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20
ottobre 2009
CONTEMPORANEO BRASILIANO. LA POST-UTOPIA
Politica e opinioni
Altro che Cina. Negli ultimi mesi l’arte più in voga è senza dubbio quella carioca e quella paulista. Insomma, quella brasiliana. Un’inchiesta ripercorre le tappe di questo crescendo d’interesse dell’Europa e dell’Occidente verso il Paese sudamericano. In attesa della grande mostra in quel di Prato che apre nel fine settimana...
di Ginevra Bria
A
causa del contagio della globalizzazione, che sta invadendo il sistema
dell’arte brasiliana (come si è visto lo scorso autunno a Londra alla Tate con Cildo
Meireles e durante la fantasmatica 28esima Biennale di San Paolo curata da Ivo
Mesquita), la produzione creativa carioca e paulista ha cominciato a ricevere,
da parte del Vecchio Continente, uno sguardo diverso. Una maggiore attenzione e
un rispetto globali, che grazie agli sforzi di galleristi, collezionisti,
istituzioni e curatori, ha portato alla ribalta il riconoscimento (europeo) di
grandi artisti quali Hélio Oiticica,
Lygia Clark, Lygia Pape, dell’insospettabile Guto Lacaz, di
Marcos Chaves oppure, anche, di
Antonio Dias.
Il
miglioramento della tecnologia ha portato a un incremento del flusso di
informazioni, che hanno causato una ridefinizione delle politiche dei musei e
una domanda di maggiore professionalità. Per quanto riguarda il riscontro mediatico
di pubblico, poi, è d’obbligo citare, sempre in tema di nuova arte brasiliana,
eventi importanti come le mostre Panorama da Arte Brasileira al Mam di São Paulo (nel 2001), la più recente
(ottobre 2008) Nova Arte Nova,
al Ccbb di Rio e, infine, l’apertura nel 2005 del Centro de Arte Contemporânea
Inhotim.
Ma,
come suggerisce il titolo di un saggio di Stefan Zweig, il Brasile è terra
d’avvenire, nazione sempre in
cerca di una visione più completa ed esterna della propria immagine: “Il Brasile più che un
continente è un mondo in miniatura”,
scrive Zweig, “una terra che regala di anno in anno, a chi lo osserva, la
stessa sensazione. E cioè la percezione di vivere sempre nel futuro”.
Ecco
dunque che ogni confronto o analisi con qualsiasi altro territorio risulterebbe
inadatta, impossibile e, allo stesso tempo, infruttuosa e riduttiva. Il Brasile
necessita, oggi più che mai, di uno sguardo ampio e incuriosito, un punto di
vista esterno che noi europei e osservatori dello scenario artistico globale,
solo a distanza, riusciamo ad avvicinare nella maniera più corretta.
Una
nuova attenzione da parte dell’Occidente
Se
a Madrid, un anno fa, Arco08,
dedicato al Brasile, aveva in qualche modo preannunciato l’avvento di una nuova
fioritura espressiva del contemporaneo, principalmente di provenienza carioca e
paulista, è altrettanto vero che non bisogna tralasciare – in questa presa di
coscienza dell’Europa sul grande Paese sudamericano – le numerose
manifestazioni minori che hanno sempre tenuto viva l’attenzione sul tema (ad
esempio il Festival Internaciónal da Nova Arte Brasiliera dal 2000 a Barcellona).
In Europa e in Giappone, anche grazie alla presenza nobile della
fondazione svizzera Daros Latinamerica o alle scelte lungimiranti di gallerie
giovani come la berlinese Carlier|Gebauer o la giapponese Misako & Rosen (Erika
Verzutti e Tiago Carneiro da Cunha hanno
partecipato quest’inverno alla collettiva Neo Tropicalia. When Lives Become
Form), si è cominciato a creare una sorta di attesa istituzionale nei
confronti delle promesse che l’arte contemporanea brasiliana è in grado di
fornire.
