-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
L’ACCADEMIA DISSENZIENTE
Personaggi
Una mostra dedicata a Mapplethorpe, senza alcun cenno alla sua produzione omoerotica. È stato il pretesto per chiedere una spiegazione a Franca Falletti, direttrice della Galleria dell’Accademia di Firenze. Un pretesto che ha portato a parlare di ben altro: della situazione toscana, del museo ideale, dei giovani e del Governo...
perfezione nella forma, dialogo ideale fra l’arte di Mapplethorpe e quella di
Michelangelo. Nella recensione pubblicata da “Exibart”, pur elogiando
l’originalità e il rigore scientifico dell’iniziativa, criticavo la mancanza di
riferimenti alla produzione omoerotica del fotografo americano. Si è forse
trattato di un eccesso di pruderie? Ovvero, può un’istituzione “storica” interagire
in modo libero con l’arte contemporanea?
In verità la scelta di non
presentare un certo “tipo” di opere ha avuto una doppia motivazione. Facciamo
una premessa: la critica, almeno fino a oggi, si è più concentrata sulle
caratteristiche umane e sessuali del personaggio che sulle qualità espressive
del fotografo. In parte ciò è avvenuto – secondo un’opinione condivisa da chi
lo conobbe – perché Mapplethorpe stesso, all’inizio della carriera, volle
mettere in rilievo la propria omosessualità. Riteneva che ciò gli sarebbe
servito per emergere più velocemente nell’intricata scena newyorchese della
fine degli anni ‘60, e in effetti fu così.
Ma…
Ma se l’immagine all’inizio gli
giovò, poi divenne nociva; in occasione di ogni mostra, anche quando gli scatti
erotici costituivano una componente minima, i critici continuavano a non
considerare altro. Sulla base di tali elementi, ci è parsa necessaria
un’analisi di Mapplethorpe realizzata con metodologia seria, cioè secondo i
principi e i procedimenti tipici della storiografia artistica. Le impostazioni
sociologiche e psicologiche possono essere integrative ma non primarie, ecco
perché la nostra “esclusione” è stata consapevole: mirata a catalizzare
l’attenzione sul rigore geometrico delle composizioni, appunto sulla perfezione
della forma.
Ok. E il secondo motivo di
‘esclusione’?
Non voglio nascondere niente: io
non dirigo un museo privato, in cui si può realizzare quanto si vuole, ma un
museo statale. Nel mio ruolo è necessario avere del realismo. Se rischio fino a
dieci in una volta sola e dopo non ho altre possibilità, ebbene io mi sono
sfogata, però non ho fatto il bene della società e dell’istituzione. Dunque, la
cosa migliore è procedere per gradi, soprattutto nel contesto pubblico: qui un
errore di valutazione circa il proprio potere può comportarne la perdita
totale.
All’esposizione seguiranno
altri eventi? Avverte la necessità di rivitalizzare la Galleria?
Molti aspetti della mia
trentennale attività, non soltanto l’apertura all’arte contemporanea che è
fattore recente [la prima iniziativa, Forme per il David, è del 2004, N.d.R.], vanno nel senso di un
rinnovamento. Da quando sono qui, il museo ha ampliato enormemente i suoi
spazi: la collezione del Trecento, le icone, il salone dei gessi, il dipartimento
degli strumenti musicali. Ho cercato insomma di evidenziare aspetti culturali
aldilà del David; invece una persona diversa, magari con una mentalità
manageriale come quella che piace al governo, avrebbe preferito un percorso
veloce ed esclusivo su Michelangelo…
Ricorrendo a un’espressione
comune: un percorso veloce per fare cassa?
Proprio così. Ma se il fine è
quello di tenere vivo il museo, cioè rendere la cultura interessante e al
contempo divertente, il teatrino scenografico della politica non serve a
niente. Del resto non credo che i giovani siano davvero attirati dalla
superficialità, o almeno non posso crederlo: la generazione a cui appartengo
amava riflettere, studiare la filosofia, agire di testa propria per non
uniformarsi. Pensi che ancora, quando ricevo apprezzamenti per un’iniziativa,
mi viene naturale chiedermi dove abbia sbagliato.
La questione è complessa:
ristrutturati dal pensiero illuminista per una fruizione democratica della
cultura, i musei sono ormai considerati alla stregua di un reliquario. A parte
poche eccezioni, lo scenario nazionale è desolante: frotte di cittadini che non
s’interessano al proprio patrimonio artistico e turisti che visitano tutto
senza coscienza, come rispondendo a un dovere. Da direttrice di un’istituzione
così importante lei può fare chiarezza: si tratta di una percezione distorta
oppure la dinamica è questa?
La dinamica è proprio questa, e
dobbiamo contrastarla. Le ricordo alcune nostre iniziative: un’apertura serale
gratuita mirata ai residenti, a breve incontri e conferenze con importanti
personaggi del mondo della fotografia, il dipartimento degli strumenti musicali
configurato in modo da non prestarsi a invasioni di massa. Mi rendo conto che è
poco, ma attraverso una reiterazione testarda negli anni si può arrivare a
qualcosa.
Dal tono mi pare di capire che
anche per realizzare il “poco” si debbano affrontare grandi difficoltà…
Sì, purtroppo è difficile ottenere
qualsiasi cosa, per via dell’avidità e della scarsa considerazione nei
confronti dei beni culturali. A me pare che ci sia un fraintendimento assoluto
sui valori: un cittadino colto spreca meno e rende più di uno incolto, dunque
il livello di istruzione non danneggia, semmai favorisce l’economia nazionale.
Fraintendimento che certo non
risparmia Firenze, divisa com’è tra eccedenze di passato rinascimentale e
incapacità di fare innovazione. Quali sono, all’interno di tale sistema, il
ruolo e le responsabilità del Polo Museale Fiorentino?
