evocato. Istintivamente o quasi l’artista genovese avvertì nelle differenti teorie del colore (dall’azione simbolica e morale del colore di Goethe allo scientismo di Itten), la chiave del perfezionismo visivo e, indubbiamente, subì l’influenza (per altro accolta più per sensibilità che per effettiva conoscenza intellettuale) della sperimentazione pratica della scuola del Bauhaus.
Nel 1963, a tre anni dalla affermazione di questa personale forma artistica, Borella espone nelle due sedi della Galleria Numero, a Roma e Milano, con una personale presentata da questa nota di Giampaolo Barosso scritta nel novembre del 1960: “situazione progettiva cromemi disarticolati pittoricamente (plastica) articolantisi logicamente in un discorso (linguistica) in qualità di minime unità di significato (cfr fonemi) oltre nominare che fonda quiddità visive per identificazione (reperire e riconoscere) da campionario è è è est coetera”.
Successivamente la Galleria presenta una nuova esposizione di Borella, questa volta alla Armory Gallery di New York, dal 7 a 27 gennaio del 1964, introdotta da Barosso con un testo del 1961 dove, dopo una breve elencazione delle sue partecipazioni a mostre e premi, riassume la sua parabola artistica e definisce così l’ultima produzione: “[…] il colore ha cessato addirittura di essere colore per diventare la <
La tipologia pittorica dei cromemi diventa il suo tratto distintivo tanto che la espone, come si è scritto, non solo in Italia, ma anche all’estero, a Parigi nel 1961 e a New York nel 1964.
Proprio la visita a New York in occasione della sua personale all’Armony Gallery segna il probabile contatto con un altro artista americano, assimilabile in questi anni alle ricerche che oggi si definiscono minimaliste, ossia Frank Stella. L’esposizione di Borella infatti si tiene nel mese di gennaio e nello stesso momento c’è una personale di Stella nella galleria di Leo Castelli. Alla personale presso la galleria Leo Castelli sono presentati tutti i Purple painting realizzati da Frank Stella nel 1963 a New York. Altra occasione di contatto creativo successiva, si ebbe nello stesso anno, poichè da giugno a ottobre alcune opere dell’artista americano vennero esposte nel padiglione degli Stati Uniti alla XXXII Biennale di Venezia.
In quest’ultima sono presentate diverse tele che ripercorrono le fasi dell’artista americano, dalle più lontane, rappresentate dai Black painting, databili prima del 1960 con ancora la tipica forma del quadro, ma che eliminano il colore, oppure i Copper painting, realizzati tra il 1960 e il 1961, dove viene utilizzata una pittura color rame e le forme cominciano a variare, come per esempio in quello esposto (Pagosa Springs) dove ottiene una forma ad H con la struttura del telaio.
È evidente che le ricerche di Stella sono affini a quelle del pittore genovese nell’uso di materiali non propriamente artistici, per esempio Stella usa spesso colori industriali, e soprattutto nella inesauribile sperimentazione con nuove forme, colori e mezzi pittorici. La seconda metà degli anni Sessanta è infatti per Borella un momento di ricerca di diverse soluzioni per elaborare la sua concezione cromemica, ma già nel 1969, con Spazio Ambiguo, comincia a ricercare una nuova forma che trova la sua espressione nei guard-rail (Fig. 7, 8).
Come nelle opere di Stella la superficie piatta della pittura si immette nello spazio, il che per l’artista americano consiste nel dare ai telai lo stesso spessore delle strisce dipinte, mentre per Borella è nell’uso della formica su legno, ma per entrambi vuol dire mettere in rilievo la piattezza delle immagini proiettando il piano in avanti.
L’artista genovese non arriva mai a dare vita a strutture con particolari forme geometriche, ma è come se applicasse l’andamento dovuto a quelle stesse forme ad una semplice superficie rettangolare, si prendano ad esempio Valparaiso green del 1963 (Fig. 9 ) di Stella e Oggetto e colore ( Fig. 10 ) databile all’inizio degli anni Settanta di Borella.
È da considerare poi la comune volontà di entrambi di creare un’opera razionalmente definita, impersonale rispetto all’artista, quella che Alan R. Solomon descrive come “fredda impassibilità, nella quale la pittura asserisce la propria presenza come cosa compiuta, senza velatura di sentimento”.