Dall’altra parte, la spinta promozionale riguardante
nuovi talenti e artisti dimenticati ha portato alla ribalta alcune
specificità del fenomeno come le raffinate pubblicazioni d’arte (Cosac Naif),
le scelte centrate di alcune gallerie (la Roesler, la Strina, la Vermelho, la
Thomas Cohn o la Fortes Vilaça),
le grandi retrospettive europee (Ernesto Neto al Macro
di Roma, oppure Laura Vinci alle Papesse, la rassegna Experiment
Experiencia: Art in Brazil 1958-2000 al MoMA di Oxford) o le
rivalutazioni internazionali di diversi artisti (Walter Goldfarb, Rosana
Palazyan, Raquel Garbelotti, Carmen Alves, Liane
Chammas, Jak Leirner e la artist’s choice di Vik
Muniz al MoMA di New York), senza dimenticare le memorabili
collezioni private di Bernardo Paz e di sua moglie, l’artista visionaria Adriana
Varejão.
Ulteriori
fattori: la brazilian diaspora
Questi
ultimi però sono solo alcuni macro-fattori che sottendono al processo di ri-attivazione della nuova arte brasiliana.
“Nei
decenni passati, un numero sempre crescente di artisti ha cominciato a
diventare attivo anche oltreoceano”,
spiega Atto Belloli Ardessi (curatore di After Utopia, collettiva dei più rappresentativi artisti
brasiliani che inaugura nel weekend al Pecci di Prato). “Spesso
soprannominati ‘Brazilian Diaspora’, si sono fatti voce di un processo nel
quale la singolarità della loro identità è rimasta intatta in un modo
riconoscibile e ancora inafferrabile. Ma gli artisti che partecipavano a queste
mostre, in Europa, erano come nomadi, tanto dal punto di vista geografico
quanto dal punto di vista della loro origine estetica. Miguel Rio Branco,
Tunga, Marepe, Nuno Ramos, Iran do Espirito Santo, Waltercio Caldas, Haroldo De
Campos, Mary Vieira e anche Roberto Burle Marx, si spostavano tra il Brasile e Londra, Parigi,
Basilea, Amsterdam, Bruxelles, Lisbona e Madrid, mentre le loro forme
d’espressione artistica oscillavano tra varie discipline. Le loro erano
esperienze che riunivano molteplici contraddizioni come la globalizzazione e il
regionalismo, l’urbanizzazione e la tradizione, l’identità e le origini, il
cannibalismo e l’indigestione”.
“Per
i brasiliani”, continua Belloli, “l’arte
è sempre stata una questione vitale. Oggi gli artisti brasiliani, seppure ben
inseriti nei circuiti oltreoceano, devono affrontare una nuova sfida. Il
Brasile infatti per loro è diventato un’idea, il superamento di un progetto,
un’utopia che ha nell’estetica della città di Brasilia, l’esempio di come la
natura possa venire processata dall’arte per fornire una nuova esperienza di
spazio e un nuovo concetto di luogo. L’utopia non è altro che un luogo senza
spazio”, puntualizza Belloli, “ma Brasilia, realizzando e superando la propria
utopia, si è trasformata in uno spazio senza più luogo d’origine: il proprio
territorio. La realizzazione di Brasilia ha marchiato un’intera generazione di
grandi artisti che negli scorsi decenni, sono stati ispirati dalle linee e dai
virtuosismi vanitosi di Oscar Niemeyer. Basta dunque guardare a quei lavori
degli anni ‘50 per capire che oggi giovani talenti come José Damasceno, Laura
Herber, Detanico & Lain, Leandro Costa o ancora Matheus e Thiago Rocha
Pitta discendono da quella tradizione”.
Senza
dimenticare quelle che sono vere promesse dell’arte contemporanea brasiliana: Chalpa
Ferro, Andrè Komatsu e Marcellvs L. “Sono convinto”, conclude Belloli, “che questi artisti, appena
citati, siano già in grado di oltrepassare l’Arte Concreta, creando un nuovo
tipo di astrattismo miniale capace di agire direttamente sullo spazio personale
dello spettatore, cambiandolo”.
