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29
luglio 2009
fino al 12.IX.2009 Chantal Michel Genova, Rebecca Container
genova
Da quello colto di Cindy Sherman a quello più irridente di Morimura. È il travestitismo citazionista, che torna nel ciclo dell’artista svizzera. Insieme a un annoso problema: copia od originale? Allo spettatore scoprirlo...
di Angela Pippo
Il nuovo ciclo di Chantal Michel (Berna, 1968) sembra rivisitare le stanze di un illustre museo immaginario, vagliandolo con gusto passatista, come se fosse una copia artigianale. Fedele alle linee guida della sua ricerca – un’insistente autoriflessione in presa diretta sul proprio corpo e sull’ambiente mutevolmente visionario che lo ospita – l’artista svizzera inaugura un nuovo interesse verso i dipinti del passato.
Ha illustri apripista il citazionismo iconografico dell’elvetica che, ripercorrendo le orme di alcuni big dell’arte contemporanea dell’ultimo trentennio – come non percepire un filo rosso che la mette in comunicazione col travestitismo colto di Cindy Sherman o con le semi-parodistiche reinterpretazioni del giapponese Morimura -, si cimenta a carriera inoltrata in un dialogo costruttivo con immagini dipinte in un passato più o meno lontano. Michel si appropria in maniera personale del “filone”, ma nei suoi scatti non si trovano dissacranti e ironici prestiti da celebri effigi del tempo andato, e neppure appropriazioni provocatoriamente “tali e quali”.
Con il candore di un gioco, si direbbe che la sua sia prima di tutto una sfida contro i rigidi confini di una realtà oggettivamente riproducibile. Se l’impressionismo di Degas o il simbolismo di Hodler sono modus operandi differenti per trarre una soggettiva duplicazione della realtà, perché viceversa la realtà dell’artista non potrebbe essere una copia empiricamente verificabile della tormentata pennellata vangoghiana o addirittura di un linearismo semi-astratto mutuato da Klee?
È proprio il fascino delle peculiarità di tecniche pittoriche diverse nella pratica, nel tempo e nello spazio che spinge il lavoro della fotografa a cimentarsi nella costruzione di grandi tableaux vivants in cui la protagonista è sempre se stessa: replicata, mascherata, spalmata di colore, inserita in evanescenti fondali dipinti, immobilizzata in artefatte pose.
Un impasto perfettamente dosato tra performance, fotografia e pittura, dove alla compiacenza e al fascino del travestitismo si combina un attento gusto per un’estetica armonicamente impeccabile. La leggera patina di colore dipinto direttamente sul soggetto fotografato non obbliga l’artista a ritocchi successivi allo scatto, ma regala una patina di pittorialismo.
Michel tira poi in ballo lo spettatore e la sua sagacia coinvolgendolo nel gioco di scambi fra originale pittorico e riproduzione fotografata: riferendosi alla sezione dei ritratti d’autore, una tabella viene fornita di piccoli listelli che recano l’esemplare originale da coordinare con quelli che invece riportano la copia interpretata dall’artista.
Ha illustri apripista il citazionismo iconografico dell’elvetica che, ripercorrendo le orme di alcuni big dell’arte contemporanea dell’ultimo trentennio – come non percepire un filo rosso che la mette in comunicazione col travestitismo colto di Cindy Sherman o con le semi-parodistiche reinterpretazioni del giapponese Morimura -, si cimenta a carriera inoltrata in un dialogo costruttivo con immagini dipinte in un passato più o meno lontano. Michel si appropria in maniera personale del “filone”, ma nei suoi scatti non si trovano dissacranti e ironici prestiti da celebri effigi del tempo andato, e neppure appropriazioni provocatoriamente “tali e quali”.
Con il candore di un gioco, si direbbe che la sua sia prima di tutto una sfida contro i rigidi confini di una realtà oggettivamente riproducibile. Se l’impressionismo di Degas o il simbolismo di Hodler sono modus operandi differenti per trarre una soggettiva duplicazione della realtà, perché viceversa la realtà dell’artista non potrebbe essere una copia empiricamente verificabile della tormentata pennellata vangoghiana o addirittura di un linearismo semi-astratto mutuato da Klee?
È proprio il fascino delle peculiarità di tecniche pittoriche diverse nella pratica, nel tempo e nello spazio che spinge il lavoro della fotografa a cimentarsi nella costruzione di grandi tableaux vivants in cui la protagonista è sempre se stessa: replicata, mascherata, spalmata di colore, inserita in evanescenti fondali dipinti, immobilizzata in artefatte pose.
Un impasto perfettamente dosato tra performance, fotografia e pittura, dove alla compiacenza e al fascino del travestitismo si combina un attento gusto per un’estetica armonicamente impeccabile. La leggera patina di colore dipinto direttamente sul soggetto fotografato non obbliga l’artista a ritocchi successivi allo scatto, ma regala una patina di pittorialismo.
Michel tira poi in ballo lo spettatore e la sua sagacia coinvolgendolo nel gioco di scambi fra originale pittorico e riproduzione fotografata: riferendosi alla sezione dei ritratti d’autore, una tabella viene fornita di piccoli listelli che recano l’esemplare originale da coordinare con quelli che invece riportano la copia interpretata dall’artista.
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Piazza Grillo Cattaneo, 2r (centro storico) – 16123 Genova
Orario: da martedì a sabato ore 16-19 o su appuntamento
Ingresso libero
Info: tel. +39 0102543584; fax +39 0102516819; info@rebeccacontainer.com; www.rebeccacontainer.com
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