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16
novembre 2009
Un bombardamento d’immagini, deciso e
violento. Frame Store di Gianluca Capozzi (Avellino, 1973) si presenta come un
cumulo di tracce di diversi episodi. Pezzi di vita, segmenti estrapolati da
discorsi, eventi, occasioni, momenti storici e quotidianità esaltanti o
annichilite, stragi e trionfi, volti noti, altri anonimi. Una gran massa
informe e deforme d’immagini, per un percorso che procede per accumulazione,
disorientando.
La storia potrebbe avere inizio negli anni del
primo cinematografo, a fine Ottocento, con le prime vedute, passare per i
cinegiornali di guerra, le prime réclame televisive del boom economico. E
arrivare all’oggi, quando vecchi e nuovi media sempre più sofisticati
concorrono in ogni istante a fissare immagini. A fermarle in eterno, a cogliere
esclusive, a rapire indiscrezioni. A raccontare, denunciare, pubblicizzare,
urlare, mistificare.
La mostra di Capozzi si compone di oltre
novanta quadri (tutti acrilici su tela di nuova produzione), ognuno un frame di
qualcosa. Un attimo rubato al continuo scorrere delle cose, al flusso vorticoso
del tempo che macina episodi, storie, cose, sentimenti, ragioni, opinioni,
idee, possibilità, speranze, utopie, frustrazioni.
C’è il presidente degli Stati Uniti Barack
Obama, uomini che diventano vortici deformanti perdendo ogni connotato di
persona, c’è un aereo che precipita mentre l’equipaggio serenamente assiste al
peggio, carri armati in azione, natura in decomposizione, scorci di vita
privata e qualunque.
“Ogni quadro è l’appunto di un viaggio”, spiega l’artista,
“qualcosa che proseguirà nel tempo. Il segno di qualcosa che verrà dopo”. Ogni tela è dunque
un frame, la traccia di una vertigine mediatica, un insieme di fermo-immagini
delle “cose” temporali che nel tempo si susseguono. Una novantina di quadri
assemblati in sette diverse installazioni che, in prima analisi, si mostrano
come immensi puzzle, blocchi dai colori irruenti.
Successivamente, avvicinando i singoli quadri
si percepisce una pittura a lunga gittata, dal gesto forte, passionario; in
certi casi si registrano vere e proprie incisioni sulla tela, in opposizione a
qualsiasi rischio di tecniche univoche e ripetitive. Le immagini sono
uniformate, simboli di un universo pop e surreale al tempo stesso.
Rispetto alle standardizzazioni iconografiche,
la pittura rivendica la propria autenticità e irripetibilità di momento
creativo: “L’arte è necessità di frantumare, di maltrattare il
visivo fino a bruciare e calpestare l’immagine”, prosegue Capozzi.
“Quel
che conta per me non è il prodotto artistico ma il prodursi dell’artefice, in
rapporto al quale l’opera non è una ricaduta residuale, ciò che si separa e
cade dall’organismo vivente. L’arte è la vita come irripetibilità dell’evento,
vivente una volta sola”.
violento. Frame Store di Gianluca Capozzi (Avellino, 1973) si presenta come un
cumulo di tracce di diversi episodi. Pezzi di vita, segmenti estrapolati da
discorsi, eventi, occasioni, momenti storici e quotidianità esaltanti o
annichilite, stragi e trionfi, volti noti, altri anonimi. Una gran massa
informe e deforme d’immagini, per un percorso che procede per accumulazione,
disorientando.
La storia potrebbe avere inizio negli anni del
primo cinematografo, a fine Ottocento, con le prime vedute, passare per i
cinegiornali di guerra, le prime réclame televisive del boom economico. E
arrivare all’oggi, quando vecchi e nuovi media sempre più sofisticati
concorrono in ogni istante a fissare immagini. A fermarle in eterno, a cogliere
esclusive, a rapire indiscrezioni. A raccontare, denunciare, pubblicizzare,
urlare, mistificare.
La mostra di Capozzi si compone di oltre
novanta quadri (tutti acrilici su tela di nuova produzione), ognuno un frame di
qualcosa. Un attimo rubato al continuo scorrere delle cose, al flusso vorticoso
del tempo che macina episodi, storie, cose, sentimenti, ragioni, opinioni,
idee, possibilità, speranze, utopie, frustrazioni.
C’è il presidente degli Stati Uniti Barack
Obama, uomini che diventano vortici deformanti perdendo ogni connotato di
persona, c’è un aereo che precipita mentre l’equipaggio serenamente assiste al
peggio, carri armati in azione, natura in decomposizione, scorci di vita
privata e qualunque.
“Ogni quadro è l’appunto di un viaggio”, spiega l’artista,
“qualcosa che proseguirà nel tempo. Il segno di qualcosa che verrà dopo”. Ogni tela è dunque
un frame, la traccia di una vertigine mediatica, un insieme di fermo-immagini
delle “cose” temporali che nel tempo si susseguono. Una novantina di quadri
assemblati in sette diverse installazioni che, in prima analisi, si mostrano
come immensi puzzle, blocchi dai colori irruenti.
Successivamente, avvicinando i singoli quadri
si percepisce una pittura a lunga gittata, dal gesto forte, passionario; in
certi casi si registrano vere e proprie incisioni sulla tela, in opposizione a
qualsiasi rischio di tecniche univoche e ripetitive. Le immagini sono
uniformate, simboli di un universo pop e surreale al tempo stesso.
Rispetto alle standardizzazioni iconografiche,
la pittura rivendica la propria autenticità e irripetibilità di momento
creativo: “L’arte è necessità di frantumare, di maltrattare il
visivo fino a bruciare e calpestare l’immagine”, prosegue Capozzi.
“Quel
che conta per me non è il prodotto artistico ma il prodursi dell’artefice, in
rapporto al quale l’opera non è una ricaduta residuale, ciò che si separa e
cade dall’organismo vivente. L’arte è la vita come irripetibilità dell’evento,
vivente una volta sola”.
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Capozzi
da Artra nel 2007
caterina misuraca
mostra visitata il 26 ottobre 2009
dal 26 ottobre al
25 novembre 2009
Gianluca
Capozzi – Frame Store
a cura di Alberto
Mugnaini
Galleria Artra
Via Burlamacchi, 1 (zona Porta Romana) – 20135 Milano
Orario: da martedì a sabato ore 10.30-13 e 15-19
Ingresso libero
Mostra prodotta in collaborazione con Play_platformfor film & video, Zurigo
Info: tel. +39 025457373; artragalleria@tin.it
[exibart]
horror
ohoh mi sembra di avel visto un gatto
Finalmente una bella mostra in Italia