L’arte
nella vita di moltitudine brasiliana
Nelle
opere degli artisti contemporanei brasiliani c’è un’abilità empatica ed
espressiva unica, che li rende capaci di venire a patti con tematiche e
percezioni lampanti per il pubblico d’oltreoceano. Il Brasile è una nazione che
assorbe e forgia continuamente culture formate da ibridi umani ed è anche per questo che sta catturando sempre
più l’attenzione mondiale.
L’arte
è così diventata quell’aspetto del Brasile che celebra e interagisce con questa
vita di moltitudine, esaltando
i colori, quanto la loro assenza; le forme geometriche quanto il dinamismo
contorto del caos. La società brasiliana, infatti, esente da una stretta
gerarchia di valori, permette a uomini e oggetti di integrarsi, fornendo la
giusta energia che modifica e trasforma continuamente le proprie strutture.
Questa
energia, in fondo, però non viene direttamente da un processo dialettico, ma
arriva piuttosto dall’osservazione della vita e dalla sua conseguente saggezza
pratica che i brasiliani amano definire modernità alternativa.
causa del contagio della globalizzazione, che sta invadendo il sistema
dell’arte brasiliana (come si è visto lo scorso autunno a Londra alla Tate con Cildo
Meireles e durante la fantasmatica 28esima Biennale di San Paolo curata da Ivo
Mesquita), la produzione creativa carioca e paulista ha cominciato a ricevere,
da parte del Vecchio Continente, uno sguardo diverso. Una maggiore attenzione e
un rispetto globali, che grazie agli sforzi di galleristi, collezionisti,
istituzioni e curatori, ha portato alla ribalta il riconoscimento (europeo) di
grandi artisti quali Hélio Oiticica,
Lygia Clark, Lygia Pape, dell’insospettabile Guto Lacaz, di
Marcos Chaves oppure, anche, di
Antonio Dias.
Il
miglioramento della tecnologia ha portato a un incremento del flusso di
informazioni, che hanno causato una ridefinizione delle politiche dei musei e
una domanda di maggiore professionalità. Per quanto riguarda il riscontro mediatico
di pubblico, poi, è d’obbligo citare, sempre in tema di nuova arte brasiliana,
eventi importanti come le mostre Panorama da Arte Brasileira al Mam di São Paulo (nel 2001), la più recente
(ottobre 2008) Nova Arte Nova,
al Ccbb di Rio e, infine, l’apertura nel 2005 del Centro de Arte Contemporânea
Inhotim.
Ma,
come suggerisce il titolo di un saggio di Stefan Zweig, il Brasile è terra
d’avvenire, nazione sempre in
cerca di una visione più completa ed esterna della propria immagine: “Il Brasile più che un
continente è un mondo in miniatura”,
scrive Zweig, “una terra che regala di anno in anno, a chi lo osserva, la
stessa sensazione. E cioè la percezione di vivere sempre nel futuro”.
Ecco
dunque che ogni confronto o analisi con qualsiasi altro territorio risulterebbe
inadatta, impossibile e, allo stesso tempo, infruttuosa e riduttiva. Il Brasile
necessita, oggi più che mai, di uno sguardo ampio e incuriosito, un punto di
vista esterno che noi europei e osservatori dello scenario artistico globale,
solo a distanza, riusciamo ad avvicinare nella maniera più corretta.
Una
nuova attenzione da parte dell’Occidente
Se
a Madrid, un anno fa, Arco08,
dedicato al Brasile, aveva in qualche modo preannunciato l’avvento di una nuova
fioritura espressiva del contemporaneo, principalmente di provenienza carioca e
paulista, è altrettanto vero che non bisogna tralasciare – in questa presa di
coscienza dell’Europa sul grande Paese sudamericano – le numerose
manifestazioni minori che hanno sempre tenuto viva l’attenzione sul tema (ad
esempio il Festival Internaciónal da Nova Arte Brasiliera dal 2000 a Barcellona).
