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Valentina De’ Mathà – Flashback
La Nellimya: light art exhibition è lieta di annunciare la mostra personale Flashback dell’artista Valentina De’ Mathà che inaugurerà sabato 15 novembre.
Comunicato stampa
Segnala l'evento
☛ Flashback. Una conversazione con Valentina De’ Mathà
di Paolo Cappelletti
PC: Che cosa stai cercando di raggiungere attraverso la tua pratica artistica, Valentina?
VDM: Una più alta consapevolezza dell’esistenza umana.
PC: La tua ricerca sul concetto di simultaneità di causa ed effetto intride la tua arte. Come riesci a circoscrivere questo tema nei lavori della serie presentata in Flashback? Inoltre, poiché credo che alcuni dei lavori della serie richiamino alla mente sintetici paesaggi notturni — topograficamente ambigui ma cinematograficamente vividi —, vorrei chiederti un’altra cosa: attraverso quale tecnica riesci a lasciar emergere e poi imbrigliare la loro luce?
VDM: Si tratta di opere create in camera oscura attraverso sovrapposizioni di sostanze chimiche, variazioni di temperatura di quest’ultime, dell’acqua e fonti luminose su carte emulsionate.
Il processo di realizzazione è spesso lungo e complesso, ma va gestito con velocità e dinamicità, tenendo conto delle giuste dosi dei chimici, dei movimenti, dei tempi.
La tecnica è basata sul concetto di causa-effetto e sulla visione dialettica tra gli input che io do alla materia e la sua capacità di reazione, dando però ampio margine ad una percentuale di meccanismi non deterministici e sfumature tipici della fisica quantistica, altro punto cardine della mia ricerca. Narrano paesaggi luminosi, fantastici, distorsioni della psiche, epifanie, déjà vu, visioni oniriche e, appunto, flashback. Sono ambivalenti, intrisi di luce e paradossalmente, vengono realizzati nella quasi totale assenza di essa.
PC: Altri lavori ricordano le largamente note macchie di inchiostro utilizzate da Hermann Rorschach negli omonimi test psicologici proiettivi. Immagino che ciò non rappresenti una coincidenza…
VDM: No, non è una coincidenza; è una serie di lavori dedicati proprio alle tavole di Rorschach, ma in questo caso le figure ambigue sono ottenute grazie a procedimenti chimici. Mi affascinano la psiche umana e la psicologia in generale — anche se non credo nella psicoterapia. In particolare, alcuni meccanismi che si innescano in modo incontrollato nella mente umana catturano il mio interesse.
In passato ho creato un’installazione interpretando la teoria di Jacques Lacan sulla “mancanza-ad-essere”, da lui denominata béance e due video-art (Trip e Il godimento è una tensione che non raggiunge mai la sua realizzazione, poiché può avere luogo solo quando non ha luogo) basati sui viaggi della mente, sulle dipendenza, sulle mancanza di lucidità, sul disturbo ossessivo-compulsivo e sul desiderio irrisolto.
PC: Da tempo, attraverso il tuo lavoro, analizzi le capacità reattive che gli esseri umani mettono in gioco di fronte a eventi inesplicabili e apparentemente inevitabili. Senti che anche in questa serie il tema sia, in qualche modo, trattato?
VDM: Assolutamente, sia attraverso la tecnica di realizzazione sia attraverso il concetto su cui è basato l’intero progetto espositivo. I flashback, le visioni oniriche, i déjà vu, i test psicologici, sono in qualche modo la manifestazione di qualcosa che è già avvenuto, la conseguenza di un evento passato che torna improvvisamente e inspiegabilmente, in modo incontrollato, nel presente.
PC: E quanto il tema della resilienza di fronte all’aumento di disordine (entropia) del sistema sociale pervade il tuo lavoro?
VDM: Sono fondamentalmente una persona incoerente e reputo ciò un pregio. L’incoerenza mi da modo di mettermi in gioco quotidianamente, di essere dinamica e sentirmi in movimento, in crescita. Alimenta il mio bisogno di rimettermi in discussione quando è necessario e di adattarmi, di plasmarmi in qualche modo rispetto agli eventi che mi circondano nel quotidiano e che inevitabilmente mi nutrono e coinvolgono, nonostante il percorso da seguire sia comunque già indirizzato e la mia indole ben definita. Il mio lavoro per andare avanti, nutrirsi e crescere, ha necessariamente bisogno di adattarsi al mio passo, di essere anch’esso resiliente. Quasi sempre creo delle opere in base ai materiali che ho a disposizione, ai luoghi che mi circondano in quel determinato momento e quasi mai il contrario. Cerco di assecondare quasi sempre i tempi della natura e di vivere, per quanto possa essere possibile, il presente.
