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La Poesipittura
Mostra Collettiva d’Arte Contemporanea
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Si inaugurerà domenica 24 agosto presso il Complesso Monumentale di Sant’Anna a
Ortona –Chieti la collettiva d’arte contemporanea “La Poesipittura “ la mostra si
potrà visitare fino a domenica 31 agosto. La Poesipittura è movimento artistico-
letterario che ha avuto origine a Ceppaloni, in terra Sannita, sta rivoluzionando il
mondo dell’arte e viene apprezzata moltissimo, da Artisti, Critici ed intellettuali.
Questo duplice linguaggio dell’arte, che sta caratterizzando questo nostro XXI°
secolo, viene accettato su scala mondiale. L’evento sarà curato dal Prof. Massimo
Pasqualone e da Roberta Papponetti. Al vernissage della mostra sarà presentato anche
il catalogo artistico sul Movimento Artistico – Letterario la Poesipittura. L’intera
manifestazione è stata organizzata dalla Prof.ssa Elisa Valentini . Prof. Massimo
Pasqualone Critico d’Arte ci dice: “ Lo spettacolo è l’arte nuova del nostro tempo,
che ha preso il posto della più discreta delle arti, la poesia”(Eugenio Montale); “la
poesia è, ormai, un ‘genere’ letterario sempre più specialistico, che non interessa
nessuno( Sebastiano Vassalli); “ la poesia è una possibilità infinitamente
sospesa”(Giovanni Raboni); “la poesia è universale”( Giuseppe Conte); “la poesia è
vero e proprio innamoramento”(Carlo Fruttero). Questi sono i pensieri di poeti e
letterati sulla poesia e il suo ruolo ai nostri tempi. Ma la poesia è un’esigenza? Essa si
è insinuata negli uomini fin dalla notte dei tempi, come espressione della propria
sensibilità. Si tratta dell’arte, dell’attività letteraria di esprimere con elevata tensione
spirituale il sentimento, soggettivo e insieme potenzialmente universale, di sé, della
condizione umana, della realtà in forme metriche e non solo, anche per mezzo di altri
linguaggi e metodi espressivi”. La poesia è la capacità, la forza di suggestionare, in
particolare di commuovere, di far insorgere sentimenti elevati: dalle greche orazioni
forensi alla calibrata arte oratoria romana, fino a tempi dei dittatori del nostro secolo,
che con i loro discorsi riuscivano ad incantare il popolo intero, non possiamo negare
la presenza di sfumature poetiche più o meno forti o anche sfruttate, volte a
determinare tensione, affettiva e spirituale. Possiamo che dire che la relazione tra la
letteratura e le arti figurative è stata nel tempo oggetto di un infinito numero di
speculazioni che hanno dato vita a teorie, considerazioni e assiomi diversi e
contestualmente applicabili.
Trattandosi poi di una questione trasversale a diversi ambiti disciplinari, non deve
stupire che sia stata interesse centrale per storici dell’arte, filosofi, estetologi,
semiologi, letterati e artisti che, di volta in volta, hanno affrontato il problema in
accordo ai propri fini teorici. Tutte le epoche si sono interrogate sul dialogo tra
letteratura e arti figurative, sia attraverso pratiche artistiche vere e proprie, spesso
frutto di sinergie intermediali, sia attraverso risposte critiche alle stesse, che hanno
fatto di questo dialogo un oggetto di studio sempre nuovo. Sebbene però l’origine di
questa relazione sia antica, è vero che il Novecento, e soprattutto gli ultimi decenni, è
stato protagonista di un rinnovato interesse volto ad indagare le dinamiche
interartistiche tra le due arti, e più in generale tra parola e immagine. Il Novecento si
è confrontato con questa dimensione proponendo non solo nuovi oggetti interartistici,
ma anche nuovi possibili criteri interpretativi, che alimentano quella che James
Heffernan ha definito un’enorme “industria intellettuale”. Anche le sperimentazioni
pratiche di oggetti intermediali sono oggi quanto mai attuali. Basti pensare alla
produzione e alla riproduzione di forme composte pittorico-verbali, come film,
immagini televisive, poster, fumetti, testi illustrati, riviste e giornali, che sebbene
tradiscano una svolta, dagli addetti ai lavori definita pictorial turn, rimangono a
testimonianza di un sodalizio artistico ancora molto stimolante che si adatta
camaleonticamente alle esigenze dell’epoca. La ripresa oggi del dibattito
sull’interscambio fra letteratura e arti del visuale è da attribuire anche e soprattutto
all’importanza che le immagini occupano non solo al livello più “basso” della
comunicazione di massa – che non riesce ormai a fare a meno di strumentazioni del
visuale – ma anche a quello più “alto” del sistema letterario tout court. E se i
linguisti, i filosofi del linguaggio e gli stessi critici della letteratura della prima metà
del secolo scorso sono stati responsabili del predominio della lingua in un panorama
culturale votato alla distinzione tra le discipline, oggi la comparatistica internazionale
e le stesse filologie nazionali fanno della dimensione interartistica e intermediale
precipuo oggetto di studio. Gli studi di visual culture contemporanei – eredi per molti
versi della storia dell’arte e allo stesso tempo attenti alle altre dimensioni disciplinari,
tra cui la letteratura – rifiutano, ad esempio, la tendenza logocentrica e rivolgono
l’attenzione allo studio contestuale delle immagini e della loro ricezione. Alla luce di