È un discorso ripetuto ma
corrispondente al vero: la nostra città sfrutta al massimo il proprio
patrimonio e ciò le basta. Una situazione negativa che però ha una sua logica:
quando si ha così tanto a portata di mano, rischi e novità non sembrano fattori
necessari. Personalmente soffro, tanto nell’appurare il frequente
provincialismo delle scelte intellettuali, quanto nel vedere persone capaci
doversene andare in luoghi diversi. Vedremo che cosa accadrà con la nuova
amministrazione. Allo stato attuale delle cose ritengo che il Polo Museale,
insieme a Palazzo Strozzi – sebbene quest’ultimo abbia vissuto varie difficoltà
-, costituiscano la fonte primaria della cultura fiorentina.
A proposito di difficoltà: in
termini d’investimenti e ritorni, sia culturali che materiali, che rapporto c’è
tra musei e mostre temporanee?
Le mostre allestite in Galleria
sono interamente coperte dagli introiti, quindi non costano niente. Anzi, a
volte le temporanee richiedono lavori di adattamento che poi resteranno
nell’allestimento stabile. Il rapporto è conveniente sotto ogni punto di vista.
Proviamo a congetturare sulle
ragioni del decadimento museale. Le propongo questa tesi: l’età contemporanea
ha segnato un frattura tanto netta da rendere impossibile ogni dialogo con il
passato, per cui non si può avere per i secoli trascorsi altro interesse oltre
a quello “specialistico”.
Sono del tutto contraria.
Consapevoli o meno, attraverso la citazione o la negazione, gli artisti
contemporanei rivelano sempre un legame con il passato. È vero che il periodo
storico tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento ha segnato
un cambiamento evidente – in sostanza il passaggio dalla forma verosimile
all’informale – però trasformazioni comparabili erano già avvenute: si pensi
alla produzione coeva di Lorenzo Monaco e Masaccio tra il 1420 e il 1425,
furono due concezioni dell’arte completamente diverse. Nonostante gli eventi e
i cambiamenti la storia mantiene una sua, sottesa, continuità.
E per quanto attiene al
pubblico giovane? Consideriamo virtualità e velocità: se un’immagine mediatica
di cinque secondi è già un’immagine di consistente durata, non è irreale
aspettarsi che le nuove generazioni contemplino per cinque minuti un quadro?
Non conta il tempo. Forse vedranno
il quadro per soli cinque secondi e avranno una lettura del tutto diversa dalla
mia che sosto per cinquanta minuti; sarà comunque una lettura interessante. Il
fatto che i nuovi media abbiano mutato l’artista e il pubblico non comporta
necessariamente un disinteresse per il passato. Anzi, dobbiamo ricordarci che
l’accrescimento personale avviene sempre grazie alla diversità. Un giovane che
guardasse solo ai suoi contemporanei eserciterebbe una forma sterile di
narcisismo. A mio parere perciò non è preoccupante la tecnologia in sé, ma i
modelli comportamentali di riferimento: la politica del nostro Paese è ormai
tesa all’annullamento delle differenze.
È paradossale affermarlo
adesso, con Internet che ci permette di vedere sempre più lontano…
Non immagini quante volte mi
ripeta “meno male che c’è Internet!”. Tanti ragazzi italiani, altrimenti
costretti a viaggiare di continuo, grazie alla rete possono ovviare – almeno in
parte – al soffocamento dell’intelligenza.
Siamo nel centenario del
Futurismo: che cosa scriverebbe oggi Marinetti a proposito dei musei?
Ciò che nel 1913 scrisse Papini: “Siete
continuamente occupati in questo ignobile esercizio: levare i quattrini dalle
tasche degli stranieri facendo loro vedere i rimasugli dei vostri celebri
defunti. Se girate le migliori strade di questa città non vedrete altro che
caffè per gli stranieri, uffici per gli stranieri, spedizionieri per gli
stranieri. Eppoi da tutte le parti musei e gallerie, gallerie e musei. Tutta la
città un giorno o l’altro, si potrà chiuder dentro da un muro e farne un gran
museo col biglietto d’ingresso di cento lire”.
Oltre agli impedimenti che
rendono difficile ogni gestione, che immagine ha del museo ideale?
Penso a uno strumento in grado di
arricchire la società. In linea teorica il processo non è difficile: mostre ben
realizzate e ben illustrate – unite a iniziative complementari – al posto dei
visitatori “passivi” un pubblico che osserva con calma e soddisfa ogni
curiosità. Il museo raggiunge il proprio fine se le persone, al termine del
percorso, hanno acquisito nuove nozioni.
Proviamo a convincere i più
scettici: quale tipo di emozione appartiene solo e soltanto all’esperienza di
una visita museale?
È la sensazione che provi quando
il museo è quasi vuoto. In quei momenti, nel silenzio dominante, si può
percepire il senso del divino.
articoli
correlati
La
recensione della mostra di Mapplethorpe
a cura di
matteo innocenti
[exibart]
Sinceramente non capisco ne la domanda ne la risposta,in quanto sia il lavoro di Michelangelo che quello di Mapplethorpe è essenzialmente omoerotico al 100% ,lo è non solo per l’esibizione di membri maschili,ma anche e sopratutto nella cifra stilistica di entrambi.
Guardare le foto su Lisa Lyon e non percepire l’esplicita poetica omoerotica è impossibile!
In sostanza non si può escludere la produzione omoerotica di Mapplethorpe perchè tutta la produzione artistica di quest’ultimo è omoerotica persino nella serie dei fiori!
Credo che sia un’ operazione simile a quella che si fece mettendo le braghe alle figure del giudizio universale di Michelangelo