PC: Nel finale di Belye noči, Le notti bianche, il sognatore di Fëdor Dostoevskij riassume così il suo tormento d’amore e la sua riconoscenza per Nasten’ka: “Dio mio! Un intero attimo di beatitudine!” Credi che il processo creativo e i suoi risultati possano, parimenti, portarci verso quell’attimo di beatitudine?
VDM: Mi fa piacere che tu abbia citato Dostoevskij e il suo romanzo Le notti bianche, in qualche modo riferibile ai paesaggi notturni presentati in Flashback. Sono molto legata ai grandi maestri russi e, in particolare, Andrej Tarkovskij e Dostoevskij sono annoverabili tra i miei punti cardini fondamentali. Sì, credo che questa totale apertura dell’emisfero destro durante la fase creativa e, successivamente, quella contemplativa, ti porti a toccare determinati punti che ti proiettano in uno stato di totale estasi e beatitudine che si raggiungono quando si entra in contatto con il Tutto.
PC: Che cosa è per te l’estasi artistica? Verso quali visioni ti conduce?
VDM: È un legame tra me e il Tutto. È il sentirsi concreti attraverso il senso di identità che si raggiunge tramite il fare.
PC: Vi è spesso nei tuoi lavori un quid che rimanda, a mio giudizio, a una sorta di sacralità o comunque a una ierofania, cioè alla coscienza della presenza di qualcosa di sacro. È così?
VDM: Il lavoro è sacro e va maneggiato con cura. Ha un’anima. Un’anima propria sommata alla tua. Ha bisogno dei giusti tempi, di essere contemplato e toccato da occhi sinceri e rispettato e difeso sopra ogni cosa perché è la parte più intima di te, è la rivelazione della tua catarsi.
PC: Dimostri sempre la capacità di gestire la tua pratica secondo il motto ne quid nimis, niente di troppo. Come raggiungi questa essenzialità?
VDM: Attraverso la ritualità del lavoro.
☛ Flashback. A conversation with Valentina De’ Mathà
by Paolo Cappelletti
PC: What are you trying to achieve through your artistic practice, Valentina?
VDM: A higher awareness of human existence.
PC: Your art is imbued with your research on the concept of the simultaneity of cause and effect. How are you narrowing down this theme in the Flashback series? Moreover, as I think that some works from this series evoke essential nocturnal landscapes — topographically ambiguous, yet cinematographically vivid —, I would like to ask you one more thing: which technique do you use in order to let their light emerge and to harness it?
VDM: These works were created in my darkroom through the mixing of chemicals, and through their temperature changes, as well as water and light temperature variations on emulsified paper.
It is a long and complex creative process, which has to be realized speedily and dynamically while considering the right amount of chemicals, movements, and time.
This technique is based on the concept of cause and effect and on the dialectics between my action on matter and its reaction to it, but I also give vent to a high percentage of non-deterministic mechanisms and to the typical uncertainty of quantum mechanics, which is another cornerstone of my research. These works are narrating bright, fantastic landscapes, psychological distortions, epiphanies, déjà vu, dreamlike visions, as well as flashbacks, of course. They are undecided, imbued with light, even though they are paradoxically realized in the total absence of light.
PC: Some other works resemble the widely known inkblots that Hermann Rorschach used in the homonymous psychological tests. I don’t think it’s a coincidence…
VDM: Well, it’s no coincidence, because I dedicated this series to the Rorschach test. But, in this case, the ambiguous pictures are created through chemical processes. I am fascinated by human psyche and psychology in general — even though I don’t believe in psychotherapy. In particular, I developed an interest in some inner workings that are uncontrollably sparked off in the human mind. Some time ago, while interpreting Jacques Lacan’s theory on the lack of being (manque à être) that he called béance, I created an installation and two video art works (Trip and Il godimento è una tensione che non raggiunge mai la sua realizzazione, poiché può avere luogo solo quando non ha luogo) based on mental journeys, on addictions, on loss of mental acuity, on OCD (obsessive-compulsive disorder) and on unresolved desire.
PC: Through your work, and for a long time, you have been analyzing human reactivity that individuals put into play when they are facing inexplicable and apparently inevitable events. Do you think that this series is dealing with this subject?
VDM: Absolutely, both through the technical implementation and the concept on which the whole exhibition project is based. To a certain extent, flashbacks, dreamlike visions, déjà vu, psychological tests represent the manifestation of something that already happened, the consequence of a past event that suddenly, inexplicably, and uncontrollably, comes back to the present.