questa nuova tendenza vanno anche letti tutti i più recenti contributi teorici votati allo
studio non semplicemente dell’immagine e delle arti del visuale, ma anche della loro
ricaduta nel sistema altrettanto complesso della letteratura. Si pensi ai recenti lavori
dedicati all’analisi di una particolare forma interartistica, l’ékphrasis – centrale in
questo studio – come quelli di James Heffernan e Thomas Mitchell, e nel panorama
italiano allo studio di Michele Cometa, il quale, nella sua opera Parole che
dipingono, invita ancora una volta a riflettere sulla questione sempre aperta
dell’appropriazione delle immagini da parte della scrittura, di cui, come lui stesso
osserva, è difficile riassumerne le complesse modalità: Più di recente Cometa ha
proposto il termine “catalogo” per contenere alcune di questi modi di interazione fra
letteratura ed arti figurative. Nel catalogo Cometa fa rientrare le tipologie della
Doppelbegabung, dell’ékphrasis, delle forme miste e di quelle che definisce omolgie,
precisando comunque di non volere esaurire e semplificare con questo sistema
tassonomico la ricchezza di un campo di indagine così vasto. Per questa ragione
definisce il suo catalogo «una strategia comunque parziale e precaria, un colligere
che si dispiega secondo un ordine sempre revocabile e che ha la funzione di
collocare nello spazio i vari oggetti di cui si occupa». William John Thomas
Mitchell, uno dei “padri” e dei maggiori teorici contemporanei della cultura visuale,
fa alcune considerazioni sulle modalità d’analisi che il nostro secolo ha più spesso
adottato di fronte al problema della relazione fra le due arti. Mitchell parla del
metodo comparativo come di quello più tradizionale pur tuttavia lo studioso
americano rintraccia, più avanti, i limiti di questo stesso approccio, caratterizzato da
presupposti di uniformità e omogenità e da strategie di sistematiche differenziazioni e
comparazioni che talvolta ignorano altre forme di relazione più subdole e meno
negoziabili. Per Mitchell si tratta di un approccio, quello comparativo, che spesso
rimane incastrato in uno “storicismo ritualistico” che si limita a ripercorrere
canoniche linee narrative ereditate dal passato, quasi fosse incapace di registrare
pratiche e storie alternative. Non per questo egli trova più esatto l’approccio
semiotico europeo che finisce per sostituire, in modo talvolta brutale, lo scientism
all’artiness nell’analisi del confronto interartistico. Lo studioso parte piuttosto
dall’assunto che il problema dell’immagine/testo (sia che lo si intenda come forma
sintetica, composta, o come differenza di rappresentazione) è proprio il sintomo
dell’impossibilità di giungere ad una “teoria di immagini” o ad una “scienza della
rappresentazione”. La riflessione alternativa proposta da Mitchell, per rispondere a
questo autentico desiderio di mettere in contatto i diversi aspetti e le diverse
dimensioni dell’esperienza culturale, è quella di considerare ogni arte come
“composita”, e ogni medium come “misto”, a prescindere dalla loro più o meno
evidente relazione ad un’altra arte o ad un altro medium: Non va dimenticato
comunque che l’attenzione moderna al fenomeno della relazione tra la letteratura e le
arti figurative trae origine da antiche tradizioni. Si pensi alla nota dottrina dell’ut
pictura poesis, che soprattutto dal Rinascimento in poi identificò tutti quei tentativi
da parte di critici dell’arte e teorici della pittura di rintracciare analogie teoriche e
formali fra l’arte letteraria e quella pittorica. Il ricorso all’auctoritas degli antichi, e
ad opere come la Poetica di Aristotele e l’Ars Poetica di Orazio divenne una pratica
ricorrente tra chi desiderava ritrovare un’origine antica alla questione sempre attuale
della complementarietà fra le arti sorelle. In realtà si trattò, per la maggior parte dei
casi, di forzature, di trasmigrazioni di teorie da un’arte all’altra, di “omologie
poetologiche”, per usare un temine del catalogo di Cometa, con risultati a volte
claudicanti. Lo stesso motto dell’ut pictura poesis, ad esempio, era il risultato
dell’interpretazione forzata di un’espressione adoperata da Orazio della sua Ars
Poetica.. Qui Orazio, lungi dal volere statuire un’analogia formale tra le due arti, si
rifà, in realtà, alla similitudine con la pittura (“come un quadro”), semplicemente per
dimostrare come nel giudicare una poesia “a volte” bisognerebbe essere flessibili
come quando si giudica un quadro dallo stile sommario e impressionistico, per
godere del quale, bisogna mettersi ad una certa distanza. Come osserva Mario Praz,
Orazio «altro non diceva se non che avveniva di certe poesie come di certi quadri,
che alcune piaccion una volta sola, altre resistono a ripetute letture e indagini
critiche». La formula dell’ut pictura poesis, in realtà, finì per giustificare l’idea di
totale corrispondenza tra pittura e poesia affascinando per secoli schiere di teorici
appartenenti ai più svariati ambiti del sapere. L’antichità divenne la fonte da cui
attingere alla ricerca dei motti più resistenti. Si ricordi, ad esempio, la nota
formula «la pittura è poesia muta, e la poesia pittura parlante» che Plutarco attribuì a
Simonide di Ceo e che fu destinata a viaggiare ancora una volta attraverso le epoche.