Altro evento con influenza significativamente la produzione di Borella deriva dalle iniziative dell’ Italsider, industria siderurgica che nasce nel 1960 dalla fusione tra la Cornigliano e l’Ulva, e che mostra ben presto il suo interesse per la cultura e l’arte contemporanea. Questo periodo coincide con una produzione del Maestro Borella che vede l’utilizzo dei materiali industriali.
Caratteristico dello spirito innovatore dell’azienda è inoltre l'affidamento, nel 1962, del progetto del centro direzionale dell'Italsider all’architetto Konrad Wachsmann, motivo per cui egli si stabilisce nella città per quasi tre anni, per conoscerla in maniera approfondita, per esaminare i luoghi e i problemi collegati alla sua opera.
L’architetto studia quindi l'antico quartiere di via Madre di Dio, e la porzione di porto tra la Fiera del Mare e i cantieri creando un progetto che non si limita a ideare la sede dell'industria, ma si amplia all'ambiente esterno, risistemando parte del porto. L'intento di Wachsmann è “di giungere a un incontro tra l'antico e il nuovo, e di proiettare la città verso il futuro; il suo progetto è analizzato in relazione ai problemi di traffico,
comunicazione, sviluppo della città ecc., trasformando l'area prescelta per la sua costruzione nel centro nodale di Genova”. Il progetto è però considerato troppo moderno e ambizioso, e trova diversi ostacoli alla sua realizzazione tanto da non essere approvato. In quegli anni Rocco Borella e l’architetto tedesco-americano Konrad Wachsmann si frequentano assiduamente. Borella da tempo partecipava alla vita intellettuale in Liguria, in questa attività un ruolo essenziale era svolto dai coniugi genovesi Paolo e Lucia Rodocanachi presso la Villa Designe ad Arenzano, permettendogli di conoscere altri grandi personaggi della letteratura e dell’arte come Ungaretti e Gadda, Agenore Fabbri,Mario Labò, ecc.. Qui avvennero gli incontri/scontri tra Borella e Wachsmann. Questo scambio intellettuale spinse il Maestro a cercare un punto di cantatto tra arte contemporanea ed architettura, superando il concetto di “tela”, o “quadro”. Frank Stella e Konrad Wachsmann gli diedero sicuramente l’ispirazione per un processo di cambiamento che raggiunse il suo apice con la realizzazione della serie dei Guard-rail. Inizia una produzione artistica che prevede la sperimentazione a tutto campo dei materiali industriali in opere come i Rossi polimaterici, vere e proprie ustioni plastiche e le Pittosculture, assemblaggi di oggetti, tra cui chiodi, in una nitida forma rettangolare dipinta. Questa attività sperimentale si protrae per almeno dieci anni e vede due principali filoni di ricerca, le opere su vetri stampati e la ricerca su materiali sintetici come moquette, vinilpelle, nastri adesivi, formiche. Crea così l’epoca dei Nuovi Cromemi, non più pittorici ma sintetici, che rappresentano anche l’origine della ricerca “optical” e quella della “rifrazione del colore”; nei vetri stampati infatti sovrappone alle bande cromatiche un vetro smerigliato, variazione sul rapporto luce–colore dove si introduce un fattore dinamico e allo stesso tempo deformante (Fig. 11).
Per lo stesso motivo sperimenta anche la ceramica come materiale di supporto, con diverse opere realizzate soprattutto ad Albissola, dove la differente reazione del pigmento alla cottura è un elemento aggiuntivo alla strutturazione cromatica. Queste sperimentazioni sui materiali e la visione ottico–percettiva sono alla base della successiva forma di evoluzione del percorso dell’artista esemplificata nei Guard–rail (Fig. 9,10,12), dove nella superficie rigida e insieme colorata e specchiante della formica la materia-colore più adatta a supportare una ricerca di tipo ottico in cui l'abbinamento di forma e colore crea l'illusione di uno spazio multiplo che si dilata e si restringe o invece si ribalta in prospettive speculari o in profondità fittizie suggerite dall'alternanza di colori caldi e freddi.
Con i guard-rail Borella partecipa alla X Quadriennale romana del 1973 e inizia una nuova stagione di mostre personali: a Verona, alla Galleria Ferrari nel 1973; a Genova, sempre nel 1973, dove la Galleria La Polena gli dedica una nuova antologica, curata anche questa volta da Germano Beringheli; a Milano, Como, Roma, Bruxelles tra il 1976 e il 1977 e ancora a Milano nel 1978 alla Galleria Vismara.