PC: And to what extent do you think the theme of psychological resilience facing the increase of disorder (entropy) of the social system affects your work?
VDM: Basically, I am not a coherent person and that is one of my greatest strengths. Incoherence gives me an opportunity to put myself out there on a daily basis, and to be dynamic and grow as a person. It nourishes my need for questioning myself when necessary and to adapt to all the events that happen every day. Inevitably, those events affect me, nourish me and get me involved, despite the fact that my path has been set and my nature is well-defined. My work can make progress, enhance and grow when it keeps pace with me; it has to be resilient, as well. I generally create artworks taking into account both the available materials and the environment that surrounds me in a particular moment; never the other way around. I try to indulge myself with nature, its phases, and I try to live, as far as possible, in the present.
PC: At the end of Belye noči, White Nights, Fëdor Dostoevskij’s dreamer sums up his torments of love and gratitude to Nasten’ka with these words: “Good Lord, only a moment of bliss?” Do you think that the creative process and its outcomes could equally lead us to that moment of bliss?
VDM: I am glad that you quoted Dostoevskij’s White Nights, which is in some way related to the nocturnal landscapes featured in Flashback. I am very attached to the Russian masters, particularly Andrej Tarkovskij and Dostoevskij who are so inspirational. Yes, I think that the proper opening of the right cerebral hemisphere during the creative phase, and consequently the contemplative phase, gives us the chance to be projected into a state of bliss and ecstasy, which is only reachable when you feel connected to everything.
PC: What is the ecstasy of art, according to you? Is it leading you to new visions?
VDM: It is a bond between me and everything else. It has to do with feeling real through a sense of identity that is achievable by creating.
PC: I usually find something special in you works, a kind of sacredness or hierophany, i.e. the awareness of the presence of something sacred. Is that so?
VDM: Work is sacred and it should be handled with care. It has a soul. It has its own soul. It needs time and perfect timing; it needs to be contemplated and admired by sincere eyes, respected and preserved above everything else, because it’s the innermost part of yourself. It’s the revelation of your catharsis.
PC: You are always showing the ability to manage your practice according to the well-known motto ne quid nimis, nothing in excess. How do you reach such essentiality?
VDM: Through the rituality of work.
di Paolo Cappelletti
PC: Che cosa stai cercando di raggiungere attraverso la tua pratica artistica, Valentina?
VDM: Una più alta consapevolezza dell’esistenza umana.
PC: La tua ricerca sul concetto di simultaneità di causa ed effetto intride la tua arte. Come riesci a circoscrivere questo tema nei lavori della serie presentata in Flashback? Inoltre, poiché credo che alcuni dei lavori della serie richiamino alla mente sintetici paesaggi notturni — topograficamente ambigui ma cinematograficamente vividi —, vorrei chiederti un’altra cosa: attraverso quale tecnica riesci a lasciar emergere e poi imbrigliare la loro luce?
VDM: Si tratta di opere create in camera oscura attraverso sovrapposizioni di sostanze chimiche, variazioni di temperatura di quest’ultime, dell’acqua e fonti luminose su carte emulsionate.
Il processo di realizzazione è spesso lungo e complesso, ma va gestito con velocità e dinamicità, tenendo conto delle giuste dosi dei chimici, dei movimenti, dei tempi.
La tecnica è basata sul concetto di causa-effetto e sulla visione dialettica tra gli input che io do alla materia e la sua capacità di reazione, dando però ampio margine ad una percentuale di meccanismi non deterministici e sfumature tipici della fisica quantistica, altro punto cardine della mia ricerca. Narrano paesaggi luminosi, fantastici, distorsioni della psiche, epifanie, déjà vu, visioni oniriche e, appunto, flashback. Sono ambivalenti, intrisi di luce e paradossalmente, vengono realizzati nella quasi totale assenza di essa.
PC: Altri lavori ricordano le largamente note macchie di inchiostro utilizzate da Hermann Rorschach negli omonimi test psicologici proiettivi. Immagino che ciò non rappresenti una coincidenza…
VDM: No, non è una coincidenza; è una serie di lavori dedicati proprio alle tavole di Rorschach, ma in questo caso le figure ambigue sono ottenute grazie a procedimenti chimici. Mi affascinano la psiche umana e la psicologia in generale — anche se non credo nella psicoterapia. In particolare, alcuni meccanismi che si innescano in modo incontrollato nella mente umana catturano il mio interesse.
In passato ho creato un’installazione interpretando la teoria di Jacques Lacan sulla “mancanza-ad-essere”, da lui denominata béance e due video-art (Trip e Il godimento è una tensione che non raggiunge mai la sua realizzazione, poiché può avere luogo solo quando non ha luogo) basati sui viaggi della mente, sulle dipendenza, sulle mancanza di lucidità, sul disturbo ossessivo-compulsivo e sul desiderio irrisolto.