Ma fu certamente il Rinascimento l’epoca considerata protagonista di un acceso
dibattito alimentato dal confronto fra le arti. La parola d’ordine era “competizione”, e
vide schiere di critici d’arte e letterari prendere le parti della rispettiva arte per
confermarne la superiorità. La pittura, che godeva dei più forti riconoscimenti a
quell’epoca, poteva annoverare tra i suoi difensori figure quali Leonardo da Vinci. Il
celebre Paragone leonardesco, esposto nel suo Trattato della Pittura, rappresenta
forse la difesa più autorevole mai esposta sull’arte della pittura e l’attacco più
violento sferrato alla poesia: In effetti la poesia non ha propria sedia, nè la materia
altrimenti, che di un merciajo ragunatore di mercanzie fatte da diversi artigiani. La
pittura serve a più degno senso, della poesia, e fa con più verità le figure delle opere
di natura che il poeta. Si ritrova la poesia nella mente, ovvero immaginativa del
poeta, il quale finge le medesime cose del pittore, per le quali finzioni egli vuol
equipararsi a esso pittore, ma invero ei n’è molto rimoto. Nelle parole di Leonardo la
poesia è arte “ladra”, svuotata di qualsiasi valore e capacità artistica, mentre la pittura
assurge ad arte perfetta e vera, che supera la poesia nella rappresentazione della
realtà. Leonardo avvalora questa tesi paragonando, ad esempio, la rispettiva abilità
delle due arti di rappresentare una battaglia: Se tu, poeta, figurerai la sanguinosa
battaglia, si sta con la oscura e tenebrosa aria, mediante il fumo delle spaventevoli e
mortali macchine, mista con la spessa polvere intorbidatrice dell’aria, e la paurosa
fuga de’ miseri spaventati dalla orribile morte. In questo caso il pittore ti supera,
perché la tua penna sarà consumata, innanzi che tu descriva appieno quel che
immediate il pittore ti rappresenta con la sua scienza. E la tua lingua sarà impedita
dalla sete, e il corpo dal sonno e dalla fame, prima che tu con parole dimostri quello
che in un istante il pittore ti dimostra . Lunga e tediosissima cosa sarebbe a la poesia
ridire tutti li movimenti degli operatori di tal guerra, e le parti delle membra, e loro
ornamenti, delle quali cose la pittura finita con gran brevità e verità pone innanzi.
Forse mai la poesia uscì così sconfitta dal confronto con la pittura, fatto legato
senz’altro al contesto artistico del Rinascimento che vide la scoperta di tecniche più
sofisticate di rappresentazione pittorica, quali la prospettiva fortemente basata sul
concetto di mimesi. Non può stupire, dunque, che proprio alla pittura spettasse, a
quell’epoca, il primato tra le arti e soprattutto il ruolo di guida dell’arte sorella. Altri
significativi passaggi nell’arco della storia segnarono i destini della dottrina delle
“arti sorelle”, soprattutto attraverso l’applicazione pratica di tecniche di
contaminazione parola-immagine, come nel caso dell’emblematica, che ebbe una
notevole diffusione nel XVII secolo e che favorì l’idea di omologia fra le due
espressioni artistiche. Si trattava di una forma perfetta di unione tra immagine e testo,
la cui particolarità consisteva nella capacità di giustapporre i due media, riuscendo
comunque a mantenere integra la funzione e il valore semantico di ognuna delle due
espressioni artistiche, che in tal modo s’interpretavano reciprocamente. L’emblema
incarnava in sé un’idea di completezza data dal mettere insieme, attraverso la
rappresentazione, corpo (immagine) e spirito (testo). La produzione di emblemi,
anche se già ampiamente diffusa nel Rinascimento, divenne poi una vera e propria
moda nel Seicento. Fu soprattutto il Settecento, però, l’epoca in cui si tornò a
riflettere con insistenza sul confine e sull’omologia fra le due arti. A questa epoca
risale, non a caso, il contributo fondamentale di Gotthold Ephraim Lessing, Laokoon
del 1766, cui si deve la svolta più significativa nell’ambito della tradizione dell’ut
pictura poesis e di tutta la successiva teorizzazione relativa al rapporto fra letteratura
e arti figurative. Le riflessioni di Lessing costituiscono ancora oggi il punto di
partenza per i teorici dell’intermedialità, poiché si tratta della prima vera
disquisizione scientifica sui due mezzi di rappresentazione artistica, che Lessing,
come vedremo, tende più a distinguere che ad omologare. Come osserva Cometa
nella presentazione alla traduzione italiana del Laokoon, l’originalità dello scritto
lessinghiano non consiste tanto nella sua totale estraneità alla tradizione
argomentativa dell’ut pictura poesis – come sarebbe naturale pensare – né
nell’assoluta novità dell’assunto. Già prima di Lessing si era a lungo discusso
nell’estetica del Settecento del diverso potenziale semantico delle “arti sorelle”.
L’abbé Dubos nel suo Réflexions critiques sur la Poésie, la Peinture et la Musique
del 1719, e Denis Diderot nella sua Lettre sur le sourds et les muets del 1751, si
erano interessati alle specificità dei singoli mezzi artistici21. Ed è certamente
probabile che questi testi abbiano rappresentato uno stimolo per le successive
riflessioni lessinghiane. In cosa consiste, dunque, la specificità del testo di Lessing?
