Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
L’inquietudine nell’Espressionismo italiano
Per la prima volta un’esposizione presenta opere che raccontano i percorsi creativi dell’espressionismo italiano con artisti del primo Novecento influenzati da questo movimento o che si sono accompagnati sulla strada tracciata nello sviluppo della nascita del gruppo tedesco “Die Brücke”.
Comunicato stampa
Segnala l'evento
La mostra racconta in modo esauriente i percorsi creativi dell’espressionismo italiano con artisti del primo Novecento influenzati da questo movimento o che si sono accompagnati sulla strada tracciata nello sviluppo della nascita del gruppo tedesco “Die Brücke”, il cui intento era quello di interpretare nelle opere quanto avvertito attraverso l’emozione e non nel seguire regole formali o richiami estetici che ritenevano ormai superati pur senza disconoscerli, così da proporre un “ponte” tra un’arte emergente nelle prime avanguardie e la tradizione.
Siamo a Dresda nel 1905 e in maniera spontanea quattro studenti di architettura (Fritz Bleyl, Ernst Ludwig Kirchner, Erich Heckel e Karl Schmidt-Rottluff) fondano il gruppo che poi sarà la base da cui discenderà quello che, nella storia dell’arte, è noto come il primo importante contributo dell’arte alla modernità: l’Espressionismo. I quattro amici resteranno insieme artisticamente fino al 1913, ma nel frattempo con il contributo di Emil Nolde, Max Pechstein, Otto Mueller e Kees van Dongen, e in un clima non sempre determinato da un pieno accordo tra loro, rivoluzioneranno l’impressionismo francese, che intanto a fine Ottocento aveva aperto all’arte la contemporaneità. Insieme prospettano una visione diversa nell’impegno ideologico e nella rappresentazione che passa da un atteggiamento positivo nei confronti della vita en plein air con una pittura cromatica marcata e rapidi tocchi di pennello, a quella drammatica espressa attraverso la violenza di colori forti e la deformazione figurale, spostando dall’esterno all’interno la visione introspettiva dell’uomo.
Un antefatto dell’espressionismo si può trovare nella pittura di Van Gogh, di Gauguin, di Ensor, di Lautrec e soprattutto già nel 1885 nel “Der Schrei der Natur”, ovvero l’urlo di Munch. Non solo. Un richiamo doveroso è ancora alla Francia con i “fauves”, che cronologicamente è stato il primo gruppo espressionista europeo presente in pubblico a Parigi al “Salon d’Automne” nel 1905. “Fauve” e “Die Brücke” avranno in comune l’utilizzo del colore acceso, steso a macchie pastose per i primi, mentre per entrambi si ravvisa il rifiuto della prospettiva e del chiaroscuro, che per i secondi si accentua tra spesse linee nere per costruire contorni marcati (tanto da preferire la xilografia) e colori a creare contrasti di luce in accostamenti dissonanti.
La mostra che mette insieme una varia inventiva artistica cita le voci dell’espressionismo italiano che non si riunì mai in un gruppo che ne richiamasse specificatamente l’adesione, e da qui la presunzione che in Italia non sia esistito un Espressionismo. Questo per mancanza di una indagine e di un mettere insieme opere e tendenze di alcuni pittori che sono assimilabili, in modo più o meno evidente, a questa corrente artistica, fin dai principali personaggi del Futurismo che comunque hanno guardato a una fase espressionista, e in specie quelli della generazione tra la Prima e la Seconda guerra mondiale, concentrati su alcuni principi riconducibili a questa tendenza come per gli appartenenti alla Scuola Romana, il gruppo Corrente, il gruppo Cobra, il Fronte nuovo delle arti, in varie dimensioni e prospettive a delineare narrative senza dimenticare la realtà e l’uomo. Nel loro insieme, dunque, da una fase iniziale antecedente la Prima Guerra mondiale, si registra questa partecipazione italiana al “grido” di rivolta dell’artista che capisce di poter intervenire sulla realtà, qui vista non solo come rappresentazione ma come denuncia. “Un grido d’angoscia” che “sale dal nostro tempo” e “urla nelle tenebre”. E sarà proprio nelle intenzioni degli espressionisti riaprire “all’uomo la bocca”, come scriveva il filosofo e filologo Hermann Bahr nel 1916, alternando una disquisizione tra occhio dello spirito e occhio del corpo, nel libro che s’intitola “Espressionismo”, dando spazio a un inedito linguaggio e alle sue qualità espansive non prive di problematiche, e che toccherà pure l’architettura, la letteratura, il teatro, il cinema.