PC: Da tempo, attraverso il tuo lavoro, analizzi le capacità reattive che gli esseri umani mettono in gioco di fronte a eventi inesplicabili e apparentemente inevitabili. Senti che anche in questa serie il tema sia, in qualche modo, trattato?
VDM: Assolutamente, sia attraverso la tecnica di realizzazione sia attraverso il concetto su cui è basato l’intero progetto espositivo. I flashback, le visioni oniriche, i déjà vu, i test psicologici, sono in qualche modo la manifestazione di qualcosa che è già avvenuto, la conseguenza di un evento passato che torna improvvisamente e inspiegabilmente, in modo incontrollato, nel presente.
PC: E quanto il tema della resilienza di fronte all’aumento di disordine (entropia) del sistema sociale pervade il tuo lavoro?
VDM: Sono fondamentalmente una persona incoerente e reputo ciò un pregio. L’incoerenza mi da modo di mettermi in gioco quotidianamente, di essere dinamica e sentirmi in movimento, in crescita. Alimenta il mio bisogno di rimettermi in discussione quando è necessario e di adattarmi, di plasmarmi in qualche modo rispetto agli eventi che mi circondano nel quotidiano e che inevitabilmente mi nutrono e coinvolgono, nonostante il percorso da seguire sia comunque già indirizzato e la mia indole ben definita. Il mio lavoro per andare avanti, nutrirsi e crescere, ha necessariamente bisogno di adattarsi al mio passo, di essere anch’esso resiliente. Quasi sempre creo delle opere in base ai materiali che ho a disposizione, ai luoghi che mi circondano in quel determinato momento e quasi mai il contrario. Cerco di assecondare quasi sempre i tempi della natura e di vivere, per quanto possa essere possibile, il presente.
PC: Nel finale di Belye noči, Le notti bianche, il sognatore di Fëdor Dostoevskij riassume così il suo tormento d’amore e la sua riconoscenza per Nasten’ka: “Dio mio! Un intero attimo di beatitudine!” Credi che il processo creativo e i suoi risultati possano, parimenti, portarci verso quell’attimo di beatitudine?
VDM: Mi fa piacere che tu abbia citato Dostoevskij e il suo romanzo Le notti bianche, in qualche modo riferibile ai paesaggi notturni presentati in Flashback. Sono molto legata ai grandi maestri russi e, in particolare, Andrej Tarkovskij e Dostoevskij sono annoverabili tra i miei punti cardini fondamentali. Sì, credo che questa totale apertura dell’emisfero destro durante la fase creativa e, successivamente, quella contemplativa, ti porti a toccare determinati punti che ti proiettano in uno stato di totale estasi e beatitudine che si raggiungono quando si entra in contatto con il Tutto.
PC: Che cosa è per te l’estasi artistica? Verso quali visioni ti conduce?
VDM: È un legame tra me e il Tutto. È il sentirsi concreti attraverso il senso di identità che si raggiunge tramite il fare.
PC: Vi è spesso nei tuoi lavori un quid che rimanda, a mio giudizio, a una sorta di sacralità o comunque a una ierofania, cioè alla coscienza della presenza di qualcosa di sacro. È così?
VDM: Il lavoro è sacro e va maneggiato con cura. Ha un’anima. Un’anima propria sommata alla tua. Ha bisogno dei giusti tempi, di essere contemplato e toccato da occhi sinceri e rispettato e difeso sopra ogni cosa perché è la parte più intima di te, è la rivelazione della tua catarsi.
PC: Dimostri sempre la capacità di gestire la tua pratica secondo il motto ne quid nimis, niente di troppo. Come raggiungi questa essenzialità?
VDM: Attraverso la ritualità del lavoro.
☛ Flashback. A conversation with Valentina De’ Mathà
by Paolo Cappelletti
PC: What are you trying to achieve through your artistic practice, Valentina?
VDM: A higher awareness of human existence.
PC: Your art is imbued with your research on the concept of the simultaneity of cause and effect. How are you narrowing down this theme in the Flashback series? Moreover, as I think that some works from this series evoke essential nocturnal landscapes — topographically ambiguous, yet cinematographically vivid —, I would like to ask you one more thing: which technique do you use in order to let their light emerge and to harness it?
VDM: These works were created in my darkroom through the mixing of chemicals, and through their temperature changes, as well as water and light temperature variations on emulsified paper.
It is a long and complex creative process, which has to be realized speedily and dynamically while considering the right amount of chemicals, movements, and time.