Una citazione da questo importante scritto può aiutarci a rispondere a questa
domanda: Tuttavia proprio come se non esistesse alcuna differenza molti critici
moderni hanno dedotto da questa armonia tra la pittura e la poesia le cose più triviali
del mondo. Ora costringendo la poesia entro i limiti più angusti della pittura, ora
lasciando che la pittura occupasse tutta l’ampia sfera della poesia. Tutto quel che va
bene per l’una deve esser concesso anche all’altra; tutto quel che in uno piaceva o
dispiaceva, deve necessariamente piacere o dispiacere nell’altra; e pieni di questa
idea pronunciano con i toni più risoluti i giudizi più superficiali, attribuendo le
divergenze rilevate tra le opere del poeta e quelle del pittore sugli stessi soggetti agli
errori di questo o di quello, a seconda se hanno maggiore gusto per l’arte poetica o
per la pittura. L’obiettivo polemico di Lessing è rappresentato, in modo particolare,
dalle forme d’arte mista, come gli emblemi dell’età barocca, o la poesia descrittiva in
auge proprio nel Settecento. Quest’ultima era una pratica di scrittura letteraria che
tradiva una predilezione per l’arte sorella della pittura, di cui si apprezzavano e
studiavano i metodi che si cercava di applicare anche all’arte verbale. Hagstrum, nel
suo testo The Sister Arts osserva come in effetti il Settecento sia stata un’epoca
esemplare rispetto alla relazione tra le due arti, relazione che egli definisce di
“friendly emulation”. Lo studioso fa alcune importanti considerazioni su questo
particolare momento di contaminazione artistica, riflettendo soprattutto sulle ragioni
che possano avere contribuito, a quell’epoca, all’incremento di interdipendenza fra le
arti sorelle: La sinergia tra le arti nel XVIII secolo non riguardò semplicemente la
poesia e la pittura. Il Settecento coinvolse, in questo fenomeno di transitabilità, anche
l’architettura che trovò ad esempio la sua più diretta espressione nell’arte del
giardino. Quest’ultima faceva appello alla stessa estetica del Pittoresco già confluita
nei dipinti di Claude Lorrain, Salvator Rosa e Poussin, gli stessi che influenzarono le
opere letterarie dei poeti pittorialisti, o meglio ancora “pittoreschi”. Il landscape
gardening del Settecento inglese rappresentò il punto di unione tra interesse pittorico
e interesse poetico, e costituì una delle esperienze del visuale tipiche di quel secolo.
Era inevitabile che una tale conflagrazione di fatti visivi, come quelli sopra elencati
da Hagstrum, avesse i suoi effetti anche sull’arte letteraria. La produzione dei poeti
pittorialisti è in questo senso particolarmente rappresentativa. Si pensi anche solo al
panorama inglese, centrale nello studio di Hagstrum, e agli scritti di Dryden, Pope,
Gray e Thomson che aderirono a questa dominante teoria estetica: Furono
probabilmente queste stesse macroscopiche assurdità a generare in Lessing il
desiderio di mettere ordine a questo “degenerato” caos concettuale, agendo
soprattutto in nome della poesia, di cui tende, nel suo studio, a ridisegnare le
specifiche e uniche caratteristiche. E se da un lato Lessing si opponeva alla tradizione
delle “arti sorelle”, «che non aveva fatto altro che ritardare l’applicazione di un
rigoroso principio analitico alle arti», dall’altro rifiutava l’assolutizzazione
dell’allegoria nel Barocco che trovava espressione nell’emblematica e che «aveva
finito per ridurre la poesia a mera didascalia, per di più enigmatica, e la pittura a
mero schizzo allegorico dal tratto approssimativo e comunque privo di colore». Così
scrive Lessing: Sì, questa pseudocritica ha fuorviato persino gli stessi virtuosi. Essa
ha prodotto in poesia la mania delle descrizioni e in pittura l’allegorismo, facendo di
quella un quadro parlante, senza sapere in realtà che cosa essa possa e debba
dipingere, e di questa un componimento poetico muto, senza avere considerato in che
misura questa possa esprimere concetti universali e divenire una scrittura di segni
arbitrari. Lo scopo di Lessing era quello di riportare, come osserva ancora
Cometa, «l’attenzione della critica estetica sulle opere d’arte, aprendole ad una sorta
di “orizzonte dialogico” animato da uno slancio squisitamente umanistico, che ebbe
la funzione di rimettere in discussione tutte le componenti dell’esperienza estetica».
Uno dei concetti della tradizione pittorialista, e di quella dell’ut pictura poesis più in
generale, maggiormente contestati da Lessing, fu quello dell’imitazione, della
mimesis, e non tanto dell’imitazione “tra” le arti, quanto dell’imitazione oggettiva
della realtà: Quando si dice che l’artista imita il poeta, o che il poeta imita l’artista, si
possono intendere due cose. O l’uno fa dell’opera dell’altro oggetto reale della
propria imitazione, o entrambi hanno lo stesso oggetto da imitare e l’uno prende
dall’altro il modo e la maniera di imitarlo”. Esporranno i seguenti artisti : Roberta
Papponetti , Carla Cerbaso, Tiziana Pantalone, Concetta Daidone, Vilma Santarelli,
Concetta Iaccarino, Rita Di Marcantonio, Paola Silvestri, Rossella Circeo, Liberata
Mizzoni, Elena Di Lella, Dora Fabiano, Paola Spaventa, Luisa Balzano, Mae Carulli,
Angela Di Teodoro, Terezina Radovani, Romina Scipione, Stefano Ferruccio,
Giuseppina Narducci, Mario Di Profio, Teresa Micchetti , Valentina Di Campli San
vito, Fabj Diggi, Alessia Pignatelli, Alida Ferrettini , Adalgisa Santucci, Giosy
Costan .
