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Fabrizio Molinario – The People
The People, la gente. Ma sarebbe meglio dire The mask. La maschera., le maschere che ci portiamo dentro e che emergono quando il cuore si eclissa e rifulgono allora astri oscuri, l’invidia, l’accidia, l’urlo becero.
(Gian Piero Prassi)
Comunicato stampa
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Questa nuova serie di Fabrizio Molinario conferma la versatilità di un artista nato fuori dalle accademie, autodidatta ma non per questo non informato sull’arte contemporanea e sui suoi meccanismi. Il suo percorso è partito dalla gestualità, da una materia quasi “action painting” che si cristallizzava in forme vulcaniche, come materia primigenia. Di stagione in stagione quel segno è rimasto magmatico, eppure si è inerpicato su diversi sentieri. Ora di un rigore geometrico, più spesso dal sapore arcaico.
Qui i richiami e gli incroci sono davvero tanti. C’è senza dubbio l’eco delle maschere tribali africane (che del resto “acchiapparono” anche maestri come Pablo Picasso), l’immediatezza del disegno infantile. Poi sotto pelle c’è l’espressionismo feroce di George Grosz che torna trasfigurato ma semmai ancor più feroce. La gente dell’artista tedesco apparteneva alla borghesia dissoluta e guerrafondaia che avrebbe partorito il Nazionalsocialismo, le maschere di Fabrizio, sono di gente comune, disperati come il “clochard” o donne misteriose come “Giorgia”, ragazzini terribili come “Marco il ripetente”, eppure l’iconografia che esprime attiene anche a imbonitori televisivi, a politici sudati e dalla dialettica caciarona, a “esodati” dal Grande Fratello o dall’Isola dei Famosi.
Ma non solo, c’è anche la famiglia (vedi appunto “Riunione di famiglia”, istituzione italiana per eccellenza. La Chiesa e l’emarginazione dei giocatori di video-poker. Ogni immagine ha il suo carico di simboli e la sua scia di rabbia o di dolore.
Quale fosco futuro anticipano queste figurazioni? Forse sono solo volti del “qui ed ora”, rappresentazioni esasperate di sentimenti universali, mai passati di moda.
Vi ritrovo anche alcuni tratti della poesia disincantata e a volte cinica del fratello Lino Molinario, che non può non aver lasciato delle tracce nell’evoluzione artistica di Fabrizio.
Come deve essere quando l’arte si manifesta e diventa materia tantissimi contributi confluiscono nel gesto pittorico che è sempre lacerante in quest’artista che “graffia” i supporti, li sfida con tecniche estreme, qui l’utilizzo del bitume che contribuisce a creare un’atmosfera cupa, uno sfondo in cui risaltano colori accesi, anche psichedelici. Contraddizioni emergono, i volti congestionati, le assemblee di popolo hanno anche una sfumatura domestica di ironia che vorrebbe essere benevola, ma slitta facilmente nell’invettiva per un presente in cui le “maschere” prevalgono sulla verità, in cui tutti noi siamo facili all’ira o quantomeno al disappunto.
Tante le influenze artistiche, assorbite dalla frequentazione assidua di eventi e comunità artistiche, dalla presenza in contesti fieristici e anche internazionali, vedasi la recentissima esposizione in Bulgaria. Di pari passo con l’assorbimento di “smog culturale” dall’ambiente sociale in putrefazione.
Sembrerebbe non esserci spazio per la speranza, i “neo-primitivi” avanzano e l’artista registra questo stato di fatto, forse lo amplifica ma non lo ignora certo. Lo spazio lo devi trovare nel lato infantile di questi lavori, un ritorno alla semplicità, una messa in discussione delle strutture mentali ed etiche che vengono scardinate ma anche in un qualche modo rigenerate. Intanto però viviamo ancora la decadenza, la discesa agli inferi. Usciremo a riveder le stelle… ma non domani e nemmeno dopodomani.
Gian Piero Prassi
Qui i richiami e gli incroci sono davvero tanti. C’è senza dubbio l’eco delle maschere tribali africane (che del resto “acchiapparono” anche maestri come Pablo Picasso), l’immediatezza del disegno infantile. Poi sotto pelle c’è l’espressionismo feroce di George Grosz che torna trasfigurato ma semmai ancor più feroce. La gente dell’artista tedesco apparteneva alla borghesia dissoluta e guerrafondaia che avrebbe partorito il Nazionalsocialismo, le maschere di Fabrizio, sono di gente comune, disperati come il “clochard” o donne misteriose come “Giorgia”, ragazzini terribili come “Marco il ripetente”, eppure l’iconografia che esprime attiene anche a imbonitori televisivi, a politici sudati e dalla dialettica caciarona, a “esodati” dal Grande Fratello o dall’Isola dei Famosi.
Ma non solo, c’è anche la famiglia (vedi appunto “Riunione di famiglia”, istituzione italiana per eccellenza. La Chiesa e l’emarginazione dei giocatori di video-poker. Ogni immagine ha il suo carico di simboli e la sua scia di rabbia o di dolore.
Quale fosco futuro anticipano queste figurazioni? Forse sono solo volti del “qui ed ora”, rappresentazioni esasperate di sentimenti universali, mai passati di moda.
Vi ritrovo anche alcuni tratti della poesia disincantata e a volte cinica del fratello Lino Molinario, che non può non aver lasciato delle tracce nell’evoluzione artistica di Fabrizio.
Come deve essere quando l’arte si manifesta e diventa materia tantissimi contributi confluiscono nel gesto pittorico che è sempre lacerante in quest’artista che “graffia” i supporti, li sfida con tecniche estreme, qui l’utilizzo del bitume che contribuisce a creare un’atmosfera cupa, uno sfondo in cui risaltano colori accesi, anche psichedelici. Contraddizioni emergono, i volti congestionati, le assemblee di popolo hanno anche una sfumatura domestica di ironia che vorrebbe essere benevola, ma slitta facilmente nell’invettiva per un presente in cui le “maschere” prevalgono sulla verità, in cui tutti noi siamo facili all’ira o quantomeno al disappunto.
Tante le influenze artistiche, assorbite dalla frequentazione assidua di eventi e comunità artistiche, dalla presenza in contesti fieristici e anche internazionali, vedasi la recentissima esposizione in Bulgaria. Di pari passo con l’assorbimento di “smog culturale” dall’ambiente sociale in putrefazione.
Sembrerebbe non esserci spazio per la speranza, i “neo-primitivi” avanzano e l’artista registra questo stato di fatto, forse lo amplifica ma non lo ignora certo. Lo spazio lo devi trovare nel lato infantile di questi lavori, un ritorno alla semplicità, una messa in discussione delle strutture mentali ed etiche che vengono scardinate ma anche in un qualche modo rigenerate. Intanto però viviamo ancora la decadenza, la discesa agli inferi. Usciremo a riveder le stelle… ma non domani e nemmeno dopodomani.
Gian Piero Prassi
03
maggio 2014
Fabrizio Molinario – The People
Dal 03 al 24 maggio 2014
arte contemporanea
Location
GALGARTE
Bergamo, Via Del Galgario, 13, (Bergamo)
Bergamo, Via Del Galgario, 13, (Bergamo)
Orario di apertura
da mercoledì a sabato ore 16.30 - 19
Vernissage
3 Maggio 2014, ore 18.30
Autore
Curatore