Tuttavia, negli ultimi due decenni della sua vita creativa, proprio nello spirito di sperimentatore e di quello che definisce appunto “Arte Rigenerata”, torna alla pittura!
Solo nel 1986 però con la mostra tenuta alla Galleria Cesarea di Genova, viene presentata questa nuova fase, definita Pittura–colore, dove la linea diventa protagonista, provocando una torsione nella struttura orizzontale del cromema e quindi una rottura del suo sottile equilibrio degli anni ’60 e ’70. La rottura con il passato è accentuata dall'uso di colori violenti e dissonanti, marcati da pesanti contorni e alonature nere (Fig. 12 ), con una stesura pittorica che si fa nuovamente materica.
È evidente come questa visione si ponga in relazione con il clima culturale
contemporaneo cioè gli esiti più tardi della Nuova Pittura e l’idea coloristica espressiva della Transavanguardia, ma allo stesso tempo questa tipologia riunisce le sue esperienze pittoriche, con l’opposizione di colori caldi e freddi.
Nella fase più tarda della sua carriera alcuni problemi di salute, non gli impediscono di produrre, e neppure di partecipare a molte esposizioni oltre a iniziare una nuova sperimentazione cioè quella delle Tele Ripiegate o come la definisce l’autore, la sperimentazione della tovaglia ripiegata per cui è evidente che la tecnica di giustapposizione delle ricerche ottiche scientifiche precedenti lascia il posto ad una attività molto più semplice e quotidiana, i risultati sono comunque impressionanti, strabilianti. Secondo molti in questo periodo il Maestro raggiunge un nuovo traguardo artistico di qualità elevatissima. In queste opere la tela diviene una grande superficie, che è quasi sempre suddivisa in una metà dipinta con colori accesi, ed una seconda metà con colori sfumati ottenuta ripiegando su se stessa la metà dipinta con colori violenti, quando ancora fresca, in modo da produrre i giusti effetti sulla porzione restante.
Rocco Borella muore a venti anni dalla mostra di Palazzo di Palazzo Stella, a Genova il 23 Settembre del 1994, lasciando oltre alle opere, numerosi allievi formati nella sua lunga ed intensa attività didattica.
Ovviamente la sua attività è stata oggetto di studi molto più approfonditi da parte di Germano Beringheli, uno dei critici più rappresentativi per la storia dell’arte genovese e non solo, che avendo conosciuto Borella negli anni Quaranta, lo ha seguito per tutto il suo cammino artistico presentando molte sue esposizioni. A partire dagli anni Sessanta anche il critico Luciano Caprile si è interessato a lui ed è stato il primo a dedicargli, nel 1988, una monografia che è essenziale in quanto dà informazioni sulla sua attività didattica, sui contatti con il mondo letterario e artistico nazionale ed espone una prima antologia critica.
Nel corso della sua carriera artistica alte Autorità della critica d’arte si sono occupati della sua opera, come Germano Celant, Giulio Carlo Argan ed Umbro Apollonio.
Il nostro breve scritto, che accompagna la Mostra Personale di Palazzo Stella, non vuole e non può essere un capitolo di critica d’arte. Abbiamo cercato di riassumere il suo percorso artistico, ma anche sottolineare le correnti, i movimenti e le grandi Personalità che hanno concorso alla sua evoluzione pittorica. Qui di seguito, a fine del testo, vorremmo riprendere quanto scritto da Lui medesimo, “lasciare parlare il maestro” della Sua creatività e della Sua Arte, nonché far trasparire il Suo spirito, la Sua Umanità.