Ortona –Chieti la collettiva d’arte contemporanea “La Poesipittura “ la mostra si
potrà visitare fino a domenica 31 agosto. La Poesipittura è movimento artistico-
letterario che ha avuto origine a Ceppaloni, in terra Sannita, sta rivoluzionando il
mondo dell’arte e viene apprezzata moltissimo, da Artisti, Critici ed intellettuali.
Questo duplice linguaggio dell’arte, che sta caratterizzando questo nostro XXI°
secolo, viene accettato su scala mondiale. L’evento sarà curato dal Prof. Massimo
Pasqualone e da Roberta Papponetti. Al vernissage della mostra sarà presentato anche
il catalogo artistico sul Movimento Artistico – Letterario la Poesipittura. L’intera
manifestazione è stata organizzata dalla Prof.ssa Elisa Valentini . Prof. Massimo
Pasqualone Critico d’Arte ci dice: “ Lo spettacolo è l’arte nuova del nostro tempo,
che ha preso il posto della più discreta delle arti, la poesia”(Eugenio Montale); “la
poesia è, ormai, un ‘genere’ letterario sempre più specialistico, che non interessa
nessuno( Sebastiano Vassalli); “ la poesia è una possibilità infinitamente
sospesa”(Giovanni Raboni); “la poesia è universale”( Giuseppe Conte); “la poesia è
vero e proprio innamoramento”(Carlo Fruttero). Questi sono i pensieri di poeti e
letterati sulla poesia e il suo ruolo ai nostri tempi. Ma la poesia è un’esigenza? Essa si
è insinuata negli uomini fin dalla notte dei tempi, come espressione della propria
sensibilità. Si tratta dell’arte, dell’attività letteraria di esprimere con elevata tensione
spirituale il sentimento, soggettivo e insieme potenzialmente universale, di sé, della
condizione umana, della realtà in forme metriche e non solo, anche per mezzo di altri
linguaggi e metodi espressivi”. La poesia è la capacità, la forza di suggestionare, in
particolare di commuovere, di far insorgere sentimenti elevati: dalle greche orazioni
forensi alla calibrata arte oratoria romana, fino a tempi dei dittatori del nostro secolo,
che con i loro discorsi riuscivano ad incantare il popolo intero, non possiamo negare
la presenza di sfumature poetiche più o meno forti o anche sfruttate, volte a
determinare tensione, affettiva e spirituale. Possiamo che dire che la relazione tra la
letteratura e le arti figurative è stata nel tempo oggetto di un infinito numero di
speculazioni che hanno dato vita a teorie, considerazioni e assiomi diversi e
contestualmente applicabili.
Trattandosi poi di una questione trasversale a diversi ambiti disciplinari, non deve
stupire che sia stata interesse centrale per storici dell’arte, filosofi, estetologi,
semiologi, letterati e artisti che, di volta in volta, hanno affrontato il problema in
accordo ai propri fini teorici. Tutte le epoche si sono interrogate sul dialogo tra
letteratura e arti figurative, sia attraverso pratiche artistiche vere e proprie, spesso
frutto di sinergie intermediali, sia attraverso risposte critiche alle stesse, che hanno
fatto di questo dialogo un oggetto di studio sempre nuovo. Sebbene però l’origine di
questa relazione sia antica, è vero che il Novecento, e soprattutto gli ultimi decenni, è
stato protagonista di un rinnovato interesse volto ad indagare le dinamiche
interartistiche tra le due arti, e più in generale tra parola e immagine. Il Novecento si
è confrontato con questa dimensione proponendo non solo nuovi oggetti interartistici,
ma anche nuovi possibili criteri interpretativi, che alimentano quella che James
Heffernan ha definito un’enorme “industria intellettuale”. Anche le sperimentazioni
pratiche di oggetti intermediali sono oggi quanto mai attuali. Basti pensare alla
produzione e alla riproduzione di forme composte pittorico-verbali, come film,
immagini televisive, poster, fumetti, testi illustrati, riviste e giornali, che sebbene
tradiscano una svolta, dagli addetti ai lavori definita pictorial turn, rimangono a
testimonianza di un sodalizio artistico ancora molto stimolante che si adatta
camaleonticamente alle esigenze dell’epoca. La ripresa oggi del dibattito
sull’interscambio fra letteratura e arti del visuale è da attribuire anche e soprattutto
all’importanza che le immagini occupano non solo al livello più “basso” della
comunicazione di massa – che non riesce ormai a fare a meno di strumentazioni del
visuale – ma anche a quello più “alto” del sistema letterario tout court. E se i
linguisti, i filosofi del linguaggio e gli stessi critici della letteratura della prima metà
del secolo scorso sono stati responsabili del predominio della lingua in un panorama
culturale votato alla distinzione tra le discipline, oggi la comparatistica internazionale
e le stesse filologie nazionali fanno della dimensione interartistica e intermediale
precipuo oggetto di studio. Gli studi di visual culture contemporanei – eredi per molti
versi della storia dell’arte e allo stesso tempo attenti alle altre dimensioni disciplinari,
tra cui la letteratura – rifiutano, ad esempio, la tendenza logocentrica e rivolgono
l’attenzione allo studio contestuale delle immagini e della loro ricezione. Alla luce di
questa nuova tendenza vanno anche letti tutti i più recenti contributi teorici votati allo