This technique is based on the concept of cause and effect and on the dialectics between my action on matter and its reaction to it, but I also give vent to a high percentage of non-deterministic mechanisms and to the typical uncertainty of quantum mechanics, which is another cornerstone of my research. These works are narrating bright, fantastic landscapes, psychological distortions, epiphanies, déjà vu, dreamlike visions, as well as flashbacks, of course. They are undecided, imbued with light, even though they are paradoxically realized in the total absence of light.
PC: Some other works resemble the widely known inkblots that Hermann Rorschach used in the homonymous psychological tests. I don’t think it’s a coincidence…
VDM: Well, it’s no coincidence, because I dedicated this series to the Rorschach test. But, in this case, the ambiguous pictures are created through chemical processes. I am fascinated by human psyche and psychology in general — even though I don’t believe in psychotherapy. In particular, I developed an interest in some inner workings that are uncontrollably sparked off in the human mind. Some time ago, while interpreting Jacques Lacan’s theory on the lack of being (manque à être) that he called béance, I created an installation and two video art works (Trip and Il godimento è una tensione che non raggiunge mai la sua realizzazione, poiché può avere luogo solo quando non ha luogo) based on mental journeys, on addictions, on loss of mental acuity, on OCD (obsessive-compulsive disorder) and on unresolved desire.
PC: Through your work, and for a long time, you have been analyzing human reactivity that individuals put into play when they are facing inexplicable and apparently inevitable events. Do you think that this series is dealing with this subject?
VDM: Absolutely, both through the technical implementation and the concept on which the whole exhibition project is based. To a certain extent, flashbacks, dreamlike visions, déjà vu, psychological tests represent the manifestation of something that already happened, the consequence of a past event that suddenly, inexplicably, and uncontrollably, comes back to the present.
PC: And to what extent do you think the theme of psychological resilience facing the increase of disorder (entropy) of the social system affects your work?
VDM: Basically, I am not a coherent person and that is one of my greatest strengths. Incoherence gives me an opportunity to put myself out there on a daily basis, and to be dynamic and grow as a person. It nourishes my need for questioning myself when necessary and to adapt to all the events that happen every day. Inevitably, those events affect me, nourish me and get me involved, despite the fact that my path has been set and my nature is well-defined. My work can make progress, enhance and grow when it keeps pace with me; it has to be resilient, as well. I generally create artworks taking into account both the available materials and the environment that surrounds me in a particular moment; never the other way around. I try to indulge myself with nature, its phases, and I try to live, as far as possible, in the present.
PC: At the end of Belye noči, White Nights, Fëdor Dostoevskij’s dreamer sums up his torments of love and gratitude to Nasten’ka with these words: “Good Lord, only a moment of bliss?” Do you think that the creative process and its outcomes could equally lead us to that moment of bliss?
VDM: I am glad that you quoted Dostoevskij’s White Nights, which is in some way related to the nocturnal landscapes featured in Flashback. I am very attached to the Russian masters, particularly Andrej Tarkovskij and Dostoevskij who are so inspirational. Yes, I think that the proper opening of the right cerebral hemisphere during the creative phase, and consequently the contemplative phase, gives us the chance to be projected into a state of bliss and ecstasy, which is only reachable when you feel connected to everything.
PC: What is the ecstasy of art, according to you? Is it leading you to new visions?
VDM: It is a bond between me and everything else. It has to do with feeling real through a sense of identity that is achievable by creating.
PC: I usually find something special in you works, a kind of sacredness or hierophany, i.e. the awareness of the presence of something sacred. Is that so?
VDM: Work is sacred and it should be handled with care. It has a soul. It has its own soul. It needs time and perfect timing; it needs to be contemplated and admired by sincere eyes, respected and preserved above everything else, because it’s the innermost part of yourself. It’s the revelation of your catharsis.
PC: You are always showing the ability to manage your practice according to the well-known motto ne quid nimis, nothing in excess. How do you reach such essentiality?
VDM: Through the rituality of work.
15
novembre 2014
Valentina De’ Mathà – Flashback
Dal 15 novembre al 14 dicembre 2014
arte contemporanea
serata - evento
serata - evento
Location
NELLIMYA: LIGHT ART EXHIBITION
Cademario, Via Ur Strdón, 11, (Lugano)
Cademario, Via Ur Strdón, 11, (Lugano)
Orario di apertura
giovedì: 15.00 – 21.00
sabato: 10.30 – 13.30 | 15.00 – 19.00
domenica: 15.00 – 18.00
Vernissage
15 Novembre 2014, Dalle ore 17.00
Autore