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Steve Sabella – Archaeology of the future
Il Centro Internazionale di Fotografia Scavi Scaligeri ospita Steve Sabella. Archaeology of the future per la prima personale dell’artista palestinese in un museo italiano. La ricerca di Sabella si incentra sul principio che lega l’immagine all’immaginazione, vera sfida della fotografia ai giorni nostri. La rassegna, supportata da Boxart (Verona) e in collaborazione con Berloni (Londra), si si colloca tra gli
eventi collaterali di ArtVerona, nella sezione PhotoArtVerona, e inaugura ufficialmente sabato 11 ottobre in concomitanza con il weekend della manifestazione. La mostra sarà tuttavia visibile già a partire dall’8 ottobre e fino al 16 novembre 2014. Arricchisce l’evento il catalogo con testi della storica d’arte islamica Karin Adrian von Roques.
personale dell’artista palestinese in un museo italiano.
La ricerca di Sabella si incentra sul principio che lega l’immagine all’immaginazione, vera sfida della fotografia ai
giorni nostri.
La rassegna, supportata da Boxart (Verona) e in collaborazione con Berloni (Londra), si si colloca tra gli
eventi collaterali di ArtVerona, nella sezione PhotoArtVerona, e inaugura ufficialmente sabato 11 ottobre in
concomitanza con il weekend della manifestazione. La mostra sarà tuttavia visibile già a partire dall’8 ottobre e
fino al 16 novembre 2014.
Arricchisce l’evento il catalogo con testi della storica d’arte islamica Karin Adrian von Roques.
Se la scoperta non consiste nel cercare nuovi paesaggi, ma nel viaggiare con nuovi occhi (Marcel Proust),
Steve Sabella è un viaggiatore vero. Non solo a causa dell’esilio da Gerusalemme - dove nasce nel 1975 – verso
l’Europa, ma grazie al suo sguardo inedito, che, al pari della quarta dimensione cubista, porta alla luce una
visione interiore dello spazio.
Dopo tre anni a Londra, dal 2007, Sabella si è trasferito a Berlino, dove risiede dal 2010. Per il pubblico degli
Scavi Scaligeri, l’artista ripercorre il proprio viaggio in sei tappe più una “zona franca”. Si tratta di un
percorso non geografico, né cronologico, ma chiaramente esistenziale, che parte dall’abbandono del
proprio paese e giunge al superamento di questa esperienza.
In sintesi, citando i titoli di due dei sette cicli fotografici esposti, si parte dall’esilio per giungere
all’indipendenza, attraverso un pari numero di stazioni di transito, percorse da Sabella, uomo e artista, tra il
2004 e il 2014. A queste sei tappe si somma una zona di passaggio denominata In Transition.
Come, tuttavia, i paesaggi ritratti non sono reali, ma radicati nella memoria, così pure la progressione
temporale di questi spostamenti viene meno, facendo convivere, all’inizio del percorso espositivo, i due estremi
del viaggio. Cinque opere della serie In exile del 2008, infatti, sono esposte nel primo corridoio del museo, a
fianco della tappa finale, Independence (2013), serie fotografica che risale soltanto a un anno fa.
Nel primo caso si tratta di paesaggi della reminiscenza: collage fotografici nati dall’assemblaggio di porzioni di
spazio, ovvero frammenti di abitazioni, finestre, cornicioni e terrazze. La ripetizione di una o due immagini,
seppur da angolazioni diverse, ricompone i ricordi nati dalla frequentazione di quei luoghi e ricrea un paese
mentale, diverso, seppur altrettanto caleidoscopico di quello reale.
Nel secondo caso, il raggiungimento dell’indipendenza, viene rappresentato con una grande installazione
composta da una decina di teli bianchi appesi al soffitto, alti oltre due metri. Su questi teleri contemporanei,
all’interno del salone buio, fluttuano immagini sgranate di trapezisti, mosse da altrettanti ventilatori
che rendono teatrale la suggestione visiva. Le figure trasmettono un senso di pacificazione, una riconquistata
armonia personale, auspicabile per la stato della Palestina, da decenni in lotta per lo stesso obiettivo.