studio non semplicemente dell’immagine e delle arti del visuale, ma anche della loro
ricaduta nel sistema altrettanto complesso della letteratura. Si pensi ai recenti lavori
dedicati all’analisi di una particolare forma interartistica, l’ékphrasis – centrale in
questo studio – come quelli di James Heffernan e Thomas Mitchell, e nel panorama
italiano allo studio di Michele Cometa, il quale, nella sua opera Parole che
dipingono, invita ancora una volta a riflettere sulla questione sempre aperta
dell’appropriazione delle immagini da parte della scrittura, di cui, come lui stesso
osserva, è difficile riassumerne le complesse modalità: Più di recente Cometa ha
proposto il termine “catalogo” per contenere alcune di questi modi di interazione fra
letteratura ed arti figurative. Nel catalogo Cometa fa rientrare le tipologie della
Doppelbegabung, dell’ékphrasis, delle forme miste e di quelle che definisce omolgie,
precisando comunque di non volere esaurire e semplificare con questo sistema
tassonomico la ricchezza di un campo di indagine così vasto. Per questa ragione
definisce il suo catalogo «una strategia comunque parziale e precaria, un colligere
che si dispiega secondo un ordine sempre revocabile e che ha la funzione di
collocare nello spazio i vari oggetti di cui si occupa». William John Thomas
Mitchell, uno dei “padri” e dei maggiori teorici contemporanei della cultura visuale,
fa alcune considerazioni sulle modalità d’analisi che il nostro secolo ha più spesso
adottato di fronte al problema della relazione fra le due arti. Mitchell parla del
metodo comparativo come di quello più tradizionale pur tuttavia lo studioso
americano rintraccia, più avanti, i limiti di questo stesso approccio, caratterizzato da
presupposti di uniformità e omogenità e da strategie di sistematiche differenziazioni e
comparazioni che talvolta ignorano altre forme di relazione più subdole e meno
negoziabili. Per Mitchell si tratta di un approccio, quello comparativo, che spesso
rimane incastrato in uno “storicismo ritualistico” che si limita a ripercorrere
canoniche linee narrative ereditate dal passato, quasi fosse incapace di registrare
pratiche e storie alternative. Non per questo egli trova più esatto l’approccio
semiotico europeo che finisce per sostituire, in modo talvolta brutale, lo scientism
all’artiness nell’analisi del confronto interartistico. Lo studioso parte piuttosto
dall’assunto che il problema dell’immagine/testo (sia che lo si intenda come forma
sintetica, composta, o come differenza di rappresentazione) è proprio il sintomo
dell’impossibilità di giungere ad una “teoria di immagini” o ad una “scienza della
rappresentazione”. La riflessione alternativa proposta da Mitchell, per rispondere a
questo autentico desiderio di mettere in contatto i diversi aspetti e le diverse
dimensioni dell’esperienza culturale, è quella di considerare ogni arte come
“composita”, e ogni medium come “misto”, a prescindere dalla loro più o meno
evidente relazione ad un’altra arte o ad un altro medium: Non va dimenticato
comunque che l’attenzione moderna al fenomeno della relazione tra la letteratura e le
arti figurative trae origine da antiche tradizioni. Si pensi alla nota dottrina dell’ut
pictura poesis, che soprattutto dal Rinascimento in poi identificò tutti quei tentativi
da parte di critici dell’arte e teorici della pittura di rintracciare analogie teoriche e
formali fra l’arte letteraria e quella pittorica. Il ricorso all’auctoritas degli antichi, e
ad opere come la Poetica di Aristotele e l’Ars Poetica di Orazio divenne una pratica
ricorrente tra chi desiderava ritrovare un’origine antica alla questione sempre attuale
della complementarietà fra le arti sorelle. In realtà si trattò, per la maggior parte dei
casi, di forzature, di trasmigrazioni di teorie da un’arte all’altra, di “omologie
poetologiche”, per usare un temine del catalogo di Cometa, con risultati a volte
claudicanti. Lo stesso motto dell’ut pictura poesis, ad esempio, era il risultato
dell’interpretazione forzata di un’espressione adoperata da Orazio della sua Ars
Poetica.. Qui Orazio, lungi dal volere statuire un’analogia formale tra le due arti, si
rifà, in realtà, alla similitudine con la pittura (“come un quadro”), semplicemente per
dimostrare come nel giudicare una poesia “a volte” bisognerebbe essere flessibili
come quando si giudica un quadro dallo stile sommario e impressionistico, per
godere del quale, bisogna mettersi ad una certa distanza. Come osserva Mario Praz,
Orazio «altro non diceva se non che avveniva di certe poesie come di certi quadri,
che alcune piaccion una volta sola, altre resistono a ripetute letture e indagini
critiche». La formula dell’ut pictura poesis, in realtà, finì per giustificare l’idea di
totale corrispondenza tra pittura e poesia affascinando per secoli schiere di teorici
appartenenti ai più svariati ambiti del sapere. L’antichità divenne la fonte da cui
attingere alla ricerca dei motti più resistenti. Si ricordi, ad esempio, la nota
formula «la pittura è poesia muta, e la poesia pittura parlante» che Plutarco attribuì a
Simonide di Ceo e che fu destinata a viaggiare ancora una volta attraverso le epoche.