In Europa e in Giappone, anche grazie alla presenza nobile della
fondazione svizzera Daros Latinamerica o alle scelte lungimiranti di gallerie
giovani come la berlinese Carlier|Gebauer o la giapponese Misako & Rosen (Erika
Verzutti e Tiago Carneiro da Cunha hanno
partecipato quest’inverno alla collettiva Neo Tropicalia. When Lives Become
Form), si è cominciato a creare una sorta di attesa istituzionale nei
confronti delle promesse che l’arte contemporanea brasiliana è in grado di
fornire.
Dall’altra parte, la spinta promozionale riguardante
nuovi talenti e artisti dimenticati ha portato alla ribalta alcune
specificità del fenomeno come le raffinate pubblicazioni d’arte (Cosac Naif),
le scelte centrate di alcune gallerie (la Roesler, la Strina, la Vermelho, la
Thomas Cohn o la Fortes Vilaça),
le grandi retrospettive europee (Ernesto Neto al Macro
di Roma, oppure Laura Vinci alle Papesse, la rassegna Experiment
Experiencia: Art in Brazil 1958-2000 al MoMA di Oxford) o le
rivalutazioni internazionali di diversi artisti (Walter Goldfarb, Rosana
Palazyan, Raquel Garbelotti, Carmen Alves, Liane
Chammas, Jak Leirner e la artist’s choice di Vik
Muniz al MoMA di New York), senza dimenticare le memorabili
collezioni private di Bernardo Paz e di sua moglie, l’artista visionaria Adriana
Varejão.
Ulteriori
fattori: la brazilian diaspora
Questi
ultimi però sono solo alcuni macro-fattori che sottendono al processo di ri-attivazione della nuova arte brasiliana.
“Nei
decenni passati, un numero sempre crescente di artisti ha cominciato a
diventare attivo anche oltreoceano”,
spiega Atto Belloli Ardessi (curatore di After Utopia, collettiva dei più rappresentativi artisti
brasiliani che inaugura nel weekend al Pecci di Prato). “Spesso
soprannominati ‘Brazilian Diaspora’, si sono fatti voce di un processo nel
quale la singolarità della loro identità è rimasta intatta in un modo
riconoscibile e ancora inafferrabile. Ma gli artisti che partecipavano a queste
mostre, in Europa, erano come nomadi, tanto dal punto di vista geografico
quanto dal punto di vista della loro origine estetica. Miguel Rio Branco,
Tunga, Marepe, Nuno Ramos, Iran do Espirito Santo, Waltercio Caldas, Haroldo De
Campos, Mary Vieira e anche Roberto Burle Marx, si spostavano tra il Brasile e Londra, Parigi,
Basilea, Amsterdam, Bruxelles, Lisbona e Madrid, mentre le loro forme
d’espressione artistica oscillavano tra varie discipline. Le loro erano
esperienze che riunivano molteplici contraddizioni come la globalizzazione e il
regionalismo, l’urbanizzazione e la tradizione, l’identità e le origini, il
cannibalismo e l’indigestione”.
“Per
i brasiliani”, continua Belloli, “l’arte
è sempre stata una questione vitale. Oggi gli artisti brasiliani, seppure ben
inseriti nei circuiti oltreoceano, devono affrontare una nuova sfida. Il
Brasile infatti per loro è diventato un’idea, il superamento di un progetto,
un’utopia che ha nell’estetica della città di Brasilia, l’esempio di come la
natura possa venire processata dall’arte per fornire una nuova esperienza di
spazio e un nuovo concetto di luogo. L’utopia non è altro che un luogo senza
spazio”, puntualizza Belloli, “ma Brasilia, realizzando e superando la propria
utopia, si è trasformata in uno spazio senza più luogo d’origine: il proprio
territorio. La realizzazione di Brasilia ha marchiato un’intera generazione di
grandi artisti che negli scorsi decenni, sono stati ispirati dalle linee e dai
virtuosismi vanitosi di Oscar Niemeyer. Basta dunque guardare a quei lavori
degli anni ‘50 per capire che oggi giovani talenti come José Damasceno, Laura
Herber, Detanico & Lain, Leandro Costa o ancora Matheus e Thiago Rocha
Pitta discendono da quella tradizione”.
