Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
08
settembre 2009
arteatro_festival In–Transit
arteatro
Giunge alla settima edizione il festival internazionale d’arti performative. Performance, conferenze, dibattiti teorici, esposizioni e installazioni. Per riflettere a Berlino sulla sottile linea che che separa lo status di oggetto da quello di soggetto...
di Elisa Ricci
In-Transit, festival berlinese dedicato alle arti performative,
prende forma in una tensione fra processi socio-politici da un lato e posizioni
artistiche dall’altro. Già a partire dalla prima edizione del 2002 è dedicato
agli sviluppi nelle arti performative in Asia, Africa e nelle Americhe e alla
loro relazione con la scena europea.
L’edizione del 2009, curata da André Lepecki – teorico, ricercatore,
drammaturgo e curatore d’origini brasialiane, ma di base a New York – è
dedicata alla “resistenza dell’oggetto”, tema ispirato dall’omonimo saggio del teorico
afro-americano Fred Moten. Un programma densissimo di spettacoli, azioni
performative, installazioni permanenti, laboratori, lecture, e vari formati
ibridi, in una continua tensione tra spazio espositivo e spazio teatrale, per
lo spettatore, un percorso in territori di confine tra le arti.
Esemplare a questo proposito è la serata inaugurale, che
presenta una serie d’installazioni tra cui un gigantesco white cube posizionato
nella sala d’ingresso, abitato per tutta la durata del festival da Maria
José Ariona,
artista colombiana che fa le bolle, bolle rosse che lasciano tracce come di
sangue sulle pareti bianco candido.
Un accostamento di colori, bianco candido e rosso sangue,
che ritorna nello spettacolo d’apertura, Hibiki, della compagnia Sankai Juku fondata dal danzatore butoh Ushio
Amagatsu, che con
i suoi 75 anni porta in scena una poesia del corpo che trascende il dolore e
rivive oltre la violenza. A fine spettacolo danza anche il pubblico, coinvolto
da una musica dance ad alto volume e da animatori/danzatori che trasformano la
Casa delle Culture in una gran pista da ballo.
Gli oggetti giocano un ruolo dominante e diventano attori
principali, come nel solo-performance della giovanissima Aitana Cordero, che letteralmente testa la
resistenza dell’oggetto, prendendo a martellate e distruggendo cose d’uso
quotidiano, da lei distribuite con strana cura e in quantità nello spazio.
Cordero mette in scena la relazione con gli oggetti, il rapporto d’odio-amore
che può nascere tra noi e loro, tanto che, quando poi li distrugge, il pubblico
dà segno di una certa compassione.
L’oggetto diventa protagonista anche nel lavoro della
compagnia nippo-finlandese Deep Blue, che offre al pubblico una serie di scatolette interattive che ne
distolgono completamente l’attenzione dall’agire dei corpi. L’oggetto diventa
performance e sovrasta i corpi, come nell’installazione performativa Rubbish
City del
collettivo Lilith Performance Studio, dove il pubblico deve letteralmente scovare i performer
in una città fatta di spazzatura allestita nella sala delle esposizioni.
I corpi diventano oggetto di un esperimento scientifico
bizzarro del coreografo Trajal Harrel: un gruppo di performer che ha assunto Ambien, il
sonnifero più diffuso negli Usa, si sdraia a dormire a terra; il pubblico è
libero di circolare e guardare. Con Gustavia, Matilde Monnier e La Ribot non permettono agli oggetti di
prendere il loro posto, ma mettono in scena i loro corpi di danzatrici quasi
cinquantenni, con un ironico da consumarsi preferibilmente entro la data di
scadenza… in
una commedia che ne mostra la trasformazione con mezzi assurdi e sculturali.
A concludere, la performance Black!….White? della coreografa sudafricana Nelisiwe
Xaba, che parla
del desiderio di cambiare colore di pelle e della sue implicazioni in un gioco
di stratificazioni di bianco e di nero.
Il festival nel suo insieme è un tessuto attraversato da
venature laboratoriali, da performance che si costruiscono durante il festival
stesso, come quelle di Homan Sharifi e Julie Tolentino, o come i laboratori teorici in collaborazione con
diverse università internazionali e berlinesi. Un tessuto, ma anche una sorta
di antologia della performance contemporanea, con filoni tematici tesi fra
generazioni diverse di artisti che sono parte della scena globale.
prende forma in una tensione fra processi socio-politici da un lato e posizioni
artistiche dall’altro. Già a partire dalla prima edizione del 2002 è dedicato
agli sviluppi nelle arti performative in Asia, Africa e nelle Americhe e alla
loro relazione con la scena europea.