Non possiamo, certo, parlare di aggregazione tra artisti italiani ma di ordinare un cammino artistico ancora nascosto e invisibile anche agli addetti ai lavori se non in pochi sporadici raffronti di appartenenza; ma qui la cura della mostra rifiuta definizioni schematiche e va per intenti culturali in una ricognizione tra multiformi contributi e per coesione almeno nelle opere a stampa (come nell’interesse per la litografia) rispetto alla poetica a volte malinconica o ai turbamenti in contrapposizione formale ai richiami del primo Novecento che alla sensibilità del classicismo opponeva un primo taglio con il passato, orientando una produzione contemporanea verso il vero non mistificato. Così tra gli artisti presenti nella rassegna, tra le personalità più note, troviamo Ernesto Treccani, Gabriele Mucchi e Domenico Cantatore, Aligi Sassu, Riccardo Schweizer, Giuseppe Migneco e Mino Maccari, Corrado Cagli, Bruno Cassinari e Sandro Chia, Emilio Vedova, Tono Zancanaro e Virgilio Guidi, Antonietta Lande, Enotrio e Gianni Ambrogio, Angelo Berardi, Franco Ferlenga e Agenore Fabbri.
Una mostra ricca di suggestioni che svela sentieri inaspettati nella difficoltà di definizione e documenta tappe stilistiche di un germinante gergo pittorico in composizioni e ritmi attraverso selezionati lavori che hanno caratterizzato un momento composito in un periodo pieno di trasformazioni. E l’inquietudine nell’Espressionismo italiano muove i primi passi in un rapporto tra capitalismo emergente e socialismo, tra borghesia, progresso e catastrofe guerrafondaia, fino ad approdare alla presa di coscienza da parte dell’artista stesso di una partecipazione diretta nella res publica. In gran parte sarà una chimera, ma l’alternativa della libertà è un motivo che vale sempre la pena di praticare, in un ruolo di confronto che ieri come oggi tenga desto l’ideale che molti vorrebbero onirico, tanto che si potrebbe ravvisare un ritorno “esasperante” nella contemporaneità. In un rilievo sovrastorico tra passato e presente, infatti, ben si proporrebbe una disamina tra sperimentazione e collocazione evocativa nella reazione rispetto al recupero e alla sintesi di un rapporto con il passaggio primitivo dell’analisi del brutto rispetto all’armonia che contrasta l’immanenza e adotta l’inconscio in qualcosa di viscerale.
Comune a tutti è l’evoluzione entro i limiti ideologici che inevitabilmente condizionano, e l’illusione di una potenzialità che non coincide con i risultati sul campo pur in una raggiunta forte scomposizione negativa del disagio quotidiano, fino ad accorgersi di un’impotenza che farà dire, anche questo in comune con tutti i movimenti d’avanguardia, che se l’arte non può raggiungere o contribuire a una “rinascita” di un mondo possibile, allora l’arte è morta. Non è così perché concordi con Kandinskij diciamo che “solo l’arte” può trasportare “fuori dello spazio e del tempo”, e non è così perché questo itinerario espositivo lo dimostra, nel considerare esiti e dimensioni radicalmente originali - se non nell’espressionismo delle radici - in “aspetti espressionistici” che hanno contraddistinto il passaggio dall’arte moderna a quella contemporanea, dall’espressionismo lirico a quello astratto, tra figure poliedriche concentrate non su uno stile unitario bensì in un’appartenenza all’esigenza d’esprimere una modernità già partita con Cézanne e già incrementata nel fauvismo e nel cubismo. Così l’arte italiana, nel recepire le prove europee di quegli anni, in un’indagine autonoma giunge a una maturazione espressionista nell’uso del mezzo artistico, assorbendo i momenti drammatici e di crisi nel travaglio della prima metà del Novecento, nel trasfondere nelle opere un senso d’intimità in spazi in cui lo spettatore entra anche senza una peculiare preparazione.