Ma fu certamente il Rinascimento l’epoca considerata protagonista di un acceso
dibattito alimentato dal confronto fra le arti. La parola d’ordine era “competizione”, e
vide schiere di critici d’arte e letterari prendere le parti della rispettiva arte per
confermarne la superiorità. La pittura, che godeva dei più forti riconoscimenti a
quell’epoca, poteva annoverare tra i suoi difensori figure quali Leonardo da Vinci. Il
celebre Paragone leonardesco, esposto nel suo Trattato della Pittura, rappresenta
forse la difesa più autorevole mai esposta sull’arte della pittura e l’attacco più
violento sferrato alla poesia: In effetti la poesia non ha propria sedia, nè la materia
altrimenti, che di un merciajo ragunatore di mercanzie fatte da diversi artigiani. La
pittura serve a più degno senso, della poesia, e fa con più verità le figure delle opere
di natura che il poeta. Si ritrova la poesia nella mente, ovvero immaginativa del
poeta, il quale finge le medesime cose del pittore, per le quali finzioni egli vuol
equipararsi a esso pittore, ma invero ei n’è molto rimoto. Nelle parole di Leonardo la
poesia è arte “ladra”, svuotata di qualsiasi valore e capacità artistica, mentre la pittura
assurge ad arte perfetta e vera, che supera la poesia nella rappresentazione della
realtà. Leonardo avvalora questa tesi paragonando, ad esempio, la rispettiva abilità
delle due arti di rappresentare una battaglia: Se tu, poeta, figurerai la sanguinosa
battaglia, si sta con la oscura e tenebrosa aria, mediante il fumo delle spaventevoli e
mortali macchine, mista con la spessa polvere intorbidatrice dell’aria, e la paurosa
fuga de’ miseri spaventati dalla orribile morte. In questo caso il pittore ti supera,
perché la tua penna sarà consumata, innanzi che tu descriva appieno quel che
immediate il pittore ti rappresenta con la sua scienza. E la tua lingua sarà impedita
dalla sete, e il corpo dal sonno e dalla fame, prima che tu con parole dimostri quello
che in un istante il pittore ti dimostra . Lunga e tediosissima cosa sarebbe a la poesia
ridire tutti li movimenti degli operatori di tal guerra, e le parti delle membra, e loro
ornamenti, delle quali cose la pittura finita con gran brevità e verità pone innanzi.
Forse mai la poesia uscì così sconfitta dal confronto con la pittura, fatto legato
senz’altro al contesto artistico del Rinascimento che vide la scoperta di tecniche più
sofisticate di rappresentazione pittorica, quali la prospettiva fortemente basata sul
concetto di mimesi. Non può stupire, dunque, che proprio alla pittura spettasse, a
quell’epoca, il primato tra le arti e soprattutto il ruolo di guida dell’arte sorella. Altri
significativi passaggi nell’arco della storia segnarono i destini della dottrina delle
“arti sorelle”, soprattutto attraverso l’applicazione pratica di tecniche di
contaminazione parola-immagine, come nel caso dell’emblematica, che ebbe una
notevole diffusione nel XVII secolo e che favorì l’idea di omologia fra le due
espressioni artistiche. Si trattava di una forma perfetta di unione tra immagine e testo,
la cui particolarità consisteva nella capacità di giustapporre i due media, riuscendo
comunque a mantenere integra la funzione e il valore semantico di ognuna delle due
espressioni artistiche, che in tal modo s’interpretavano reciprocamente. L’emblema
incarnava in sé un’idea di completezza data dal mettere insieme, attraverso la
rappresentazione, corpo (immagine) e spirito (testo). La produzione di emblemi,
anche se già ampiamente diffusa nel Rinascimento, divenne poi una vera e propria
moda nel Seicento. Fu soprattutto il Settecento, però, l’epoca in cui si tornò a
riflettere con insistenza sul confine e sull’omologia fra le due arti. A questa epoca
risale, non a caso, il contributo fondamentale di Gotthold Ephraim Lessing, Laokoon
del 1766, cui si deve la svolta più significativa nell’ambito della tradizione dell’ut
pictura poesis e di tutta la successiva teorizzazione relativa al rapporto fra letteratura
e arti figurative. Le riflessioni di Lessing costituiscono ancora oggi il punto di
partenza per i teorici dell’intermedialità, poiché si tratta della prima vera
disquisizione scientifica sui due mezzi di rappresentazione artistica, che Lessing,
come vedremo, tende più a distinguere che ad omologare. Come osserva Cometa
nella presentazione alla traduzione italiana del Laokoon, l’originalità dello scritto
lessinghiano non consiste tanto nella sua totale estraneità alla tradizione
argomentativa dell’ut pictura poesis – come sarebbe naturale pensare – né
nell’assoluta novità dell’assunto. Già prima di Lessing si era a lungo discusso
nell’estetica del Settecento del diverso potenziale semantico delle “arti sorelle”.
L’abbé Dubos nel suo Réflexions critiques sur la Poésie, la Peinture et la Musique
del 1719, e Denis Diderot nella sua Lettre sur le sourds et les muets del 1751, si
erano interessati alle specificità dei singoli mezzi artistici21. Ed è certamente
probabile che questi testi abbiano rappresentato uno stimolo per le successive
riflessioni lessinghiane. In cosa consiste, dunque, la specificità del testo di Lessing?