Linea di demarcazione tra passato e presente è rappresentata dalla serie Till the end (2004), un gruppo
di pietre della città di Gerusalemme esposte nelle teche degli Scavi Scaligeri come reperti archeologici
millenari. Su ciascuna roccia è impressa un’immagine contemporanea, un frammento di memoria, che
sconfina dalla realtà “accaduta” fino all’iperrealtà, territorio di ricerca di Sabella.
La perfetta coesistenza tra antico e attuale è stata siglata dall’acquisizione di un’opera contemporanea di questa
serie dal tempio dell’archeologia, il British Museum di Londra.
La narrazione dello sradicamento, fisica ed esistenziale, coincide con la volontà di illustrare lo speculare concetto
di appartenenza. L’abbandono forzato del proprio Paese, ricade sul singolo individuo, divenendo però al
contempo metafora di un esilio collettivo.
Vita e arte tendono l’una all’altra nell’epopea di Steve Sabella dal Medio-Oriente all’Europa, così come
l’evocazione della propria patria sottintende un più ampio esodo, quello continuo di molti popoli del
Mediterraneo. Il distacco dal paese d’origine si massifica oggi per effetto collaterale del recente fenomeno delle
Primavere Arabe.
Le serie fotografiche esposte nelle sale successive riflettono proprio questo cambiamento epocale: in
primis il trittico In Transition (2010), seguito dalle sei opere fotografiche intitolate Metamorphosis (2012) che
sfilano lungo il corridoio antistante le cantine dei Palazzi Scaligeri. In esse, la realtà dell’oggetto diviene ancora
più simbolica: il filo spinato, emblema della costrizione fisica, sembra qui ricucire le ferite causate. Allo
stesso modo, il muro dei territori palestinesi occupati diviene permeabile come il suo vibrante riflesso
nell’acqua.
Superando i confini dell’immagine fotografica, verso l’antica pratica del mosaico e la frontiera multimediale,
Sabella sembra ritrovare il proprio posto nel mondo, quello attuale, privo di un centro.
Scrive l’artista: "Il duro lavoro è stato trovare il modo per consentire una nuova trasformazione, pur ammettendo
che il mio DNA rimarrà sempre lo stesso." E’ stato, dunque, attraverso l'indagine del suo stato di esilio, un
processo di auto-interrogazione e introspezione, che Sabella è stato in grado di scavare più in profondità il
rapporto tra le immagini e la realtà che creano.
Oltre ai mosaici di scatti, in dialogo con i pavimenti delle domus romane, il ciclo 38 Days of Re-Collection,
richiama reperti archeologici autentici. Su alte basi bianche e vetrine, l’artista colloca frammenti di intonaco
staccati in 38 giorni dalla casa natia e da altre limitrofe, nella Città Vecchia di Gerusalemme, occupata
da Israele dal 1948. Per questo progetto, Sabella ha fotografato gli interni abbandonati e convertito in bianco e
nero - il colore della memoria -, porzioni di spazio, emulsionandole sugli stessi frammenti di intonaco, e facendo
loro assumere nuovamente un colore, quello della pittura muraria.
Nel cortocircuito site specific di spazio e tempo, la rassegna si chiude con Exit, serie datata 2006: una via
d’uscita verso un nuovo inizio è indicata da mani anziane e ricurve che si dissolvono l’una nell’altra,
raccontando ancora una volta il cammino senza sosta dell’esistenza, che corrompe il corpo, ma rafforza la
percezione umana.
La mostra espone per la prima volta in Italia il film In The Darkroom with Steve Sabella (sottotitolato in italiano),
di Nadia Johanne Kabalan.
Steve Sabella – Archaeology of the future
Verona, Piazza Francesco Viviani, (Verona)