Andrea Barretta
Siamo a Dresda nel 1905 e in maniera spontanea quattro studenti di architettura (Fritz Bleyl, Ernst Ludwig Kirchner, Erich Heckel e Karl Schmidt-Rottluff) fondano il gruppo che poi sarà la base da cui discenderà quello che, nella storia dell’arte, è noto come il primo importante contributo dell’arte alla modernità: l’Espressionismo. I quattro amici resteranno insieme artisticamente fino al 1913, ma nel frattempo con il contributo di Emil Nolde, Max Pechstein, Otto Mueller e Kees van Dongen, e in un clima non sempre determinato da un pieno accordo tra loro, rivoluzioneranno l’impressionismo francese, che intanto a fine Ottocento aveva aperto all’arte la contemporaneità. Insieme prospettano una visione diversa nell’impegno ideologico e nella rappresentazione che passa da un atteggiamento positivo nei confronti della vita en plein air con una pittura cromatica marcata e rapidi tocchi di pennello, a quella drammatica espressa attraverso la violenza di colori forti e la deformazione figurale, spostando dall’esterno all’interno la visione introspettiva dell’uomo.
Un antefatto dell’espressionismo si può trovare nella pittura di Van Gogh, di Gauguin, di Ensor, di Lautrec e soprattutto già nel 1885 nel “Der Schrei der Natur”, ovvero l’urlo di Munch. Non solo. Un richiamo doveroso è ancora alla Francia con i “fauves”, che cronologicamente è stato il primo gruppo espressionista europeo presente in pubblico a Parigi al “Salon d’Automne” nel 1905. “Fauve” e “Die Brücke” avranno in comune l’utilizzo del colore acceso, steso a macchie pastose per i primi, mentre per entrambi si ravvisa il rifiuto della prospettiva e del chiaroscuro, che per i secondi si accentua tra spesse linee nere per costruire contorni marcati (tanto da preferire la xilografia) e colori a creare contrasti di luce in accostamenti dissonanti.
La mostra che mette insieme una varia inventiva artistica cita le voci dell’espressionismo italiano che non si riunì mai in un gruppo che ne richiamasse specificatamente l’adesione, e da qui la presunzione che in Italia non sia esistito un Espressionismo. Questo per mancanza di una indagine e di un mettere insieme opere e tendenze di alcuni pittori che sono assimilabili, in modo più o meno evidente, a questa corrente artistica, fin dai principali personaggi del Futurismo che comunque hanno guardato a una fase espressionista, e in specie quelli della generazione tra la Prima e la Seconda guerra mondiale, concentrati su alcuni principi riconducibili a questa tendenza come per gli appartenenti alla Scuola Romana, il gruppo Corrente, il gruppo Cobra, il Fronte nuovo delle arti, in varie dimensioni e prospettive a delineare narrative senza dimenticare la realtà e l’uomo. Nel loro insieme, dunque, da una fase iniziale antecedente la Prima Guerra mondiale, si registra questa partecipazione italiana al “grido” di rivolta dell’artista che capisce di poter intervenire sulla realtà, qui vista non solo come rappresentazione ma come denuncia. “Un grido d’angoscia” che “sale dal nostro tempo” e “urla nelle tenebre”. E sarà proprio nelle intenzioni degli espressionisti riaprire “all’uomo la bocca”, come scriveva il filosofo e filologo Hermann Bahr nel 1916, alternando una disquisizione tra occhio dello spirito e occhio del corpo, nel libro che s’intitola “Espressionismo”, dando spazio a un inedito linguaggio e alle sue qualità espansive non prive di problematiche, e che toccherà pure l’architettura, la letteratura, il teatro, il cinema.