Senza
dimenticare quelle che sono vere promesse dell’arte contemporanea brasiliana: Chalpa
Ferro, Andrè Komatsu e Marcellvs L. “Sono convinto”, conclude Belloli, “che questi artisti, appena
citati, siano già in grado di oltrepassare l’Arte Concreta, creando un nuovo
tipo di astrattismo miniale capace di agire direttamente sullo spazio personale
dello spettatore, cambiandolo”.
L’arte
nella vita di moltitudine brasiliana
Nelle
opere degli artisti contemporanei brasiliani c’è un’abilità empatica ed
espressiva unica, che li rende capaci di venire a patti con tematiche e
percezioni lampanti per il pubblico d’oltreoceano. Il Brasile è una nazione che
assorbe e forgia continuamente culture formate da ibridi umani ed è anche per questo che sta catturando sempre
più l’attenzione mondiale.
L’arte
è così diventata quell’aspetto del Brasile che celebra e interagisce con questa
vita di moltitudine, esaltando
i colori, quanto la loro assenza; le forme geometriche quanto il dinamismo
contorto del caos. La società brasiliana, infatti, esente da una stretta
gerarchia di valori, permette a uomini e oggetti di integrarsi, fornendo la
giusta energia che modifica e trasforma continuamente le proprie strutture.
Questa
energia, in fondo, però non viene direttamente da un processo dialettico, ma
arriva piuttosto dall’osservazione della vita e dalla sua conseguente saggezza
pratica che i brasiliani amano definire modernità alternativa.
ginevra
bria
*articolo pubblicato su Exibart.onpaper n. 59. Te l’eri perso? Abbonati!
dal 24 ottobre 2009 al 14 febbraio 2010
After Utopia. A view on
Brazilian contemporary art
a cura di Atto Belloli Ardessi in collaborazione con Ginevra
Bria
C.Arte – Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci
Viale della Repubblica, 277 – 59100 Prato
Orario: da mercoledì a lunedì ore 10-19
Ingresso: intero € 5; ridotto € 4
Catalogo disponibile
Info: tel. +39 05745317; fax +39 0574531901; www.centropecci.it
[exibart]
Tralasciando il contenuto del pezzo, indubbiamente interessante, vi sembra eticamente* corretto pubblicare un articolo che fa riferimento ad una mostra di cui si è co-curatori?
* Etica, una parola che in arte guai a nominarla…
forse la notizia andrebbe accompagnata da questa tremenda catastrofe per l’archivio della memoria :
All’incirca 2.000 opere dell’artista brasiliano Hélio Oiticica
fra pitture, istallazioni e appunti , del grande artista brasiliano Hélio Oiticica (1937-1980) che si conservavano nella casa di un suo parente sono state bruciate. Venerdì scorso la maggiore parte di questo straordinario materiale è stato bruciato causa incendio. Il mondo dell’arte ha perso così un’importante registro di questo ormai classico del secolo XX, e che la Tate Modern di Londra dedicò una importante retrospettiva nel 2007.
Tutte le mie opere stanno andando distrutte(così come quelle di molti altri artisti) e di loro non resterà nessuna traccia. Se le opere di Oiticica stavano a casa di un suo parente evidentemente non sono state apprezzate dal mercato, quindi non valevano nulla. Come le mie. Con buona pace della Tate.
Trovo più interessante la questione etica sollevata dal primo commentatore.