Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
MUSE INQUIETANTI. ritratte da uomini inquieti
Con l’eredità di questo Rembrandt allo specchio, si sono confrontati molti maestri moderni, a loro volta ingabbiati da un ritratto che li ha costretti a parlare di sé, a svelarsi.
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Nuova Galleria Morone è lieta di presentare la mostra ”Muse inquietanti. Ritratte da uomini inquieti”.
Madri, mogli, muse, amanti. Nel panorama della storia dell'arte, molti sono i ruoli rivestiti delle donne nelle immagini che ne hanno svelato la storia o rubato un pezzetto di anima. Ma lo sguardo puntato su di loro è stato sempre naturalmente duplice. Da un lato, la prospettiva di donne che hanno raccontato altre donne. Da Artemisia Gentileschi a Käthe Kollwitz, sino a Louise Bourgois, per fare solo qualche esempio. Dall'altro lato, ci sono stati invece uomini che hanno indagato l'universo femminile per farsene interpreti, oppure perché si sentivano protagonisti della vita delle loro donne, avendo avuto l'opportunità di conoscerle intimamente.
Basti pensare al grande Rembrandt (1606-1669) che di donne – fra la moglie, la balia e la domestica – ne ha amate tante e altrettante ne ha ritratte. Oppure a Egon Schiele che, per colpa proprio delle donne, adolescenti disinibite come la sorella Gerti, la prima compagna Wally o la moglie Edith, finì addirittura in prigione, accusato di adescamento. Povero Schiele, colpevole solo di aver descritto, con segni troppo crudi, l'angoscia della vita, appesa disperatamente a un corpo indifeso.
Tanti sono i casi di dipendenza di una donna dal suo interprete al cavalletto, a cui sembra essersi affidata senza veli; ma si tratta spesso di situazioni da leggere al contrario, come forme di dipendenza dell'artista stesso dal suo modello. Cézanne ritrasse la moglie Hortense infinite volte, infliggendole lunghe ed estenuanti sedute di posa. Lei quasi lo detestava! Lui, viceversa, vedeva rispecchiato in lei il suo amore per la natura delle cose. Non poteva fare a meno di osservarla, studiarla, ritrarla, per una questione squisitamente egoistica.
Lette in quest'ottica, la madre, la moglie, la musa, l'amante diventano specchi dell'animo dell'autore che su di loro, nelle loro pose inquiete e contorte, nei tratti di volti spigolosi come aculei, riversano una parte di sé, si mettono a nudo, rivelano se stessi.
Al di là dei luoghi comuni, dei cliché, degli stereotipi che vedono nelle donne “ritratte” i temi classici della fragilità, della dolcezza, della seduzione messe in mostra, ecco allora una mostra che parla stranamente di uomini, attraverso le loro donne. Una mostra di “autoritratti” allo specchio, animata da nove artisti del Novecento, fra maestri storici e giovani emergenti, messi idealmente in dialogo con un capolavoro inciso di Rembrandt, uno dei suoi celebri nudi inghiottiti dall'ombra.
Agenore Fabbri (1911-1998) trasferì nelle sue femmine dagli occhi pesti e i corpi squartati il dramma della guerra, patito in prima linea sul fronte jugoslavo, prima di unirsi alla Resistenza e approdare a Milano nel '45 dove abitò per mesi fra le panchine della Stazione Centrale e gli interni scassati di una Balilla. Lucian Freud (1922-2011) puntò il proprio obiettivo sull’individuo inteso come pura fisicità, immortalando gli aspetti più labili del corpo, ossessionato per la sua decadenza. Da qui le figure fuori scala, fortemente scorciate, in posizione supina, contorta, sdraiate su pavimenti duri e sporchi. Arrendevoli, osceni nelle loro nudità imbarazzanti, i suoi personaggi alludevano alla sua stessa difficoltà di comunicazione e alla solitudine vissuta all'interno di una coppia.
Un lascito ideale, fatto di sguardi incrociati e un sentimento tosto dell'esistenza, condiviso da altri autori come Plattner (1919-1986), Ferroni (1927-2001) o Baselitz (classe 1938) e oggi raccolto anche da artisti contemporanei come Giovanni Sesia (classe 1955) che unisce pittura e fotografia in opere simili a diari di viaggio, scritti sulla pelle nuda delle sue figure; o come lo scultore Giuseppe Bergomi (classe 1953) abilissimo nell'affidare alla terra cruda nudi di femmine volitive, spigolose come quelle di Schiele, anime di un suo mondo raggelato nell'attesa.
Fra i più giovani, Domenico Grenci (classe 1981) è autore di volti acquosi, tenui come la memoria e la dimenticanza; Marco Perroni (classe 1970) è interprete di un corpo spezzato e molesto, sinonimo di affanni interiori espressi a suon di zampate sulla tela; e infine il polacco Sylvester Ambroziak (classe 1964) sembra scolpire le sue forme aspre nel legno con l'accetta, per comunicare la rabbia di creature a caccia di una identità perduta.
