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in fumo_interviste Max Frezzato e Pinocchio
in fumo
Ama Pinocchio ma si sente un po' come Geppetto. Così Frezzato mette in mostra il suo bambino non più burattino. Lo fa con immagine vorticose e passionali, in una mescolanza emotiva di tecniche pronte all'uso. Il suo è un nome da ricordare...
Frezzato
preferisce essere chiamato Max. Nato a Torino nel 1967, ha pubblicato storie
negli Usa e in buona parte dell’Europa occidentale. Ha insegnato all’Accademia
d’Arte Pictor di Torino e ora che vive in Toscana ha accettato la proposta del
Museo del fumetto di Lucca, allestendo a Palazzo Guinigi una mostra dedicata a
Pinocchio, le cui illustrazioni sono state utilizzate a corredo della storia di
Collodi per una nuova edizione co-edita da Muf e Grifo.
Frezzato è un artista di grande talento che, almeno in
Italia, non occupa una delle poltrone d’élite accanto a certi suoi colleghi.
Forse è meglio così. Almeno fino a quando sarà in grado di regalare opere come
queste.
Ti senti un po’ come Pinocchio?
Sì. Anzi, una volta mi sentivo un Pinocchio. Ora sono più
vicino a Geppetto. Forse per questioni anagrafiche.
Forse perché sei anche padre?
Sì, anche per questo.
Parlaci della genesi di questo lavoro, che mette in
piazza anche vicende personali…
Fin da bambino possiedo un grande libro della Fabbri
Editore con le fiabe sonore. Sopra c’è ancora scritto il mio nome. E la classe:
seconda elementare. Nello stesso periodo passava in televisione il Pinocchio di Luigi Comencini. Poi, negli
anni, l’ho incontrato di nuovo quando mio padre, toscano, mi portò in visita al
parco di Collodi.
E lì è scattata la “molla”?
Non proprio. La consapevolezza è arrivata molto più tardi.
Cioè quando mi sono reso conto delle motivazioni. Così, con questo spirito, ho
iniziato a lavorare. È stato un percorso lento, non eccessivamente sofferto ma
neppure affrontato con superficialità.
Quindi non pensavi a Pinocchio come a una fiaba per
ragazzi?
Vedi, ho affrontato Pinocchio nella sua complessità,
valutando e analizzando tutta la simbologia. E non ho trascurato il punto di
vista del bambino e le sue relazioni umane.
Il lavoro è andato avanti di pari passo con la crescita
di tua figlia Luna?
È stato un caso. Lavoravo a Pinocchio e contemporaneamente
vedevo crescere mia figlia. Mi chiedevo come fosse possibile che a un bambino come Pinocchio non potessero
essere offerte le stesse opportunità che hanno i nostri figli. Da Pinocchio,
infatti, si pretende tutto e subito. Questa la considero da sempre una grande
ingiustizia. Qui ho potuto rappresentare senza parole il suo sguardo sul mondo,
quello visto dagli occhi di un bambino.
Così sei riuscito a declinare graficamente ogni singola
emozione: dalla sintesi umoristica fino alla pittura a olio, dalla
rappresentazione dei momenti più giocosi fino a quelli decisamente drammatici.
L’utilizzo di tecniche diverse è ragionato o istintivo?
Solo istinto. Se a volte ci metto un po’ di ragione è
perché devo codificare ciò che l’istinto mi ha portato a pensare e fare. In
questo modo posso dare al mio lavoro una connotazione, rendendolo
“leggibile”. Ad esempio, la ragione è stata necessaria al momento di
contare i pezzi e analizzare la storia. C’era infatti la necessità di pubblicare
le illustrazioni a corredo del testo in modo omogeneo.
E sull’utilizzo di tecniche miste?
Tutto è nato col nostro trasloco. Abitavamo in una casa
piena di scatoloni e varie carabattole. Compresi gli attrezzi del mestiere,
visto che anche la mia compagna dipinge. C’erano in giro chiodi, pezzi di
legno, cartapesta… Essendoci appena trasferiti non c’erano tavoli da lavoro
ben puliti. Quindi ero costretto a lavorare ogni giorno con materiali diversi.
Fra le tante, c’è un’illustrazione cui sei
particolarmente legato?
L’ultima. Quel collage di Pinocchio abbandonato sulla
sedia come burattino. L’ho realizzata nelle condizioni peggiori. Quella sera
non avevamo la luce. Eleonora, la mia compagna, era in attesa di Luna. La
bambina stava per nascere, lei era andata a letto alle otto di sera. Io no.
Alle tre del mattino ero ancora sveglio. Nella casa nuova non c’era neppure il
riscaldamento e cominciavo a pensare che essersi trasferiti fosse stato uno
sbaglio. Accesi il fuoco con vecchi ritagli di giornale. Erano a colori e per
me fu una scoperta. Anziché bruciare tutto cominciai a comporre con la colla
quest’opera alla luce del camino. Un momento magico.
Sei un artista di grande talento. Il tuo Pinocchio lo
dimostra. Con questo talento, in questo mondo, si riesce a vivere con dignità?
Il committente iniziale, un francese, sparì quando mi
trovavo a metà del lavoro. Era trascorso un anno e fui preso dalla
disperazione. È il momento in cui realizzai quel Pinocchio abbandonato sulla
sedia. Poi, sapendo di lavorare senza un committente, mi sentii libero di fare
ciò che volevo. Ovviamente a un lavoro come questo non ci si affida
economicamente. Per quello ci sono altre commissioni, che pur imponendo delle gabbie garantiscono la sopravvivenza.
Anche se, in tutta onestà, certi lavori preferisco evitarli. Meglio pochi
lavori mensili che permettono di campare e avere a disposizione ore per me e
tempo libero da dedicare a ciò che mi piace. Insomma, preferisco la mia
espressione artistica e la mia famiglia al conto in banca.
Al di là della corresponsioni economiche, alla
notorietà pensi mai?
Mi preferisco come sono. E domando a te: cos’è la
notorietà? Forse l’idea di far pronunciare il proprio nome? Me lo chiedo fin da
quando ero piccolo. Non voglio promuovere la mia faccia o il mio nome. Sono più
interessato a crescere mia figlia e a gestire il mio tempo. È l’unica cosa che
continuerò a difendere.
articoli correlati
Frezzato
per l’Ospedale di Lucca
a cura di gianluca
testa
dal 26 settembre al 31 dicembre 2009
Massimiliano Frezzato – Quando Pinocchio tornò a Lucca
Palazzo
Guinigi
Via Guinigi,
21 – 55100 Lucca
Orario: da venerdì a domenica ore 10-19
Ingresso: intero € 4; ridotto € 3
Catalogo Grifo Edizioni e Muf, € 15
Info: tel./fax +39 058356326; info@museoitalianodelfumetto.it;
www.museoitalianodelfumetto.it
[exibart]