L’edizione del 2009, curata da André Lepecki – teorico, ricercatore,
drammaturgo e curatore d’origini brasialiane, ma di base a New York – è
dedicata alla “resistenza dell’oggetto”, tema ispirato dall’omonimo saggio del teorico
afro-americano Fred Moten. Un programma densissimo di spettacoli, azioni
performative, installazioni permanenti, laboratori, lecture, e vari formati
ibridi, in una continua tensione tra spazio espositivo e spazio teatrale, per
lo spettatore, un percorso in territori di confine tra le arti.
Esemplare a questo proposito è la serata inaugurale, che
presenta una serie d’installazioni tra cui un gigantesco white cube posizionato
nella sala d’ingresso, abitato per tutta la durata del festival da Maria
José Ariona,
artista colombiana che fa le bolle, bolle rosse che lasciano tracce come di
sangue sulle pareti bianco candido.
Un accostamento di colori, bianco candido e rosso sangue,
che ritorna nello spettacolo d’apertura, Hibiki, della compagnia Sankai Juku fondata dal danzatore butoh Ushio
Amagatsu, che con
i suoi 75 anni porta in scena una poesia del corpo che trascende il dolore e
rivive oltre la violenza. A fine spettacolo danza anche il pubblico, coinvolto
da una musica dance ad alto volume e da animatori/danzatori che trasformano la
Casa delle Culture in una gran pista da ballo.
Gli oggetti giocano un ruolo dominante e diventano attori
principali, come nel solo-performance della giovanissima Aitana Cordero, che letteralmente testa la
resistenza dell’oggetto, prendendo a martellate e distruggendo cose d’uso
quotidiano, da lei distribuite con strana cura e in quantità nello spazio.
Cordero mette in scena la relazione con gli oggetti, il rapporto d’odio-amore
che può nascere tra noi e loro, tanto che, quando poi li distrugge, il pubblico
dà segno di una certa compassione.
L’oggetto diventa protagonista anche nel lavoro della
compagnia nippo-finlandese Deep Blue, che offre al pubblico una serie di scatolette interattive che ne
distolgono completamente l’attenzione dall’agire dei corpi. L’oggetto diventa
performance e sovrasta i corpi, come nell’installazione performativa Rubbish
City del
collettivo Lilith Performance Studio, dove il pubblico deve letteralmente scovare i performer
in una città fatta di spazzatura allestita nella sala delle esposizioni.
I corpi diventano oggetto di un esperimento scientifico
bizzarro del coreografo Trajal Harrel: un gruppo di performer che ha assunto Ambien, il
sonnifero più diffuso negli Usa, si sdraia a dormire a terra; il pubblico è
libero di circolare e guardare. Con Gustavia, Matilde Monnier e La Ribot non permettono agli oggetti di
prendere il loro posto, ma mettono in scena i loro corpi di danzatrici quasi
cinquantenni, con un ironico da consumarsi preferibilmente entro la data di
scadenza… in
una commedia che ne mostra la trasformazione con mezzi assurdi e sculturali.
A concludere, la performance Black!….White? della coreografa sudafricana Nelisiwe
Xaba, che parla
del desiderio di cambiare colore di pelle e della sue implicazioni in un gioco
di stratificazioni di bianco e di nero.
Il festival nel suo insieme è un tessuto attraversato da
venature laboratoriali, da performance che si costruiscono durante il festival
stesso, come quelle di Homan Sharifi e Julie Tolentino, o come i laboratori teorici in collaborazione con
diverse università internazionali e berlinesi. Un tessuto, ma anche una sorta
di antologia della performance contemporanea, con filoni tematici tesi fra
generazioni diverse di artisti che sono parte della scena globale.
elisa ricci
spettacoli visti l’11-21 giugno
2009
la rubrica arteatro è diretta da piersandra di matteo
dall’undici al 21 giugno 2009
In-Transit 09 – Resistance of
the Object
a cura di André Lepecki
Haus der Kulturen der Welt
John-Foster-Dulles-Allee,
10 – 10557 Berlin
Info: info@hkw.de; www.myspace.com/festival_intransit
[exibart]