Una citazione da questo importante scritto può aiutarci a rispondere a questa
domanda: Tuttavia proprio come se non esistesse alcuna differenza molti critici
moderni hanno dedotto da questa armonia tra la pittura e la poesia le cose più triviali
del mondo. Ora costringendo la poesia entro i limiti più angusti della pittura, ora
lasciando che la pittura occupasse tutta l’ampia sfera della poesia. Tutto quel che va
bene per l’una deve esser concesso anche all’altra; tutto quel che in uno piaceva o
dispiaceva, deve necessariamente piacere o dispiacere nell’altra; e pieni di questa
idea pronunciano con i toni più risoluti i giudizi più superficiali, attribuendo le
divergenze rilevate tra le opere del poeta e quelle del pittore sugli stessi soggetti agli
errori di questo o di quello, a seconda se hanno maggiore gusto per l’arte poetica o
per la pittura. L’obiettivo polemico di Lessing è rappresentato, in modo particolare,
dalle forme d’arte mista, come gli emblemi dell’età barocca, o la poesia descrittiva in
auge proprio nel Settecento. Quest’ultima era una pratica di scrittura letteraria che
tradiva una predilezione per l’arte sorella della pittura, di cui si apprezzavano e
studiavano i metodi che si cercava di applicare anche all’arte verbale. Hagstrum, nel
suo testo The Sister Arts osserva come in effetti il Settecento sia stata un’epoca
esemplare rispetto alla relazione tra le due arti, relazione che egli definisce di
“friendly emulation”. Lo studioso fa alcune importanti considerazioni su questo
particolare momento di contaminazione artistica, riflettendo soprattutto sulle ragioni
che possano avere contribuito, a quell’epoca, all’incremento di interdipendenza fra le
arti sorelle: La sinergia tra le arti nel XVIII secolo non riguardò semplicemente la
poesia e la pittura. Il Settecento coinvolse, in questo fenomeno di transitabilità, anche
l’architettura che trovò ad esempio la sua più diretta espressione nell’arte del
giardino. Quest’ultima faceva appello alla stessa estetica del Pittoresco già confluita
nei dipinti di Claude Lorrain, Salvator Rosa e Poussin, gli stessi che influenzarono le
opere letterarie dei poeti pittorialisti, o meglio ancora “pittoreschi”. Il landscape
gardening del Settecento inglese rappresentò il punto di unione tra interesse pittorico
e interesse poetico, e costituì una delle esperienze del visuale tipiche di quel secolo.
Era inevitabile che una tale conflagrazione di fatti visivi, come quelli sopra elencati
da Hagstrum, avesse i suoi effetti anche sull’arte letteraria. La produzione dei poeti
pittorialisti è in questo senso particolarmente rappresentativa. Si pensi anche solo al
panorama inglese, centrale nello studio di Hagstrum, e agli scritti di Dryden, Pope,
Gray e Thomson che aderirono a questa dominante teoria estetica: Furono
probabilmente queste stesse macroscopiche assurdità a generare in Lessing il
desiderio di mettere ordine a questo “degenerato” caos concettuale, agendo
soprattutto in nome della poesia, di cui tende, nel suo studio, a ridisegnare le
specifiche e uniche caratteristiche. E se da un lato Lessing si opponeva alla tradizione
delle “arti sorelle”, «che non aveva fatto altro che ritardare l’applicazione di un
rigoroso principio analitico alle arti», dall’altro rifiutava l’assolutizzazione
dell’allegoria nel Barocco che trovava espressione nell’emblematica e che «aveva
finito per ridurre la poesia a mera didascalia, per di più enigmatica, e la pittura a
mero schizzo allegorico dal tratto approssimativo e comunque privo di colore». Così
scrive Lessing: Sì, questa pseudocritica ha fuorviato persino gli stessi virtuosi. Essa
ha prodotto in poesia la mania delle descrizioni e in pittura l’allegorismo, facendo di
quella un quadro parlante, senza sapere in realtà che cosa essa possa e debba
dipingere, e di questa un componimento poetico muto, senza avere considerato in che
misura questa possa esprimere concetti universali e divenire una scrittura di segni
arbitrari. Lo scopo di Lessing era quello di riportare, come osserva ancora
Cometa, «l’attenzione della critica estetica sulle opere d’arte, aprendole ad una sorta
di “orizzonte dialogico” animato da uno slancio squisitamente umanistico, che ebbe
la funzione di rimettere in discussione tutte le componenti dell’esperienza estetica».
Uno dei concetti della tradizione pittorialista, e di quella dell’ut pictura poesis più in
generale, maggiormente contestati da Lessing, fu quello dell’imitazione, della
mimesis, e non tanto dell’imitazione “tra” le arti, quanto dell’imitazione oggettiva
della realtà: Quando si dice che l’artista imita il poeta, o che il poeta imita l’artista, si
possono intendere due cose. O l’uno fa dell’opera dell’altro oggetto reale della
propria imitazione, o entrambi hanno lo stesso oggetto da imitare e l’uno prende
dall’altro il modo e la maniera di imitarlo”. Esporranno i seguenti artisti : Roberta
Papponetti , Carla Cerbaso, Tiziana Pantalone, Concetta Daidone, Vilma Santarelli,
Concetta Iaccarino, Rita Di Marcantonio, Paola Silvestri, Rossella Circeo, Liberata
Mizzoni, Elena Di Lella, Dora Fabiano, Paola Spaventa, Luisa Balzano, Mae Carulli,
Angela Di Teodoro, Terezina Radovani, Romina Scipione, Stefano Ferruccio,
Giuseppina Narducci, Mario Di Profio, Teresa Micchetti , Valentina Di Campli San
vito, Fabj Diggi, Alessia Pignatelli, Alida Ferrettini , Adalgisa Santucci, Giosy
Costan .
24
agosto 2014
La Poesipittura
Dal 24 al 31 agosto 2014
arte contemporanea
Location
COMPLESSO MONUMENTALE DI SANT’ANNA
Ortona, Corso Garibaldi, (Chieti)
Ortona, Corso Garibaldi, (Chieti)
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