Madri, mogli, muse, amanti. Nel panorama della storia dell'arte, molti sono i ruoli rivestiti delle donne nelle immagini che ne hanno svelato la storia o rubato un pezzetto di anima. Ma lo sguardo puntato su di loro è stato sempre naturalmente duplice. Da un lato, la prospettiva di donne che hanno raccontato altre donne. Da Artemisia Gentileschi a Käthe Kollwitz, sino a Louise Bourgois, per fare solo qualche esempio. Dall'altro lato, ci sono stati invece uomini che hanno indagato l'universo femminile per farsene interpreti, oppure perché si sentivano protagonisti della vita delle loro donne, avendo avuto l'opportunità di conoscerle intimamente.
Basti pensare al grande Rembrandt (1606-1669) che di donne – fra la moglie, la balia e la domestica – ne ha amate tante e altrettante ne ha ritratte. Oppure a Egon Schiele che, per colpa proprio delle donne, adolescenti disinibite come la sorella Gerti, la prima compagna Wally o la moglie Edith, finì addirittura in prigione, accusato di adescamento. Povero Schiele, colpevole solo di aver descritto, con segni troppo crudi, l'angoscia della vita, appesa disperatamente a un corpo indifeso.
Tanti sono i casi di dipendenza di una donna dal suo interprete al cavalletto, a cui sembra essersi affidata senza veli; ma si tratta spesso di situazioni da leggere al contrario, come forme di dipendenza dell'artista stesso dal suo modello. Cézanne ritrasse la moglie Hortense infinite volte, infliggendole lunghe ed estenuanti sedute di posa. Lei quasi lo detestava! Lui, viceversa, vedeva rispecchiato in lei il suo amore per la natura delle cose. Non poteva fare a meno di osservarla, studiarla, ritrarla, per una questione squisitamente egoistica.
Lette in quest'ottica, la madre, la moglie, la musa, l'amante diventano specchi dell'animo dell'autore che su di loro, nelle loro pose inquiete e contorte, nei tratti di volti spigolosi come aculei, riversano una parte di sé, si mettono a nudo, rivelano se stessi.
Al di là dei luoghi comuni, dei cliché, degli stereotipi che vedono nelle donne “ritratte” i temi classici della fragilità, della dolcezza, della seduzione messe in mostra, ecco allora una mostra che parla stranamente di uomini, attraverso le loro donne. Una mostra di “autoritratti” allo specchio, animata da nove artisti del Novecento, fra maestri storici e giovani emergenti, messi idealmente in dialogo con un capolavoro inciso di Rembrandt, uno dei suoi celebri nudi inghiottiti dall'ombra.
Agenore Fabbri (1911-1998) trasferì nelle sue femmine dagli occhi pesti e i corpi squartati il dramma della guerra, patito in prima linea sul fronte jugoslavo, prima di unirsi alla Resistenza e approdare a Milano nel '45 dove abitò per mesi fra le panchine della Stazione Centrale e gli interni scassati di una Balilla. Lucian Freud (1922-2011) puntò il proprio obiettivo sull’individuo inteso come pura fisicità, immortalando gli aspetti più labili del corpo, ossessionato per la sua decadenza. Da qui le figure fuori scala, fortemente scorciate, in posizione supina, contorta, sdraiate su pavimenti duri e sporchi. Arrendevoli, osceni nelle loro nudità imbarazzanti, i suoi personaggi alludevano alla sua stessa difficoltà di comunicazione e alla solitudine vissuta all'interno di una coppia.
Un lascito ideale, fatto di sguardi incrociati e un sentimento tosto dell'esistenza, condiviso da altri autori come Plattner (1919-1986), Ferroni (1927-2001) o Baselitz (classe 1938) e oggi raccolto anche da artisti contemporanei come Giovanni Sesia (classe 1955) che unisce pittura e fotografia in opere simili a diari di viaggio, scritti sulla pelle nuda delle sue figure; o come lo scultore Giuseppe Bergomi (classe 1953) abilissimo nell'affidare alla terra cruda nudi di femmine volitive, spigolose come quelle di Schiele, anime di un suo mondo raggelato nell'attesa.
Fra i più giovani, Domenico Grenci (classe 1981) è autore di volti acquosi, tenui come la memoria e la dimenticanza; Marco Perroni (classe 1970) è interprete di un corpo spezzato e molesto, sinonimo di affanni interiori espressi a suon di zampate sulla tela; e infine il polacco Sylvester Ambroziak (classe 1964) sembra scolpire le sue forme aspre nel legno con l'accetta, per comunicare la rabbia di creature a caccia di una identità perduta.
13
febbraio 2014
MUSE INQUIETANTI. ritratte da uomini inquieti
Dal 13 febbraio al 30 aprile 2014
arte contemporanea
Location
NUOVA GALLERIA MORONE
Milano, Via Nerino, 3, (Milano)
Milano, Via Nerino, 3, (Milano)
Orario di apertura
dal martedì al sabato ore 11|19
Vernissage
13 Febbraio 2014, ore 18
Autore
Curatore