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05
novembre 2009
fino al 22.XI.2009 Mona Hatoum Torino, Fondazione Merz
torino
Oltre gli igloo, la luce del vetro dissemina riflessi colorati. Hatoum imbandisce e decora un pericoloso banchetto, che sostituisce le spighe e gli elemento organici. L’arte, meno povera, assume toni più gravi...
Dalla collaborazione tra la
Fondazione Querini Stampalia di Venezia e la Fondazione Merz nasce uno scambio
di mostre che porta a Torino Mona Hatoum
(Beirut, 1952; vive a Londra). Due le opere dell’artista libanese, a diretto
confronto con quelle di Mario Merz.
In un vero e proprio contatto
fra due mondi distanti, Hatoum si cala nell’universo dell’Arte Povera e crea
una delle sue nature morte direttamente sul grande tavolo in vetro che si snoda
a spirale, invadendo una parte significativa dello spazio della fondazione.
L’artista è solita stupire
variando il paradigma alla base del linguaggio, traslando le connotazioni
estetiche e le categorie di appartenenza. Utilizza quindi le piccole e trasparenti
granate, variazioni d’improbabili bombe create dai maestri vetrai di Venezia,
per illuminare maggiormente il riflesso del vetro di Merz, in una composizione
fredda e colma di bagliori.
La spirale è la figura
geometrica che si delinea sulla base della nota serie numerica – quella di
Fibonacci, che ritorna continuamente nel lavoro di Merz – e che ha la proprietà
di avvolgersi intorno al proprio centro, creando una corsia aperta. Una forma
esistente in natura, a indicare un percorso di crescita, uno sviluppo radiale,
senza interruzioni né sbarramenti.
La matematica che spiega la natura e la
tecnologia che produce ordigni di morte: realtà che coesistono e che l’artista
presenta in veste brillante e seducente. Quasi una composizione natalizia, che
invita a stringersi intorno al tavolo, come commensali gioiosi.
Ma subito avviene il brusco
risveglio: la luce è solo un miraggio che inganna, la forma si trasforma in
contenuto e invita a riflettere e a rifiutare la sensazione in apparenza
edonistica dell’opera. Ci cibiamo di violenza e non ce ne accorgiamo; del resto,
sicuramente è ben confezionata.
In mostra anche un video di
natura intimistica, con immagini sfocate su cui scorrono le parole delle
lettere in arabo scritte dalla madre all’artista. Purtroppo è una lettura di
difficile condivisione e l’audio non consente di comprenderne i contenuti.
All’esterno della Fondazione
Merz, per alcune settimane è anche stata riposizionata l’installazione di Elisabetta
Benassi (Roma, 1966), I have a date
with outer space, costituita da un’antenna radio alta 12 metri, che
riceve e trasmette segnali in codice Morse. I suoni ottenuti sono amplificati e,
in questo caso, la frase che viaggia nell’etere è il caustico interrogativo merziano:
Che fare?
Fondazione Querini Stampalia di Venezia e la Fondazione Merz nasce uno scambio
di mostre che porta a Torino Mona Hatoum
(Beirut, 1952; vive a Londra). Due le opere dell’artista libanese, a diretto
confronto con quelle di Mario Merz.
In un vero e proprio contatto
fra due mondi distanti, Hatoum si cala nell’universo dell’Arte Povera e crea
una delle sue nature morte direttamente sul grande tavolo in vetro che si snoda
a spirale, invadendo una parte significativa dello spazio della fondazione.
L’artista è solita stupire
variando il paradigma alla base del linguaggio, traslando le connotazioni
estetiche e le categorie di appartenenza. Utilizza quindi le piccole e trasparenti
granate, variazioni d’improbabili bombe create dai maestri vetrai di Venezia,
per illuminare maggiormente il riflesso del vetro di Merz, in una composizione
fredda e colma di bagliori.
La spirale è la figura
geometrica che si delinea sulla base della nota serie numerica – quella di
Fibonacci, che ritorna continuamente nel lavoro di Merz – e che ha la proprietà
di avvolgersi intorno al proprio centro, creando una corsia aperta. Una forma
esistente in natura, a indicare un percorso di crescita, uno sviluppo radiale,
senza interruzioni né sbarramenti.
La matematica che spiega la natura e la
tecnologia che produce ordigni di morte: realtà che coesistono e che l’artista
presenta in veste brillante e seducente. Quasi una composizione natalizia, che
invita a stringersi intorno al tavolo, come commensali gioiosi.
Ma subito avviene il brusco
risveglio: la luce è solo un miraggio che inganna, la forma si trasforma in
contenuto e invita a riflettere e a rifiutare la sensazione in apparenza
edonistica dell’opera. Ci cibiamo di violenza e non ce ne accorgiamo; del resto,
sicuramente è ben confezionata.
In mostra anche un video di
natura intimistica, con immagini sfocate su cui scorrono le parole delle
lettere in arabo scritte dalla madre all’artista. Purtroppo è una lettura di
difficile condivisione e l’audio non consente di comprenderne i contenuti.
All’esterno della Fondazione
Merz, per alcune settimane è anche stata riposizionata l’installazione di Elisabetta
Benassi (Roma, 1966), I have a date
with outer space, costituita da un’antenna radio alta 12 metri, che
riceve e trasmette segnali in codice Morse. I suoni ottenuti sono amplificati e,
in questo caso, la frase che viaggia nell’etere è il caustico interrogativo merziano:
Che fare?
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mostra visitata il 26 settembre 2009
dal 26 settembre al 22 novembre 2009
Mona
Hatoum – Natura morta
Elisabetta Benassi – I have a date with
outer space (fino al 25 ottobre)
Fondazione Merz
Via Limone, 24 (Borgo San Paolo) – 10141 Torino
Orario: da martedì a domenica ore 11-19
Ingresso: intero € 5; ridotto € 3,50; gratuito ogni prima domenica del mese
Info: tel. +39 01119719437; fax +39 01119719805; info@fondazionemerz.org; www.fondazionemerz.org
[exibart]
Grande Hatoum, la recensione fa riflettere in questo periodo!