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04
novembre 2009
fino al 7.XI.2009 Matteo Guarnaccia Milano, Antonio Colombo
milano
Peace & Love. L’afflato dell’amore universale, dell’armonia tra le cose, del sincretismo. Sboccia di tutto un po’. Fra le mani di un “uomo del Rinascimento” cresciuto tra i colori psichedelici dell’underground...
di Anita Pepe
Non
ha certo l’horror vacui Matteo Guarnaccia (Milano, 1954). E si vede. Opere fitte, le sue, zeppe. Di
colori, segni, riferimenti. In primis a se stesso, e a quei “formidabili anni”
che hanno segnato profondamente il suo brulicante melting pot visivo. Un gaio minestrone
universale, dove si mescolano geografie ed epoche, gli idoli indù vanno a
braccetto coi romanzi cavallereschi, il gotico viene intinto nell’acido
lisergico e il fumetto d’antan intrecciato allo slang rockettaro.
In
tanto scompiglio, un po’ di spazio per l’attualità si trova sempre, specie se
si può scoccare qualche frecciatina alla politica. Bell’e servita all’ingresso,
nella tela che raccoglie alla rinfusa un po’ di topoi meneghini, shakerati con la
cronaca più o meno recente: la bomboletta dell’ordinanza anti-graffitari; un
kebab reso ancor più appetitoso dal proibizionismo; il Duomo aggredito da un
istrice i cui aculei, in una strana metamorfosi, si mescolano alle guglie; il
Pirellone vacillante; gli onnipresenti piccioni e un bel Leonardo che pedala fischiettando.
L’immaginazione
al potere, dunque, o una sapiente rielaborazione di repertori? In ogni caso,
l’autore può riproporre a buon diritto, senza l’obbligo di contemporaneizzarli
né di rimpiangerli, i retaggi di una temperie underground di cui è stato attivo
protagonista.
Di taglio storico è infatti la tranche dell’esposizione che ripercorre
l’avventura di “Insekten Secte”, “foglio” autarchico e anarchico che Guarnaccia
ideò a soli 15 anni e portò avanti per altri sei, sfornando 17 numeri
all’insegna del più puro e pazzo artigianato.
L’allestimento
nel “bozzolo” di un sacco a pelo, altro emblema generazionale, con le
pubblicazioni che nascono dalla crisalide trapunta di farfalle, ricorda come il
processo di trasformazione dell’allora controcultura in cultura sia ormai compiuto (con le sue
conseguenze di vintage ed emulazione). La mano preziosa dell’illustratore è rimasta, e ha
supportato quella di un colorista libero e felice. Passare lo specchio di Guarnaccia
è insomma, semplice e piacevole, e non impone astruse rielaborazioni critiche
(in fondo, ironizza lui stesso nel titolo, è solo “Un’altra, f***, mostra”…).
Però
proprio i variopinti accenti swinging London di questo accattivante revival rischiano di distrarre
dall’elemento spirituale, mistico, di un esercizio grafico che è soprattutto agone
interiore, aspetto nient’affatto marginale nella filosofia di un artista che il
suo viaggio in India (altro must irrinunciabile del movimento hippie) continua a farlo sui Navigli.
ha certo l’horror vacui Matteo Guarnaccia (Milano, 1954). E si vede. Opere fitte, le sue, zeppe. Di
colori, segni, riferimenti. In primis a se stesso, e a quei “formidabili anni”
che hanno segnato profondamente il suo brulicante melting pot visivo. Un gaio minestrone
universale, dove si mescolano geografie ed epoche, gli idoli indù vanno a
braccetto coi romanzi cavallereschi, il gotico viene intinto nell’acido
lisergico e il fumetto d’antan intrecciato allo slang rockettaro.
In
tanto scompiglio, un po’ di spazio per l’attualità si trova sempre, specie se
si può scoccare qualche frecciatina alla politica. Bell’e servita all’ingresso,
nella tela che raccoglie alla rinfusa un po’ di topoi meneghini, shakerati con la
cronaca più o meno recente: la bomboletta dell’ordinanza anti-graffitari; un
kebab reso ancor più appetitoso dal proibizionismo; il Duomo aggredito da un
istrice i cui aculei, in una strana metamorfosi, si mescolano alle guglie; il
Pirellone vacillante; gli onnipresenti piccioni e un bel Leonardo che pedala fischiettando.
L’immaginazione
al potere, dunque, o una sapiente rielaborazione di repertori? In ogni caso,
l’autore può riproporre a buon diritto, senza l’obbligo di contemporaneizzarli
né di rimpiangerli, i retaggi di una temperie underground di cui è stato attivo
protagonista.
Di taglio storico è infatti la tranche dell’esposizione che ripercorre
l’avventura di “Insekten Secte”, “foglio” autarchico e anarchico che Guarnaccia
ideò a soli 15 anni e portò avanti per altri sei, sfornando 17 numeri
all’insegna del più puro e pazzo artigianato.
L’allestimento
nel “bozzolo” di un sacco a pelo, altro emblema generazionale, con le
pubblicazioni che nascono dalla crisalide trapunta di farfalle, ricorda come il
processo di trasformazione dell’allora controcultura in cultura sia ormai compiuto (con le sue
conseguenze di vintage ed emulazione). La mano preziosa dell’illustratore è rimasta, e ha
supportato quella di un colorista libero e felice. Passare lo specchio di Guarnaccia
è insomma, semplice e piacevole, e non impone astruse rielaborazioni critiche
(in fondo, ironizza lui stesso nel titolo, è solo “Un’altra, f***, mostra”…).
Però
proprio i variopinti accenti swinging London di questo accattivante revival rischiano di distrarre
dall’elemento spirituale, mistico, di un esercizio grafico che è soprattutto agone
interiore, aspetto nient’affatto marginale nella filosofia di un artista che il
suo viaggio in India (altro must irrinunciabile del movimento hippie) continua a farlo sui Navigli.
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a cura di Sergio Calatroni
Antonio Colombo Arte Contemporanea
Via Solferino, 44 (zona Moscova) – 20121 Milano
Orario: da martedì a sabato ore 15-19
Ingresso libero
Catalogo disponibile
Info: tel./fax +39 0229060171; info@colomboarte.com;
www.colomboarte.com
[exibart]
Grande Matteo !
mostra interessante, da vedere assolutamente,bella.