Non possiamo, certo, parlare di aggregazione tra artisti italiani ma di ordinare un cammino artistico ancora nascosto e invisibile anche agli addetti ai lavori se non in pochi sporadici raffronti di appartenenza; ma qui la cura della mostra rifiuta definizioni schematiche e va per intenti culturali in una ricognizione tra multiformi contributi e per coesione almeno nelle opere a stampa (come nell’interesse per la litografia) rispetto alla poetica a volte malinconica o ai turbamenti in contrapposizione formale ai richiami del primo Novecento che alla sensibilità del classicismo opponeva un primo taglio con il passato, orientando una produzione contemporanea verso il vero non mistificato. Così tra gli artisti presenti nella rassegna, tra le personalità più note, troviamo Ernesto Treccani, Gabriele Mucchi e Domenico Cantatore, Aligi Sassu, Riccardo Schweizer, Giuseppe Migneco e Mino Maccari, Corrado Cagli, Bruno Cassinari e Sandro Chia, Emilio Vedova, Tono Zancanaro e Virgilio Guidi, Antonietta Lande, Enotrio e Gianni Ambrogio, Angelo Berardi, Franco Ferlenga e Agenore Fabbri.
Una mostra ricca di suggestioni che svela sentieri inaspettati nella difficoltà di definizione e documenta tappe stilistiche di un germinante gergo pittorico in composizioni e ritmi attraverso selezionati lavori che hanno caratterizzato un momento composito in un periodo pieno di trasformazioni. E l’inquietudine nell’Espressionismo italiano muove i primi passi in un rapporto tra capitalismo emergente e socialismo, tra borghesia, progresso e catastrofe guerrafondaia, fino ad approdare alla presa di coscienza da parte dell’artista stesso di una partecipazione diretta nella res publica. In gran parte sarà una chimera, ma l’alternativa della libertà è un motivo che vale sempre la pena di praticare, in un ruolo di confronto che ieri come oggi tenga desto l’ideale che molti vorrebbero onirico, tanto che si potrebbe ravvisare un ritorno “esasperante” nella contemporaneità. In un rilievo sovrastorico tra passato e presente, infatti, ben si proporrebbe una disamina tra sperimentazione e collocazione evocativa nella reazione rispetto al recupero e alla sintesi di un rapporto con il passaggio primitivo dell’analisi del brutto rispetto all’armonia che contrasta l’immanenza e adotta l’inconscio in qualcosa di viscerale.
Comune a tutti è l’evoluzione entro i limiti ideologici che inevitabilmente condizionano, e l’illusione di una potenzialità che non coincide con i risultati sul campo pur in una raggiunta forte scomposizione negativa del disagio quotidiano, fino ad accorgersi di un’impotenza che farà dire, anche questo in comune con tutti i movimenti d’avanguardia, che se l’arte non può raggiungere o contribuire a una “rinascita” di un mondo possibile, allora l’arte è morta. Non è così perché concordi con Kandinskij diciamo che “solo l’arte” può trasportare “fuori dello spazio e del tempo”, e non è così perché questo itinerario espositivo lo dimostra, nel considerare esiti e dimensioni radicalmente originali - se non nell’espressionismo delle radici - in “aspetti espressionistici” che hanno contraddistinto il passaggio dall’arte moderna a quella contemporanea, dall’espressionismo lirico a quello astratto, tra figure poliedriche concentrate non su uno stile unitario bensì in un’appartenenza all’esigenza d’esprimere una modernità già partita con Cézanne e già incrementata nel fauvismo e nel cubismo. Così l’arte italiana, nel recepire le prove europee di quegli anni, in un’indagine autonoma giunge a una maturazione espressionista nell’uso del mezzo artistico, assorbendo i momenti drammatici e di crisi nel travaglio della prima metà del Novecento, nel trasfondere nelle opere un senso d’intimità in spazi in cui lo spettatore entra anche senza una peculiare preparazione.
Andrea Barretta
03
maggio 2014
L’inquietudine nell’Espressionismo italiano
Dal 03 maggio al 07 giugno 2014
arte moderna e contemporanea
Location
GALLERIA AB/ARTE
Brescia, Vicolo San Nicola, 6, (Brescia)
Brescia, Vicolo San Nicola, 6, (Brescia)
Orario di apertura
Dal giovedì al sabato negli orari 9,30 - 12,30 e 15,30 - 19,30
Vernissage
3 Maggio 2014, 18,00
Autore
Curatore