Associazione Culturale Rocco Borella
Sede Legale: P.zza Piccapietra 76/59 - 16121 Genova
www.archivioroccoborella.org
Rocco Borella in 1a Rassegna nazionale d’arte contemporanea (Saint Vincent, 1972) a c. di Giulio Carlo Argan
Bla bla bla bla bla... Ma questo lo fanno già i critici, pochi di loro hanno chiarito, veramente detto, pochi in realtà, 3, 5, 8, i a, forse nel nostro tempo, gli altri, giornalisti, cronisti, insegnanti, arrivisti, detentori di potere, pirati, bigotti dell'arte, ecc. bla bla bla bla e se non stai attento ti rompono le scatole, ti guidano, ti alienano, convinti di essere utili, importanti, indispensabili, ed invece sono i reazionari, i mafiosi, quelli che qualche volta sanno tutto e nient'altro. Noi operatori abbiamo la pace nel cuore, abbiamo voglia di vivere, di rifare il mondo, siamo profondamente onesti, e non ci vogliono, non ce lo permettono, ci riducono nell'impossibilità di fare, ci temono, perché siamo operatori che contestiamo sempre, e non ci fermiamo mai, ed invece, ci vorrebbero, famosi, aristocratici, o ruffiani, diplomatici, ci vorrebbero vedere pittori col mestiere in mano, e noi non abbiamo mestiere, ci chiamano ad insegnare nelle scuole artisti-per chiara fama e poi ci fanno fare l'impiegato, signore sì, signore no, scrivo come penso e faccio quello che sono, faccio e disfo, per me e per gli altri, per esporre in grandi mostre e piccole mostre, faccio per vendere o barattare, per regalare per gettare, e i galleristi non vogliono, vogliono anch'essi l'uomo contabile, ostinato, l’economia, ma di questi ve ne sono troppi, pullulano, e infatti non si può accedere, come nella casa di Dio. Qui si consacrano ancora gli dei, gli istrioni, io lavoro per me e per gli altri, per la didattica, per smaltire, e mi sono appropriato, inventato un termine, per fare arte: (ARTE RIGENERATA), sono libero indipendente, W la libertà, W l'arte rigenerata, dove posso smaltire le carenze affettive della mia infanzia, posso leccarmi le dita di marmellata e usare ovunque lo stecchino da denti. Faccio queste cose giocando, scherzando, a volte serio, rigoroso, per caso sognando, trovando subito.
Rocco Borella, Autopresentazione in Costruttivismo internazionale
(Brescia 1975)
Dal tempo in cui il risultato della mia ricerca era una pittura che corrispondeva sostanzialmente ad una intenzionale cultura della percezione, il mio lavoro ha seguito una linea tendente sempre più a vertere su alcune proposizioni di base che, accettando la definizione di un critico, chiamerei "riflessione iconica del razionale". Ho cercato, in questi anni, di integrare con logica sistematica la liberazione dovuta all'informale in una regolarità strutturale; il tempo più recente è stato occupato ad erigere una costruzione che si può definire distillata, conchiusa in una immagine percettiva che ha isolato i singoli dati espressivi per recarli in una stesura capace dì fornire una valutazione precipuamente estetica, una aggettivazione psicologicamente condizionata.
Successivamente la mia attività è stata caratterizzata da un più approfondito interesse per 'autonomia semantica dell'oggetto colore, che rifiuta ogni dichiarazione formale abbandonando ogni dualismo codice-messaggio; sono passato dalla "forma" del colore alla sua "sostanza" visiva, alla sua identificazione di quei tropismi che in esso la luce, il timbro, la quantità permettevano di invenire. Proseguendo sulla via di quello che, sin dalle origini, il mio lavoro aveva voluto essere, cioè contributo ad un duplice impegno, metodologico o teoretico, ho oggettivato il colore come strumento dell'analisi visivo-percettiva, l'ho elaborato in relazione alle sue caratteristiche essenziali. Il colore, assunto come realtà pura, produce una presenza di relazioni che egli stesso costituirà nelle diverse situazioni fisiche (per esempio spazio-temporali) in cui si porrà, presenza strumentale di un discorso tutto didattico.
Note:
1 Editore, Presidente “Fondazione De Ferrari”, Vice-Presidente Associazione Rocco Borella
2 Storico dell’Arte
3 Socio Effettivo Associazione Rocco Borella
4 Presidente Associazione Rocco Borella
22
novembre 2014
L’arte rigenerata di Rocco Borella (1920-1994)
Dal 22 novembre al 23 dicembre 2014
arte contemporanea
Location
SATURA – PALAZZO STELLA
Genova, Piazza Stella, 5/1, (Genova)
Genova, Piazza Stella, 5/1, (Genova)
Orario di apertura
da martedì a venerdì ore 9.30-13 e 15-19
sabato ore 15-19
Vernissage
22 Novembre 2014, ore 17.00
Autore
Curatore